Valanga del Col Chamolé, chiesto il processo per i sei istruttori

L’udienza preliminare, dinanzi al Gup, è stata fissata per il prossimo 23 ottobre. Le accuse, per tutti, sono omicidio colposo plurimo e disastro colposo. Il pm contesta “negligenza, imprudenza ed imperizia”.
Soccorritori e inquirenti sul luogo della valanga.
Cronaca

Compariranno dinanzi al Gup il prossimo 23 ottobre, imputati di omicidio colposo plurimo e disastro colposo, i sei istruttori dell’escursione funestata da una valanga staccatasi dal colle Chamolé (Charvensod) il 7 aprile 2018, che uccise due dei partecipanti. Il pm Eugenia Menichetti, titolare del fascicolo, ha chiesto il rinvio a giudizio per tutti, con l’istanza cui è seguita la fissazione dell’udienza preliminare da parte del Tribunale.

L’uscita in Valle d’Aosta, con il rifugio “Arbolle” come destinazione, era organizzata dalla scuola “Pietramora” del Club Alpino Italiano (composta dalle sezioni di Cesena, Faenza, Forlì, Imola, Ravenna e Rimini), nell’ambito di un corso avanzato di scialpinismo. La convocazione davanti al giudice è stata notificata a Vittorio Lega (48 anni, di Imola), Alberto Assirelli (50, di Ravenna), Leopoldo Grilli (44, di Imola), Paola Marabini (46, di Faenza), Matteo Manuelli (43, di Imola) e Giacomo Lippera (46, di Chiaravalle).

Gli ultimi due, nel distacco dell’importante massa di neve, erano stati travolti e soccorsi, assieme ad un terzo corsista. Non c’era stato purtroppo niente da fare, invece, per il 28enne Roberto Bucci di Imola e per il 52enne Carlo Dall’Osso, anch’egli istruttore Cai di Imola. Durante le indagini, svolte dal Sagf della Guardia di finanza di Entrèves, è stata effettuata anche una perizia tecnica, acquisita agli atti in incidente probatorio.

Gli inquirenti contestano agli imputati di aver agito con “negligenza, imprudenza ed imperizia” radunando “la maggior parte” dei ventun partecipanti “sulla cima del colle Chamolé (quota 2.620 metri circa) ed attraversandolo in corrispondenza di una placca a vento”. A quel punto, secondo il pm, il cumulo di neve, “a causa del passaggio degli sciatori, si staccava e provocava una valanga”, dal fronte di circa 200 metri e sviluppatasi per quasi 600 metri di lunghezza.

La caduta “coinvolgeva l’intero pendio” sul quale si trovavano le “cinque persone ancora impegnate” a salire verso il rifugio. Nell’ipotesi dell’accusa, oltre ad essersi riverberate sull’escursione, le mancanze degli imputati sarebbero iniziate già nella sua preparazione: scegliendo “un percorso rischioso a causa della presenza di pendii esposti al rischio valanghe”, decidendo “un orario di partenza non adeguato in relazione” alla tipologia “di itinerario ed al bollettino valanghe”, nonché omettendo “di assumere adeguate informazioni”, contattando “professionisti esperti del luogo”.

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