Chiudendo gli occhi mentre, all’inizio dell’udienza tenutasi stamattina, il nuovo presidente della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti Ermete Bogetti ricostruiva la vicenda, sembrava di trovarsi calati in una pagina figlia della penna di Collodi. Un portafoglio smarrito nel periodo delle festività di fine anno, un cittadino che lo ritrova e lo consegna ad un giovane Carabiniere. Mancherebbe solo il lieto fine, ma visto che a quei fatti si sono interessati prima la magistratura ordinaria e poi quella contabile, il racconto cambia proprio nella parte conclusiva, ricordando più una delle “fiction” italiane del “nuovo corso”, dal “Romanzo Criminale” in avanti.
Siamo a Verrès, nel giorno di Santo Stefano del 2010. A far da piantone alla locale stazione dell’Arma c’è Raphael Mangialardo, originario di Bari. Oggi ha 31 anni, allora erano 26. Si presenta a lui una persona che ha ritrovato un portafoglio, appartenente ad una donna. Contiene vari valori: una banconota da cinquecentomila lire (malgrado l’Euro fosse in vigore da otto anni), dei dollari statunitensi e anche un’altra valuta straniera di un paese asiatico, perché la proprietaria è probabilmente una badante. In totale, circa settecento euro di valore complessivo. Il cittadino si accomiata, non sospettando minimamente l’epilogo. Nel 2011 Mangialardo patteggia dinanzi al Giudice per le indagini preliminari di Aosta un anno e quattro mesi di reclusione, per peculato e falso, con sospensione condizionale della pena.
Cos’era accaduto? Lo ha ricordato oggi il presidente Bogetti, sempre nella relazione iniziale: l’allora Carabiniere si era “appropriato delle banconote” e aveva poi “restituito il portafoglio vuoto”. Inoltre, aveva redatto “atti falsi, in particolare una relazione, per bloccare le indagini” avviate dai suoi stessi colleghi, dopo che uno di loro aveva incontrato casualmente in paese la persona che aveva portato il portafoglio in caserma, curiosa di sapere se la restituzione fosse andata a buon fine. Tuttavia, “interrogato, rese piena confessione e risarcì integralmente la proprietaria”. In seguito, Mangialardo venne inizialmente sospeso, quindi congedato “per rimozione del grado”.
La vicenda, chiusa quindi penalmente con sentenza irrevocabile, assume un profilo contabile quando, il 15 gennaio di quest’anno, il procuratore regionale della Corte dei Conti Roberto Rizzi, a seguito dell’istruttoria svolta, convoca a giudizio l’ex Carabiniere, contestandogli un danno d’immagine da 4000 euro nei confronti dell’Arma. All’udienza di oggi, Mangialardo era assente. A difenderlo c’era l’avvocato Sabrina Molinar Min, del foro di Torino, per la quale i fatti sono pacifici, ma “la questione è tutta nella sussistenza del danno”
“Il signor Mangialardo, – ha aggiunto il legale, respingendo le accuse nei confronti del suo cliente – dopo un momento di debolezza, perché di questo si è trattato, ha restituito integralmente la somma, senza nemmeno aver speso quanto percepito. Il fatto che il valore fosse contenuto, e che la condotta non sia stata reiterata nel tempo, sono elementi che si ritengono a favore del convenuto. Oltretutto, non essendo all’epoca una figura apicale nell’organizzazione, non si ritiene possa aver creato disdoro all’intera Arma, anche perché il fatto non ebbe eco mediatica. Il mio cliente cercò di evitare problemi sia alla proprietaria, con la restituzione, sia ai Carabinieri stessi, chiedendo immediatamente il trasferimento, per evitare pettegolezzi”.
Di avviso diverso il procuratore Rizzi, che ha replicato insistendo su come “gli eventi si sono verificati in un paese di meno di 2700 anime, dalla superficie di 8.4 chilometri quadrati: non serve il clamore mediatico, il ‘passaparola’ è sufficiente per creare disdoro. Le persone coinvolte nell’accertamento sono state una pluralità, non solo militari. Il ‘pettegolezzo’ c’è stato e anche rilevante”. Tre indici, secondo il magistrato inquirente, ne fanno emergere la significatività: “l’appropriazione è avvenuta da parte di qualcuno cui affidiamo la nostra sicurezza; il valore modesto della somma sottratta è, in realtà, un’aggravante, perché fatti del genere creano dubbi sulla rettitudine di chi è chiamato a garantire la pubblica sicurezza; lo stato di servizio dell’allora Carabiniere vedeva già sanzioni disciplinari per atti contrari al contegno militare”.
Una tesi su cui, nella contro-replica, l’avvocato Molinar Min non si è detta d’accordo: “se è vero che, nel contesto di un piccolo comune tutti sapevano, allora bisognerebbe produrre una prova. Numero degli abitanti e superficie non sono sufficienti a dimostrarlo”. Il processo si è quindi chiuso e la sentenza sarà resa disponibile tra alcune settimane.
Per il presidente Ermete Bogetti, quella di oggi era la prima udienza nelle nuove funzioni. In apertura, il procuratore Rizzi gli ha dato il benvenuto, augurandogli buon lavoro e sottolineando sia “gli elevatissimi meriti professionali”, sia le doti umane: “la rettitudine, la ragionevolezza, la sensibilità che le appartengono sono, per chi è chiamato ad esercitare le funzioni di giudice, qualità non comuni che danno una grande serenità”.