"Ma perché tutti i servizi sociali della Comunità montana Grand Paradis costano di più rispetto al resto della regione?" E’ la domanda, ancora senza risposta, che dal dicembre scorso si fanno alcuni genitori a cui è stato recapitato come regalo di Natale l’aumento delle tariffe del servizio di asilo nido.
Verrebbe da dire, nulla di nuovo. “I comuni hanno meno risorse e per mantenere i servizi sono costretti a chiedere sacrifici ai cittadini”, è il mantra degli amministratori locali alle prese con la quadratura dei bilanci.
C’è questa volta un “però”, e non di poco conto. L’autonomia degli enti locali sulle tariffe dei servizi di asilo nido è stata nel 2010 blindata. La Regione, infatti, dopo un lungo percorso di concertazione con i comuni, i gestori dei servizi e dopo il via libera del Cpel (il Consiglio permanente degli enti locali), è arrivata alla stesura e approvazione di una delibera che detta i criteri di applicazione delle tariffe. Ovvero stabilisce la tariffa minima (155 euro) e quella massima (620 euro) e una formula per calcolare la tariffa per le fasce di reddito intermedie (0,0186 x I.R.S.E.E.+62 euro). Il tutto nella logica di garantire equità nell’accesso al servizio di asilo nido sull’intero territorio regionale. Agli enti locali venivano dati al massimo tre anni, cinque per il Comune di Aosta, per adeguarsi alla delibera.
In questi anni tutte le Comunità montane, a cui compete la gestione del servizio asili nido, hanno fatto propria la deliberazione. Tutte, ad eccezione, della Comunità montana Grand Paradis che nel dicembre scorso ha ritenuto, come si legge nel provvedimento, “inopportuno dal punto di vista politico“ applicare le tariffe e ha dichiarato illegittima la deliberazione, prima concordata con la Regione. Perché? “Ci siamo trovati – spiega il Presidente della Grand Paradis, Bruno Domaine – nella difficoltà di chiudere il bilancio e abbiamo preferito evitare decisioni drastiche come quella di chiudere un nido o una microcomunità”.
Una scelta che ha fatto storcere il naso ai dirigenti della struttura politiche sociali che tramite l’ufficio legale della Regione hanno inviato nei giorni scorsi una lettera alla Comunità montana con la richiesta di chiarimenti.
“Prendiamo atto – spiega Gianni Nuti, dirigente della Struttura politiche sociali – di un mutamento delle esigenze degli enti locali legato ai nuovi scenari socio economici e siamo pronti a rimettere in discussione le tariffe ma contestiamo il metodo con cui si è agito: la Comunità montana non può dichiarare illegittima la nostra delibera. Il principio che avevano fissato tre anni fa e di cui siamo ancora convinti è che i trattamenti debbano essere uguali dappertutto, da Pont-Saint-Martin a Courmayeur, non vi devono essere elementi sperequativi.”.
A contestare il metodo, oltre ai rincari, sono anche i genitori. “A dicembre – spiegano alcuni di loro – c’è stata un’assemblea con i genitori che usufruiscono del servizio e in questa occasione gli amministratori pubblici ci hanno spiegato come la scelta di aumentare le tariffe fosse legata ad esigenze di bilancio, nulla però c’è stato detto sul fatto che esiste una delibera a livello regionale che obbliga le comunità montane ad adeguare le tariffe. E’ indice di poca trasparenza.”
Oltre ad aver aumentato le tariffe (la massima passa dai 620 ai 700 euro mensili) e l’indice di calcolo di quelle intermedie, con aumenti sull’ordine dei 50 euro mensili, la Comunità montana ha deciso anche di togliere le detrazioni, previste in caso di assenze prolungate. Una scelta che dopo le proteste dei genitori verrà applicata solo dal prossimo settembre. “La scorsa estate – spiega ancora una mamma – mio figlio si è prima rotto un braccio e poi, ha preso la varicella, non frequentando il nido. Senza detrazioni, chiunque si troverà nella mia situazione, dovrà pagare per intero il mese e al contempo trovare anche una babysitter o perdere dei giorni di lavoro per assistere il figlio. ”.