Pur essendo guida alpina, non aveva assunto alcuna “posizione di garanzia” nei confronti delle persone con cui era in montagna: non erano quindi clienti, ma amici, quelli assieme ai quali stava compiendo un’uscita di scialpinismo sulla Testa del Rutor, nella Valgrisenche, quel 20 aprile 2016 finito in tragedia.
Per questo motivo, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Aosta Davide Paladino ha archiviato, su richiesta della Procura, la posizione di Nicola Viotti, 42 anni di Alagna, comune piemontese ai piedi del Monte Rosa. Il professionista, assistito dall’avvocato Federico Parini di Aosta, era stato indagato per omicidio colposo a seguito della morte, a causa di una valanga staccatasi durante quell’escursione, di Franco Giuliano (67 anni, del torinese) e di Pietro Gilodi (60, del vercellese, ex gestore del rifugio “Capanna Margherita”).
Le indagini sull’incidente, verificatosi a circa 3400 metri di quota, erano state condotte dal Soccorso Alpino della Guardia di finanza di Entrèves, intervenuto sul luogo assieme al Soccorso Alpino Valdostano. Il gruppo era composto in tutto da quattro persone. Viotti ed un altro compagno erano rimasti illesi. La slavina si era staccata in tarda mattinata, quando i quattro stavano salendo, nel tratto finale del percorso scialpinistico classico, che da Bonne di Valgrisenche porta alla cima del Rutor (3486 metri).
La ricostruzione dell’Ufficio valanghe
Della vicenda, oltre agli organi giudiziari, si è occupato anche l’Ufficio valanghe dell’Amministrazione regionale, realizzando una scheda che ripercorre l’accaduto e lo legge, in particolare, in chiave nivologica. Nel documento, la giornata viene descritta come meteorologicamente “bella” e il “rigelo notturno ottimo”. “Lo strato superficiale della neve – si legge ancora – è formato da una crosta di rigelo primaverile, fino alla quota del Rifugio degli Angeli al Morion; da qui in su si nota uno strato di neve recente di circa 10-20 centimetri”.
Del gruppo di quattro, uno rimane “un poco indietro”, perché “ha problemi con le pelli di foca”. I tre andati avanti giungono “sotto il ripido pendio finale a circa 3350 metri di quota”, dove “il primo scialpinista si toglie gli sci ed inizia a salire a piedi”. I due suoi compagni “arrivano poco dopo”: vedono che “sta faticando, perché facendo la traccia sprofonda nella neve recente, più morbida” e iniziano “a seguirlo, distanziati”, anche loro senza sci.
In zona c’è anche un’altra coppia di piemontesi, che si “ferma a ridosso delle rocce, in una zona dove in precedenza era già scesa in precedenza una valanga a lastroni superficiale, lasciando ben visibile lo strato di sabbia rossa inglobato”. Poco dopo, il quarto scialpinista del gruppo più avanzato, raggiunge gli altri due corregionali rimasti fermi.
“Sono circa le 11.30 quando a circa 3.460 metri di quota – continua il racconto della dinamica – si stacca un lastrone superficiale che travolge i tre scialpinisti sul pendio e li trascina a valle. Gli altri tre, protetti dalle rocce, non sono coinvolti”. Al termine della valanga, il “primo scialpinista si trova in fondo al ripido pendio, parzialmente sepolto”, ma “non v’è traccia degli altri due”. E’ quindi il quarto amico a chiedere alla coppia con cui si era fermato “di allertare il soccorso alpino”. Nel mentre, inizia la ricerca dei dispersi, anche con l’ARTVA.
“Purtroppo – si conclude la descrizione dell’incidente – durante il travolgimento i due scialpinisti sono stati trascinati per un lungo tratto, finendo anche contro le barre rocciose fino al pendio sottostante, a circa 2800 metri”. Un dislivello, sotto la neve staccatasi, di circa 500 metri. Quando sul luogo arriva il SAV, non può che “contestare il decesso a causa dei traumi subiti”.
Considerazioni e aspetti nivologici
Nella scheda, i tecnici regionali si chiedono in particolare “come mai dei tre scialpinisti travolti uno ha percorso solo un breve tratto della valanga, mentre gli altri due sono stati trascinati per centinaia di metri più a valle?”. Le risposte certe sono difficili, “visto che in questi casi conta molto anche la fortuna”, ma un’ipotesi attendibile è possibile, in base ai fatti conosciuti: “lo scialpinista che ha percorso meno strada si trovava più a monte di tutti ed è probabilmente stato investito na una minore massa nevosa”. Considerazione che ricorda come “se dobbiamo attraversare un pendio che riteniamo potenzialmente valanghivo, è meglio" farlo "più in alto possibile”.
Dal punto di vista nivologico, il lastrone staccatosi viene descritto dallo spessore “che varia dai 20 ai 40 centimetri”. “Da notare – aggiunge la scheda – che nel lato sinistro era già sceso (il giorno prima?) un lastrone. Inoltre, durante le operazioni di soccorso si è staccato spontaneamente un altro lastrone sul lato sinistro del pendio sommitale, senza coinvolgere nessuno”.
Nella notte prima dell’incidente, nonostante lo zero termico previsto a 2800 metri, “c’è stato un ottimo rigelo superficiale della neve”. Durante la mattinata, però, “le temperature sono velocemente salite, infatti gli scialpinisti procedevano in maglietta”. Se è vero che “salendo di quota le temperature diminuiscono”, le caratteristiche del pendio finale (inclinato, quindi con raggi che gli arrivano perpendicolarmente, ed esposto a sud-est, e pertanto soleggiato già dal primo mattino) vanno tenute in considerazione.
Secondo i tecnici, un esempio “fa capire la difficoltà per gli scialpinisti nel valutare correttamente le condizioni locali”. La stazione meteorologica di Menthieu, a 1.859 metri (poco sopra la partenza dell’ascensione dei quattro) “nel giorno dell’incidente e in quello precedente ha un andamento della temperatura che è uguale o solo di qualche grado più alto rispetto alle temperature misurate dalle stazioni che si trovano molto più in alto, intorno ai 3.000 metri”.
In sostanza, “se inizio la gita e percepisco delle temperature fresche, mi aspetto – erroneamente in questo caso – che salendo di quota (la gita ha un dislivello di quasi 1.700 metri) avrò ancora più freddo”. Una chiave di lettura per un periodo letteralmente nero sulle montagne valdostane. Nei giorni prima dell’incidente sul Rutor sempre a causa di distacchi nevosi uno scialpinista francese di 36 anni era rimasto gravemente ferito sul Petit Mont Blanc e una donna della stessa nazionalità era morta sotto la punta Bassac, in Valgrisenche.