Ritratto di una donna non rieducabile, Anna Politkovskaja al Giacosa

Pubblico con il fiato sospeso per l’efficace monologo di Mireille Perrier. Lo spettacolo di Stefano Massini riprendeva spezzoni di articoli, annotazioni, lettere e reportages della giornalista russa uccisa per le sue inchieste sulla Cecenia.
Cultura

Come un fantasma Anna Politkovskaja si aggira sul palco vuoto del Giacosa. Non è l’ennesima biografia di un eroe data in pasto a un pubblico avido di lacrime e sensazioni. Il racconto della nota vicenda di Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca, nel 2006, per le sue inchieste sulla Cecenia, ha ceduto il posto ad Anna stessa, che viene evocata materialmente, come se la giornalista avesse preso in prestito il corpo e la voce di Mireille Perrier e le parole di Stefano Massini per manifestarsi.

In realtà è Massini, autore della pièce – scritta in italiano, poi tradotta in varie lingue, tra cui il francese – ad avere raccolto le parole di Anna Politkovskaja, spezzoni di reportage, rivelazioni, confessioni, denunce, lettere, e di averle assemblate con piglio documentaristico e senza concessioni estetizzanti.

Il pubblico di Aosta, ieri sera, ha assistito a un monologo scarno, essenziale, privo di cornice teatrale, senza scenografia, basato sulla fisicità e l’interpretazione eccellenti di Mireille Perrier. Un’operazione filologicamente interessante e funzionale all’evocazione di una giornalista uccisa perché esponeva fatti nudi e concreti, sottratti alla logica dell’interpretazione personale. “Ho sempre creduto – e continuo a credere – che non stia a noi dare giudizi. Sono una giornalista, non un giudice e nemmeno un magistrato. Io mi limito a raccontare dei fatti. I fatti, come si stanno, come sono. Sembra la cosa più facile, invece è la più difficile. Ed ha un prezzo altissimo. Quale prezzo? Che non fai più un mestiere, ma combatti una guerra” afferma Anna riletta da Massini.

Mireille Perrier ha incarnato Anna Politkovskaja alle prese con la sua lotta quotidiana, fino al tragico epilogo. Lo ha fatto in lingua francese, nonostante lo spettacolo originale, portato in scena nel 2008 con successo da Ottavia Piccolo (Ottavia Petits secondo la casa di produzione, citata nella brochure distribuita dall’assessorato regionale alla Cultura), sia stato scritto in italiano. Un tributo alle Giornate della Francofonia. Naturalmente ciò che conta è il messaggio, non la lingua che lo veicola. Il pubblico infatti è accorso numeroso, richiamato dal nome di Anna Politkovskaja, simbolo del giornalismo indipendente e coraggioso, dichiarata “non rieducabile”, e cioè non corruttibile, dal Governo russo. Il risultato, riuscito, sfugge al rischio, sempre dietro l’angolo, di incorrere  in una sorta di beatificazione laica. “Anche io ho le mani sporche di sangue” afferma cupamente Anna-Mireille, volgendo le spalle al pubblico. Chi ha testimoniato davanti a lei talvolta è stato ucciso dalle milizie russe o cecene. “Se non avessero parlato con me sarebbero ancora vivi”. Alcune interviste, riportate sotto forma di dialoghi, grazie alla capacità mimica dell’attrice, sono veri e propri pugni nello stomaco. Notevoli anche i ritratti dei carnefici, assuefatti alla banalità del male. Spicca l’intervista a un giovane soldato russo: l’esercito manda espressamente in Cecenia truppe composte da criminali e da fanatici nazionalisti, ma anche da orfani, il cui corpo nessuno reclamerebbe. Saša è uno di questi: “Quanti anni hai?” “Diciannove” “Hai già ucciso qualcuno da quando sei qui in Cenenia?” “Sono in regola coi numeri” “Che significa?” “Dobbiamo uccidere tre o quattro ceceni al giorno” “Tre o quattro al giorno? E come fate?” “Non è difficile. Andiamo nei villaggi e facciamo il fagotto umano” “Cos’è il fagotto umano?” “Prendi una decina di persone, le leghi insieme e poi butti una granata in mezzo. Bum. Ce l’hai una sigaretta?”.

 

 

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