Lo sfondo è quello, splendido e inconfondibile, del Lago Blu, nel Comune di Ayas. Le sue acque cristalline, però, si tingono di “seppia”, un paesaggio che si fa quasi lunare. Anzi, ad ascoltare le parole di “Vita su Marte”, nuovo singolo dei Marlene Kuntz uscito lo scorso 9 settembre e che anticipa l’album “Karma Clima”, addirittura marziano.
La band alt-rock, nata nel lontano 1989, non fa segreto del significato di questa canzone e di questo video. Come il titolo stesso del nuovo disco lascia presagire – ma anche il singolo precedente, “La fuga”, che parla di una socialità inquinante, inquinata –, infatti, l’attenzione si muove sull’ambiente, sulle sue fragilità, sull’impatto devastante delle attività umane che hanno portato all’allarme – conclamato e troppo spesso ignorato – sui cambiamenti climatici.
Ed il Lago Blu, in questo, diventa metafora di questa fragilità. Qui, dove – dice il testo di “Vita su Marte” – “La gloria del sole qui è una magnifica visione, mentre il mondo malato qua sotto è una camera di combustione. C’è un non so che di paradiso e Marte è un poco più vicino”.
Ma anche simbolo: “Mi piace questo viaggio, che vada all’infinito – recitano ancora le lyrics –. Il mondo è un miraggio, ma laggiù il caldo è percepito. L’acqua si esaurisce, il ghiaccio si fa mare”.
Al lancio del singolo, su Facebook, la band spiegava: “Il tono di questa canzone è caustico, violentemente caustico. Dalla visione paradisiaca che tutti hanno vissuto almeno una volta nella vita (viaggiare con l’aereo sopra le nubi bianche illuminate dal sole), la fantasia bacata di un ipotetico ricco sfondato prende il volo per prefigurare concretamente le ipotesi ricorrenti di un rifugio su Marte”.
Ipotesi “al vaglio dei ricchi del pianeta, e questo lascerebbe comprendere una certa noncuranza da parte di chi ci domina – politica e soprattutto economia e finanza – immaginando rifugi avveniristici come enclavi di aria condizionata alla Dubai o l’approdo su Marte. Da tutto ciò il grosso dell’umanità sarà ovviamente tagliato fuori”.
Dunque, “la causticità e l’ironia sono inevitabili nell’immaginare il prototipo del ricco sfondato che trova in un rimedio egoistico la sua propria ipotetica salvezza”, scrivono ancora sui loro canali social.
Ciò che stringe, però, a livello planetario è il tempo. Il tempo – ma forse la vera volontà – di agire per il pianeta. Resta il tempo dell’indifferenza. O, come dicono gli stessi Marlene Kuntz in “Vita su Marte”: Chi ce la farà e chi non ce la farà. Figlio mio, mi dispiace. E chissà se si poteva evitare”.