Italia sì, Italia no, la guerra dei valdostani. Casa Pound contro la conferenza di Esprit Valdôtain

Esprit Valdôtain con un incontro pubblico spiega perché non festeggia l’Unità d’Italia, mentre Casa Pound fa un picchetto fuori dalla porta. Entrambi sostengono che bilinguismo è strumentalizzato dalla politica. Pierre Lexert: "siamo un’etnia minacciata".
La contro manifestazione di Casa Pound
Politica

Chi sono i veri valdostani oggi? Ognuno ha la sua risposta. Ne hanno una i simpatizzanti di Esprit Valdôtain, l’associazione culturale che ieri sera ha organizzato una conferenza dal titolo significativo, “150 ans… rien à feter”.  Ne hanno una anche i militanti di Casa Pound, che hanno presidiato l’ingresso della biblioteca di Saint Christophe, dove si svolgeva l’incontro, muniti di bandiere e di un grande striscione con su scritto “150 anni di sangue e di eroi”. Ne hanno sicuramente una anche tutti coloro che non erano lì, valdostani pure loro. “Siamo qui per affermare la nostra identità millenaria di italiani, contro un autonomismo di facciata e un impiego della lingua francese inesistente e strumentalizzato dal punto di vista politico” ha sostenuto un attivista di Casa Pound, che ha preferito restare anonimo. Nella sala conferenze della biblioteca, intanto, prendevano posto gli oratori, trai quali c’erano tre invitati speciali: Pierre Lexert, Patrick Bertoni e Lorenzo Del Boca. Curiosamente, anche loro hanno deplorato, in lingua francese, però, “l’autonomismo di facciata”, e hanno definito l’impiego della lingua francese inesistente e strumentalizzato dalla classe politica.
La premessa è la medesima, ovvero che il bilinguismo perfetto, secondo cui l’italiano e il francese avrebbero pari importanza, è una chimera, ma cambiano i presupposti e soprattutto gli obiettivi. In Valle d’Aosta, sostiene Esprit Valdôtain, il francese, soppiantato dal fascismo, e poi dall’immigrazione interna, avrebbe ricevuto il colpo di grazia da parte di una classe politica ostile alla lingua degli avi.

Il terrorismo culturale italiano
Se il gruppo assiepato fuori dalla biblioteca poteva essere a giusto titolo definito “nostalgico”, chi stava dentro l’edificio non era da meno, anche se faceva riferimento non al ventennio, ma ai secoli di autonomia linguistica prima dell’Unità d’Italia. Un’epoca conclusasi bruscamente, ha ricordato Pierre Lexert, storico e intellettuale franco-valdostano: “La Valle d’Aosta, che aveva alle spalle 1400 anni di non –italianità si è ritrovata in Italia dall’oggi al domani, e si è travestita da regione italiana” E’ come prendere una bottiglia di Borgogna e attaccarci un’etichetta con su scritto Chianti, cambia il nome, ma il vino è lo stesso”.  E’ un po’ quello che è successo in Savoia, ha spiegato il giornalista transalpino Patrick Bertoni. “L’annessione alla Francia è stata estorta con mezzi anti-democratici, è stato un matrimonio forzato. Ma la storia la scrivono i vincitori, purtroppo, e così le giovani generazioni savoiarde non ne sanno quasi nulla”.
La Valle d’Aosta non se la passerebbe meglio, anzi. La diffusione del francese si è affievolita sempre di più. “Negli uffici pubblici devo spiegare come si scrive il mio nome, e se mi esprimo in francese vengo derisa e ignorata. Subiamo ogni giorno il terrorismo culturale degli italiani” spiega Patrizia Bérard, moderatrice della serata. Altro che “maîtres chez-nous”. E’ Pierre Lexert, però, a sdoganare chiaramente il termine “etnia”, definendo le tre componenti demografiche principali della regione autonoma: i valdostani, gli italiani e i “misti”. Solo i primi parlano francese, o per lo meno lo parlerebbero, se fossero meno soggetti al colonialismo culturale imperante: “I nostri insegnanti di francese – ha affermato – sono italiani. Chi studia la lingua francese lo fa solo per lavorare in regione, e poi se la dimentica immediatamente. I veri valdostani francofoni, invece, si ostinano a parlare un francese approssimativo, e spesso vengono superati dagli italiani nei concorsi pubblici. Motivo per cui poi se la prendono con il bilinguismo. L’unica soluzione possibile era da attuare per tempo: creare due filiere scolastiche distinte, una francese e una italiana, come hanno fatto in Alto Adige. Ma ormai è troppo tardi”.  

Controstoria del Risorgimento
Quanto allo storico ed ex presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Lorenzo del Boca, si è espresso in italiano per raccontare l’unificazione dell’Italia, argomento di due suoi libri. “La verità non ha colore, né tricolore, e il revisionismo, inteso come ricerca di documenti e restituzione del diritto di parola anche ai vinti, è legittimo e doveroso” è stata la premessa, che forse non sarebbe dispiaciuta ai militanti di Casa Pound in attesa fuori dalla porta. “Non capisco la foga con cui si parla di Italia, soprattutto da parte di esponenti della sinistra come Bersani e la Finocchiaro, che tifavano Urss. Tutto ciò che oggi ci fa infuriare ha un padre e una madre, Vittorio Emanuele II e Cavour  – ha sostenuto l’autore di “Polentoni: come il Nord è stato tradito”.

“Oggi ci si indigna per cose che sono avvenute anche in passato. Cavour approvava leggi a proprio vantaggio, non l’abbiamo mica inventato oggi il conflitto di interessi. Sempre Cavour non esitò a silurare D’Azeglio e a formare un governo con Rattazzi, acerrimo nemico del proprio schieramento, ma adesso diamo del voltagabbana a Domenico Scilipoti, dipietrista che ha salvato il governo Berlusconi. Infine – ha concluso – nel 1855 Cavour ha aderito alla Guerra di Crimea, che è costata la vita di 1500 bersaglieri, per potersi sedere al tavolo dei vincitori, e noi lo definiamo comunque un grande statista. Lo stesso tipo di ragionamento portò Mussolini ad trascinare l’Italia in guerra attaccando la Francia. Insomma, nell’esprimere valutazioni storiche usiamo due pesi e due misure”. Con questi arditi parallelismi è calato il sipario sulla serata.

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