“Credo che il ruolo dello scrittore sia quello di esprimere con parole semplici e comprensibili da tutti la complessità del mondo, combattendo attivamente contro l’ignoranza e la paura delle differenze”. Forte di questa motivazione Tahar Ben Jelloun ha incontrato, questa mattina, sotto il tendone allestito in piazza Chanoux per accogliere gli ospiti della rassegna Babel, un pubblico composto in buona parte da ragazzi delle scuole superiori. Lo scrittore è abituato a utilizzare lo strumento del dialogo per portare avanti la propria battaglia contro l’ignoranza. Non è un caso se la sua opera forse più celebre è “Il razzismo spiegato a mia figlia”, un testo che ricorre all’artificio letterario del discorso genitore-figlio, articolato in domande e risposte, per rendere accessibile a tutti il messaggio dell’autore.
Tahar Ben Jelloun ha risposto in francese alle domande postegli in italiano da Giovanna Zucconi, rendendo ancora più manifesta l’intenzione di proporre il dialogo come ponte tra le culture, le lingue e le tradizioni. Lo scrittore ha sintetizzato, a beneficio soprattutto degli studenti, il proprio pensiero rispetto ai temi dell’esilio, delle migrazioni, delle diversità culturali e religiose. Non è mancato un preciso riferimento ai propositi più volte espressi dalla Lega riguardo agli immigrati e alle persone di religione musulmana, ma anche ad alcune esternazioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. “Quando un capo di Stato fa dell’ironia di bassa lega sull’abbronzatura di un uomo di colore, incidentalmente presidente degli Stati Uniti – ha precisato Tahar Ben Jelloun – non commette solamente una gaffe diplomatica, ma offende. Inoltre, essendo il leader del proprio Paese, autorizza implicitamente chiunque a fare lo stesso. L’esempio deve partire dall’alto”.
Il tema spinoso della convivenza tra persone di religione differente è stato affrontato dallo scrittore franco-marocchino con spirito fermamente laico. “La religione è stata inventata dagli uomini per cercare una risposta alle angosce esistenziali, alle paure, alle fragilità che ci sono proprie. Ritengo che la religione sia una questione intima, attinente alla coscienza dell’individuo, e che non possa essere imposta ad altri, né condizionare la sfera pubblica”.
Il tema dell’esilio, che caratterizza tutta la prima edizione di Babel, è emerso prepotentemente anche durante l’incontro tra lo scrittore e il pubblico aostano. “Esistono molti tipi di esilio”, ha spiegato, “come ad esempio quello dettato da ragioni economiche, o da ragioni politiche. Esiste però anche una terza forma di esilio, il rovello interiore, esistenziale ed invisibile di chi si sente straniero in patria, diverso e mal tollerato a casa sua, discriminato dalle leggi e dalla mentalità corrente. Eppure essere estranei, o differenti, è una condizione relativa e biunivoca: tutti lo siamo rispetto a qualcun’altro”. Tutto sommato, dal dialogo tra Tahar Ben Jelloun, Giovanna Zucconi e il pubblico è emersa una profonda fiducia nel potere della parola, vettore di idee e motore della scoperta dell’altro. Le parole a volte esprimono violenza e ignoranza, ma possono anche sconfiggere i pregiudizi, e la militanza intellettuale di Ben Jelloun ne è la prova.