Da 30 anni anche la Valle d’Aosta ha una Culla per la vita presso il convento delle suore di San Giuseppe, in via Anfiteatro 2 ad Aosta. Pensata per tutte quelle mamme in difficoltà che cercano un luogo protetto e sicuro in cui lasciare il proprio neonato, la struttura è di recente tornata al centro dell’attualità: è nella culla della Clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano che una madre ha scelto di abbandonare il proprio piccolo Enea la mattina di Pasqua.
Installata il giorno dell’Epifania del 1993 su iniziativa dell’allora presidente del Movimento per la vita di Casale Monferrato Giuseppe Garrone, la Culla per la vita valdostana è dotata di tutti i comfort e gli accorgimenti necessari ad accogliere per breve tempo un piccolo ospite.
“Abbiamo scelto questo posto sia perché abbastanza riservato sia perché direttamente collegato con la nostra infermeria di modo che, in caso di abbandono, anche di notte il bambino potesse essere velocemente soccorso – rammenta suor Armanda, una delle sorelle promotrici della realizzazione della prima “Culla per la vita” valdostana -. Grazie a dio, la culla non è mai stata utilizzata né è mai stata oggetto di scherzi o atti di vandalismo che mancassero di rispetto al luogo”.
La Culla per la vita si ispira alle Ruote degli esposti, finestre roteanti sfruttate dagli ospiti dei conventi per scambiare cibo e oggetti con l’esterno e spesse volte utilizzate per abbandonarvi i neonati non voluti. Installata lungo vie e all’interno di piazze facilmente raggiungibili, la Culla per la vita garantisce segretezza e privacy alle madri ed è dotata di una serie di dispositivi quali riscaldamento, chiusura di sicurezza e rete con il soccorso medico che ne agevolano l’utilizzo permettendo il pronto intervento in caso di necessità.

Il parto in anonimato
Oscillano mediamente tra i due e i tre i casi di madri che ogni anno richiedono invece all’Ospedale Beauregard di Aosta il parto in anonimato. Secondo quanto stabilito dal Decreto del presidente della repubblica risalente al 3 novembre del 2000, ogni donna che non riesca ad affrontare la propria maternità ha il diritto di non riconoscere il proprio figlio e di affidarlo alle cure del personale ospedaliero che la segue.
“Purtroppo non tutte le coppie sono a conoscenza di questa opzione di tutela di se stessi, del nascituro e, accanto a lui, di tutto il bellissimo mistero che ruota attorno alla vita umana – osserva il primario della struttura complessa di Ostetricia e ginecologia, Livio Leo -. È importante che le donne sappiano e capiscano che quello della loro gravidanza non è un percorso di solitudine ma che, come ospedale, abbiamo i mezzi per aiutarle e accompagnarle nonché per proteggere il neonato e tutte le potenzialità ancora inespresse che egli porta con sé”.
Dal momento che il nome della madre deve restare segreto, la dichiarazione di nascita viene compilata dal medico o dall’ostetrica che la seguono; la legge impone peraltro che il successivo atto di nascita, necessario alla creazione dell’identità anagrafica nonché all’acquisizione di nome e cittadinanza, riporti l’apposita dicitura “nato da donna che non consente di essere nominata”.

Il percorso nascita
Viene creato nel 2018 il cosiddetto percorso nascita dell’Ospedale Beauregard, un asse di sostegno per futuri genitori che li assista in ogni delicato momento che precede e segue il parto.
“Grazie a uno stretto legame tra ospedale e territorio, siamo in grado di accogliere qualsivoglia donna con test di gravidanza positivo in uno dei vari consultori della regione, una delle poche in Italia in cui un’ostetrica controlla ogni aspetto della gravidanza fisiologica – prosegue Leo -. Quando una madre entra nel nostro sistema viene dapprima informata dal punto di vista sanitario e, nel caso subentrino difficoltà, può trovare il conforto di persone specializzate tra cui uno psicologo e un team interno al punto Pangolo dedicato alle giovani”.
Un altro step fondamentale del percorso nascita è rappresentato dalle 10 lezioni del corso pre parto, il quale affianca alla formazione l’amicizia e l’empatia necessarie a far emergere eventuali situazioni di disagio che richiedano un intervento.
“Trascorse le 36 settimane, la paziente accede in ospedale per valutare le proprie condizioni cliniche, riportate in apposite cartelle cliniche informatizzate e accessibili a ogni professionista, ed esprimere la propria volontà di parto in anonimato – spiega Leo -. In un periodo di forte denatalità, la nostra diviene una sorta di missione sociale per attuare la quale ci serviamo di azioni di supporto collaterale in collaborazione con le associazioni locali per fare fronte a difficoltà per esempio nell’allattamento, nelle condizioni ginecologiche o nell’affrontare eventuali patologie”.
L’adozione
Dopo che il caso viene segnalato alla Procura della Repubblica per il tramite del Tribunale per i minorenni, per il neonato si aprono le porte dell’adozione da parte di una coppia giudicata idonea e di cui egli diviene figlio legittimo. Una volta cresciuto, l’adottato ha il diritto di accedere alle informazioni concernenti l’identità dei suoi genitori biologici soltanto se egli è stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e se questa non abbia espresso il desiderio di restare una mamma segreta.