Stipendi amministratori Comunità montane, la Consulta dà ragione alla Valle d’Aosta

Il comma 22 dell’articolo 23 del decreto “Salva Italia” non si applica alle regioni a Statuto speciale. Novità anche sulla centrale unica di committenza: non vige l'obbligo nelle Regioni speciali per i comuni sotto i 5000 abitanti.
Politica

I componenti delle Comunità montane e il Presidente del Bim possono o meglio potrebbero tornare a ricevere ogni mese lo stipendio. La Corte Costituzionale ha infatti dato ragione alla Valle d’Aosta dichiarando, con il ricorso 220 depositato venerdì scorso, che il comma 22 dell’articolo 23 del decreto “Salva Italia” non si applica alle regioni a Statuto speciale. In particolare la disposizione impugnata dalla Regione Valle d’Aosta introduceva il divieto di corresponsione, sotto qualsiasi forma, di emolumenti a favore dei titolari di cariche, uffici od organi di natura elettiva di enti territoriali non previsti dalla Costituzione. E’ il caso appunto delle Comunità montane, istituite da legge ordinaria.

A commentare con soddisfazione la sentenza è il Presidente del Cpel, Bruno Giordano. “Di fronte alle responsabilità gestionali pesanti in capo ai presidenti e ai membri delle comunità montane, era assolutamente fuori dal buon senso pensare che potessero esercitare questi incarichi a titolo onorifico”.

Aspettando di conoscere la sentenza della Consulta alcune comunità montane avevano deciso di rinunciare ai compensi. E’ il caso ad esempio della Mont Rose e della Grand Combin che approvando il bilancio aveva detto addio definitivamente alle indennità del 2012,  con un risparmio ad esempio per quest’ultima di 120 mila euro. Per il 2013 le comunità montane non avevano messo a bilancio la voce relativa ai compensi degli amministratori, anche alla luce dei tagli dei trasferimenti regionali. Difficile quindi oggi pensare che vi possa essere un’inversione di rotta, visti i problemi degli enti locali a far quadrare i bilanci e la riforma in itinere.

Dalla Consulta arriva poi un altro verdetto, destinato ad avere qualche ripercussione in Valle d’Aosta. La Corte Costituzionale, infatti, su ricorso promosso dalla Regione Friuli Venezia Giulia ha messo nero su bianco che l’obbligo, per i comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti, di aderire a centrali uniche di committenza non si applica alle Regioni a statuto speciale.
La Valle d’Aosta per rispondere al dettato normativo nei mesi scorsi aveva dato vita al Meva, il mercato elettronico della Valle d’Aosta, affidandone la gestione a Inva. Una scelta accompagnata da un coro di voci polemiche, le ultime emerse nella scorsa riunione del Cpel.
Sulla questione la minoranza ha iscritto all’ordine del giorno del prossimo consiglio regionale una mozione nella quale si chiede di “sospendere, l’adesione ad INVA, e valutare attentamente quale sia l’ambito ottimale della Centrale di Committenza, oltre che dare indicazioni precise agli Enti locali perché possano attuare le scelte più idonee al risparmio nella Pubblica Amministrazione, ma nello stesso tempo vengano salvaguardate ditte, fornitori, imprese locali con importanti ritorni occupazionali e fiscali.”

“Sono soddisfatto che si riconosca la nostra autonomia – spiega il Presidente del Cpel, Bruno Giordano – ma voglio ribadire come rispetto a questo problema la Valle d’Aosta ha deciso di intraprendere un percorso che è un onesto tentativo di legare l’economia al proprio territorio. E’ poi evidente che aldilà dell’imposizione giuridica esiste un discorso legato alle minori risorse a disposizione. Con questa sentenza i comuni avranno più margini di autonomia per individuare la soluzione migliore che gli consenta di mantenere un corretto quadro economico”.
 

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