Quando ti siedi al concerto di una band-omaggio ai Pink Floyd, l’interrogativo è uno e soltanto uno: sei davanti a qualcuno che sta fotocopiando il repertorio di un gruppo storico, oppure c’è dell’anima nella musica dal palco? Un dubbio che, puntuale ed indifferibile, hanno posto pure le prime note dello show dei Pink Floyd Immersion, gruppo-tributo di Roma approdato al Giacosa di Aosta ieri, domenica 23 marzo, per una data del suo tour 2024-5.
Che il teatro fosse “tutto esaurito” dice della fame di musica dal vivo degli aostani (e del loop di nostalgia e ricordi che fa da cifra di quest’epoca piena di brutture), ma le parti iniziali di Shine On You Crazy Diamond, che ha aperto buona parte dei concerti della band britannica dal 1987 in avanti, non aiutavano ancora a sciogliere il nodo fondamentale. Tecnicamente nulla da eccepire, e impianto scenico totalmente fedele (dallo schermo ai giochi di luce) a quello portato nei quattro angoli del mondo dai Floyd, fino al 1994.
Però, le corde hanno faticato a vibrare, anche quando gli Immersion hanno attinto al repertorio più recente del gruppo, con Learning To Fly. L’inversione di tendenza, in positivo, arriva con il terzo brano, quella Inside Out che denota considerazione per l’apporto creativo del tastierista Richard Wright (cui tanti fan, dilaniati dal dualismo David Gilmour–Roger Waters, guardano meno di quanto si dovrebbe).
Quindi, un’immancabile Time da The Dark Side Of The Moon (uscito 52 anni fa e venduto in oltre 50 milioni di copie), seguita da un banco di prova da far tremare i polsi: The Great Gig In The Sky. Suonare come Clare Torry nell’lp originale (pensando, oltretutto, che improvvisò la sua parte vocale) è impensabile. Però, la sezione cori degli Immersion (Gaia Aversa, Eleonora Cruciani e Claudia Travaglioni) riesce a non cadere camminando sulla fune.
E’ un altro punto a loro favore, ma il canestro da tre arriva sul finale della prima metà dello show. Giganti palloni gonfiabili piovono sul pubblico (in un’altra similitudine con le soluzioni che hanno reso immortale l’iconografia dei Floyd), mentre il gruppo esegue Fat Old Sun. Siamo nel 1971, tra i solchi dell’album Atom Heart Mother (quello “della mucca”, per i profani), con il gruppo in sospensione tra la grandezza prog raggiunta e la fama mondiale pop all’orizzonte.
Una condizione che la voce di Andrea Codispoti (chitarra e voce) tratteggia delicatamente (e in altri brani, gli ha fatto da contraltare il bassista Giulio Cleri). Dopo un’ora circa, si va così alla pausa ed è alla ripresa che i Pink Floyd Immersion aprono il gas. Lo show svolta letteralmente su Sheep e Pigs, da Animals, la trasposizione in musica (datata 1977) dell’orwelliano “La fattoria degli animali”.
I musicisti sul palco rendono l’album “difficile” dei Pink Floyd calandosi nelle atmosfere distopiche del caso, accentuate da atmosfere hard (Gianluca Catalani alla batteria e Marco Novielli alle tastiere sono cruciali, nel frangente) che fugano i dubbi residui sulla loro autenticità, mentre i maiali gonfiabili svettano sul palco. Dopo Coming Back To Life, Wish You Were Here chiude lo show (peraltro, di quest’ultima, nessun appassionato avrebbe perdonato l’assenza in un concerto-tributo).
Quindi, spazio ai bis, invocati a gran voce. Con ammirevole rigore rispetto all’album originale (The Wall, 1979), si tratta della sequenza: Vera, Bring The Boys Back Home e Comfortably Numb. Sull’assolo fiume conclusivo (si arriva a 13 minuti), dalla volta del palco scende il “fiore luminoso”, altra presenza mutuata dai live dei Floyd. Pubblico conquistato, dubbi svaniti e complimenti al gruppo (restano da citare Leonardo Guelpa, Mauro Miccoli alle chitarre e Tonino Ciotti al sax) dal pubblico fuori dal teatro.
Cos’è mancato? A voler essere pignoli, qualcosa dagli esordi psichedelici, quando il gruppo era capitanato da Syd Barrett (sarebbe bastata See Emily Play, o Astronomy Domine, suonata pure nel tour 1994), oppure da The Final Cut (42 anni dalla pubblicazione venerdì scorso). Però, se la performance degli Immersion dice qualcosa del loro approccio alla produzione floydiana, facilmente ci staranno già pensando. Comunque, non si arriva ad un risultato come quello visto ad Aosta fotocopiando un repertorio, per quanto fatto di successi senza tempo.