Il tributo dell’Harlem Gospel Choir ad Aretha Franklin, coinvolgente come pochi

Teatro Splendor all’ennesimo “tutto esaurito” per l’appuntamento che ha visto sul palco una delle formazioni più celebri al mondo nel genere. Oltre all’omaggio a "Lady Soul" non sono mancati i classici natalizi.
Harlem Gospel Choir
Cultura

Chi ha visto, anche una volta sola, il film “The Blues Brothers” sa che uno dei momenti indimenticabili arriva quando, in procinto di riformare la band, i fratelli Elwood e Jake si recano nel ristorante dove lavora Matt “Guitar” Murphy, per reclutare nuovamente l’ex compagno di scorribande musicali. La di lui moglie, interpretata da Aretha Franklin, non è esattamente raggiante all’ipotesi e reagisce cantandogli una “Think” che suona più come un ultimatum coniugale, che non un successo senza tempo.

Il teatro Splendor nella serata di ieri, giovedì 12 dicembre, è stato trasformato (anche) in quel ristorante dall’Harlem Gospel Choir. Parliamo di una delle formazioni più celebri al mondo nel genere (vista, tra l’altro, al fianco di artisti come Bono degli U2 o Elton John, mentre in Italia alcuni coristi si sono esibiti al Festival di San Remo 2022 con Achille Lauro), nata nel 1986 in occasione del compleanno del pastore protestante Martin Luther King. Buona parte del concerto è stato un omaggio ad Aretha, regina di soul, gospel e R&B.

Oltre alla già menzionata “Think”, dal repertorio di “Lady Soul” si sono sentite pure “Respect”, “I Say A Little Prayer” e  “(You make me feel like) A Natural Woman”. In nove in scena – tra soprani, contralti, tenori e baritoni – accompagnati da una tastiera e una batteria (più che sufficienti, quando l’orchestra è fatta di voci), alternandosi al microfono solista i coristi hanno conquistato da subito per l’energia dell’esibizione, con la platea del teatro in piedi a ballare e accompagnare il gruppo battendo le mani a tempo sin da subito.

Nella seconda parte dello show sono arrivati i classici natalizi, quelli che si associano nell’immaginario collettivo all’idea di gospel e di concerto pre-festività. Non solo “Jingle Bell Rock”, e “We Wish You A Merry Christmas”, ma anche “’O Happy Day”. Finale tutto all’insegna dello scatenarsi, con “Celebrate” e “Can You Feel It”, a dimostrazione che dei brani ballabili, spogliati dall’arrangiamento, ma interpretati da voci significative, non perdono nulla della loro carica.

Bis conclusivo, “How I Got Over” di Mahalia Jackson (brano interpretato anche da Aretha), e buon umore e clima festoso sono continuati nel foyer del teatro, con l’intera formazione ad autografare cd e salutare il pubblico. Così come altre istituzioni valdostane, la Saison Culturelle, da tempo, propone alla vigilia delle feste un appuntamento del genere. Funziona in termini di affluenza (Splendor all’ennesimo “tutto esaurito”) e offre una serata di coinvolgente entusiasmo al pubblico. E’ una buona cosa, oltre ad essere la natura stessa dell’intrattenimento.

Vale però la pena di spendere qualche parola per ricordare che il gospel, nelle sue diverse accezioni (almeno due), nasce da inni corali cristiani-metodisti degli afroamericani, mutuati a loro volta da antichi canti spontanei nelle giornate di lavoro della schiavitù negli Stati Uniti d’America, spesso nei campi di cotone. Per dire che quella carica emotiva sprigionata sul palco, che oggi fa muovere le anche e tenere il ritmo con le mani, affonda le sue radici in un orgoglio d’identità per cui la musica (specie cantata) rappresenta un veicolo esemplare.

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