Il Governo allarga la web tax alle piccole imprese digitali: le critiche del settore

Nella legge di Bilancio si propone di non considerare più soglie di fatturato globale e locale, allargando di fatto la platea dell'imposta che dovrebbe colpire le imprese digitali italiane, grandi o piccole che siano.
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Economia
L’intento annunciato era di colpire i giganti del web, ma se il provvedimento inserito nella manovra finanziaria dal Governo Meloni non cambierà, nel 2025 rischia di trasformarsi in un balzello sulle piccole e medie imprese digitali editoriali. Come la nostra, per capirci. Stiamo parlando  della Digital services tax, la tassa sui servizi digitali, comunemente chiamata web tax. 
Fino ad oggi era rivolta ai colossi del web, come Google, Meta o Amazon con ricavi globali superiori a 750 milioni di euro e un fatturato prodotto in Italia di almeno 5,5 milioni. A queste grandi realtà si applicava un 3% di imposizione sui ricavi con l’idea di far pagare le tasse anche alle multinazionali che grazie alle loro sedi nei paradisi fiscali contribuivano in modo irrisorio nonostante grandi profitti generati in Italia.
Ora, però, nella legge di Bilancio si propone di cancellare il limite nel volume di affari e non considerare più soglie di fatturato globale e locale, allargando di fatto la platea dell’imposta che dovrebbe colpire le  imprese digitali italiane, grandi o piccole, che lavorano in tre ambiti: la pubblicità online, servizi di intermediazione online e la vendita dei dati raccolti sugli utenti durante la navigazione.

Le critiche delle realtà del settore digitale

L’ipotesi ha sollevato e sta sollevando numerose critiche da parte degli enti e delle realtà che associano imprese a vario titolo impegnate nei servizi digitali e che chiedono a gran voce un intervento correttivo. La Fieg, la Federazione Italiana Editori di Giornali, parla di provvedimento dall’epilogo paradossale: “Si colpiscono tutte le imprese digitali italiane, sottoponendole ad una duplice tassazione e accentuando così la disparità di trattamento e lo svantaggio competitivo nei confronti dei colossi globali del web. Va evitata la beffa di una nuova tassazione sulle imprese italiane del settore, le stesse imprese che si intendeva tutelare e salvaguardare”.
Anche l’Anso, l’Associazione Nazionale Stampa online, a cui il nostro giornale aderisce, parla di scelta sbagliata. “Inserire questa imposta alle piccole aziende editoriali che operano anche in contesti territoriali svantaggiati – dichiara Marco Giovannelli, presidente di ANSO – indebolisce il sistema dell’informazione andando a colpire per primi i soggetti più deboli sul mercato”.
Netcomm, il Consorzio del Commercio Digitale in Italia, mette in guardia sulle conseguenze di questa decisione. “Questa misura rappresenta un colpo di grazia sia per le imprese che operano nel settore dei servizi digitali, sia per quelle usufruiscono di questi servizi, specialmente quelle più piccole o che sono nelle fasi iniziali della loro crescita. La tassa rischia di ridurre il PIL e, a lungo termine, anche il gettito fiscale complessivo, dato che le imprese sarebbero costrette a rallentare le attività di investimento o delocalizzare. Questo crea un ciclo negativo in cui l’imposizione fiscale riduce la competitività delle imprese, rallentando lo sviluppo economico nazionale” è il commento del Presidente Roberto Liscia. 

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