“Ancora Vivaldi. Ancore Le Quattro Stagioni. Per dire quello che non è stato ancora detto. Per suonarle come non sono state ancora suonate”. La premessa del concerto proposto ieri sera allo Splendor di Aosta promette già un nuovo modo di pensare “Le Quattro Stagioni” di Antonio Vivaldi, capolavoro della musica barocca che I Solisti Aquilani hanno rivisitato in modo innovativo. Lungi dall’essere inflazionato, il repertorio si presta infatti a riletture sempre nuove e proprio per la sua ricchezza di spunti non solo musicali è stato scelto da I Solisti Aquilani, la cui originalità rispetto a formazioni similari che operano in Italia sta appunto nella vocazione sociale di stretto rapporto con la realtà in cui vivono.
Il nucleo di produzione musicale, costituitosi nel 1968 sotto la guida di Vittorio Antonellini, è ospite delle più prestigiose istituzioni musicali e sale da concerto internazionali, inserendosi nella rivalutazione del patrimonio strumentale italiano sei-settecentesco e spaziando fino alla musica contemporanea. Alla Saison, I Solisti hanno proposto un progetto vivaldiano che è stato patrocinato dal Parlamento europeo e presentato anche alla Camera dei deputati di Roma e al Festival dello Sviluppo sostenibile. Dopo la proiezione del cortometraggio “Una nuova stagione”, incentrato sul tema della natura sempre più contaminata dall’uomo, il solista Daniele Orlando ha spiegato l’idea del progetto, frutto della sua esperienza personale di pescarese nato di fronte al mare e cresciuto sulle ginocchia dei pescatori. “Io pescavo quei pochi cannolicchi e vongole che trovavo e loro mi raccontavano che ottant’anni fa bisognava entrare nell’acqua con le scarpe perché ce n’erano talmente tanti che rischiavi ogni volta di tagliarti. Una volta si poteva bere il fiume Pescara che scorre nella città, oggi non si può più neanche guardarlo. Portando le mie due figlie al mare, mi sono reso conto di quanto sia diverso da quello in cui nuotavo da bambino: vorrei far vedere loro i pesci ma spesso non ci sono neanche le alghe”.
Da qui l’idea di un progetto nato molto prima della sensibilizzazione ecologista degli ultimi anni e che parte da quello che è considerato il capolavoro della musica descrittiva, in cui Vivaldi dipinge con le note la natura che poteva leggere, una natura incontaminata che lo sguardo moderno fa fatica ad osservare con gli stessi occhi. Come spiega Orlando, “è cambiata l’unità di misura delle cose” e l’esecuzione si propone di evocare un “chiaroscuro sonoro” tra la natura immacolata “quale ci è stata consegnata” e la natura modificata dall’uomo, “come la stiamo consegnando ai nostri figli”.
Trovano una spiegazione, nelle parole di Orlando, i quattro quadri che costituiscono il cortometraggio che dà inizio alla serata e che, come l’esecuzione, “galleggia nella malinconia di non sapere come andrà a finire”. Il primo quadro è stato girato nella natura rigogliosa dell’Abruzzo, la cui nostalgia è esaltata dalle note de La primavera di Vivaldi. Col secondo quadro si passa al Presto de L’estate, che con la sua veemenza accompagna le immagini, fornite da Greenpeace, di acque marine colme di plastica, iceberg in via di scioglimento e alberi tagliati dalle ruspe. Il terzo quadro, più criptico, vuole fare da contraltare al ritmo giocoso de L’autunno, in cui Vivaldi evoca la festa e l’ubriacatura che segue la vendemmia. I Solisti sono così ripresi in discoteca, per simboleggiare una realtà distorta in cui l’uomo, ignaro di quello che sta commettendo, si permette perfino di festeggiarci sopra. Al termine della festa, però, il protagonista del video torna a casa e, vedendo le proprie figlie addormentate, prende coscienza della realtà e precipita nel sogno di un paesaggio spaventoso, quello della discarica abruzzese di Bussi. Dopo un ultimo tentativo di riconciliarsi con la natura, la scena finale annaspa tra le due possibilità di condanna o di riscatto che sono prospettate da queste Stagioni che si potrebbero definire “antropoceniche”.
L’esecuzione, infatti, vuole esaltare la disarmonia che si è venuta a creare tra uomo e natura e che caratterizza l’epoca in cui stiamo vivendo, denominata “Antropocene” dai geologi. Lo fa, in particolare, con una lettura musicale che valorizza le asimmetrie armoniche e ritmiche e con l’utilizzo di modi di emissione sonora atipici, come l’alternanza “ponte/tasto” o l’uso percussivo delle casse degli archi: tutte tecniche volte ad ottenere un suono a tratti crudo e sporco, in confronto al quale risaltano ancora di più i bozzetti lirici e puliti dipinti da Vivaldi. I diminuendo e i crescendo improvvisi vogliono realizzare sonoramente il contrasto tra la piccolezza dell’uomo e la maestosità della natura: come scrive il direttore artistico Maurizio Cocciolito, “due solitudini in un mondo senza colore, destinate a non incontrarsi… Ma invertendo la tendenza, cambiando le abitudini, si incontreranno. Forse…e il mondo tornerà a essere colorato”. Questa è, forse, l’ultima parola di queste Stagioni postmoderne, che tornano alla natura di Vivaldi per trovare nel passato l’ispirazione per costruire un nuovo futuro, risolvendo le contraddizioni del presente.