Chiude la Mèison de la Polenta e “Napoleone” va in pensione

Felice Verraz e Irma Chamonin chiudono lo storico locale di Saint-Oyen dopo una vita di passaggi all'ombra del Colle del Grand San Bernardo. A tavola si sono seduti sceicchi, monsignori, nunzi apostolici, ambasciatori e tante persone comuni che sono diventati amici.
Irma Chamonin e Flice Verraz
Società

Poteva essere un’altra storia, quella di un emigrato valdostano in Arabia con la famiglia, invece, la vita di Felice Verraz, e di sua moglie Irma Chamonin, è un cerchio con mille viaggi al suo interno: parte dalla Coumba Freida e lì ritorna. Non per questo, però, è stata una vita meno affascinante.

Se l’accoglienza avesse un volto, sicuramente sarebbe incorniciato da una cascata di riccioli bianchi lucenti, quelli di Felice Verraz, e se questo volto potesse parlare, lo farebbe con le parole di sua moglie Irma. Insieme, dal 1971 al 2025, hanno gestito due locali storici della vallata del Gran San Bernardo, segnando momenti e facendo la storia dell’ospitalità transfrontaliera valdostana.

Nel 1964, Felice Verraz è un giovane geometra neo diplomato, assunto dalle Autostrade Valdostane nei cantieri atti alle acquisizioni dei terreni sulla Quincinetto-Aosta. Si sposa con Irma nel 1969 e, dopo alcun anni, gli viene proposto di partire per l’Arabia per conto della sua azienda e di lavorare con la squadra valdostana alla creazione della rete autostradale araba.

“Ammetto che ci abbiamo pensato – sorride Felice nel ricordarlo ora, a distanza di più di 55 anni -, saremmo partiti con nostra figlia Cristina nata da poco, ma poi un nostro conoscente ci parlò del Bar du Lac al Gran San Bernardo e del fatto che cercassero persone disposte a riaprirlo. E dentro di noi ci siamo detti che era una pazzia che andava fatta“.

Il Bar du Lac all’epoca, siamo all’inizio degli anni ’70, è poco più che una baracca “senza luce, senza servizi igienici e senza acqua potabile”. A gestirlo fino alla fine degli anni ’60 fu Attilio Magnanini, il Re dei contrabbandieri, che già all’epoca lo trasformò in un ritrovo per tutte le persone che non solo transitavano al Colle, ma che lì vivevano per diversi mesi.

Ed è con questo spirito che i coniugi Verraz iniziano questa avventura. Il comune di Saint-Rhémy (all’epoca Bosses era solo una frazione ndr.), mise all’asta la costruzione e diede il via, inconsapevolmente, ad una unga storia di ospitalità.

La Mèison de la Polenta a Sant Oyen
La Mèison de la Polenta a Sant Oyen

Il bar al Colle del Grande viene quindi ristrutturato e ovviamente dotato dei servizi: “Già all’epoca – continua Felice -, decidemmo di far mettere i servizi igienici all’interno, dopodiché dovemmo fare dei lavori strutturali importanti per renderlo funzionale. Aprimmo ufficialmente nel 1973, a condurlo eravamo noi con mia suocera Marcella Bois e mia mamma Isa Bianquin ed è questa rete familiare che ci ha aiutati davvero molto a capire cosa fosse l’accoglienza, quella vera, e l’onestà con cui il cliente deve essere messo al centro del nostro lavoro. Mi diverto sempre a dire che le due lettere cardine della nostra vita sono A e O, proprio come Aosta e significano accoglienza e ospitalità. Ricordo tanti aneddoti, ad esempio l’assenza di telefono inizialmente, poi il telefono con il ponte radio e l’essere diventati così un punto di ritrovo di coloro che lassù dovevano stare per forza. Per esempio, Irma era diventata la mamma di tutte le forze dell’ordine che stavano al Colle e a Bosses durante l’anno: andavano da lei quando erano tristi, quando avevano problemi di cuore o anche quando saltava un bottone all’uniforme e lei pazientemente lo cuciva. Quanti bottoni ha cucito!“.

La gestione di Felice e Irma al Gran San Bernardo dura fino al 2001, quando i co-gestori dell’epoca, subentrati proprio per agevolare il cambio, ne rilevano la conduzione totale e i coniugi Verraz scendono un po’ più a Valle, senza abbandonare la Coumba Freida: “La nostra Mèison è stata costruita nel 1824, come riporta la data sulla trave, e già allora era nominata Maison de La Polenta, in quanto coloro che lavorarono alla sua costruzione erano originari della Valle di Gressoney e a loro veniva spesso corrisposto un piatto di polenta come remunerazione. Successivamente, vista la sua posizione strategica, qui sorsero le scuderie per il cambio di muli e cavalli, e poi, a inizio XIX secolo, le stalle. Infine, negli anni Sessanta e Settanta, divenne l’abitazione civile della famiglia Verraz. Il locale che aprirono Irma e Felice invece è stato inaugurato nel 2003, quando una parte dell’abitazione fu donata al figlio Davide per conservare il cognome e con la promessa di fondare una casa di accoglienza.

Felice Verraz
Felice Verraz

Detto fatto, la casa di accoglienza ha ospitato per più di 20 anni, dal 2001 fino al 2025, clienti da tutto il mondo, esattamente come a suo tempo fece il Bar du Lac, ma sempre “nel segno del rispetto reciproco e con la voglia di accogliere e ospitare, nel senso più profondo del termine. Per noi non ci sono rimpianti e non ci sono rimorsi, siamo felici di quello che abbiamo dato perché abbiamo sempre ricevuto molto di più ed è stato gratificante in ogni momento, anche in quelli meno semplici”.

A tavola da Irma e Felice si sono seduti in tanti, sceicchi, monsignori, nunzi apostolici, ambasciatori e tante persone comuni che sono diventati amici, che sono entrate a far parte di quella famiglia che il 7 di settembre, e già molti giorni prima, ha preso d’assalto la Mèison per salutare i gestori e “Napoleone”, il condottiero che ogni tanto Felice si divertiva a interpretare e che ha radici lontane: “Era partito tutto dai miei studi in Seminario ad Aosta, dove, dopo aver letto un libro di Raffaele Ciampini su Napoleone, avevo avuto una epifania. Per me quel libro era diventato come il Vangelo e mi ero davvero interessato alla figura di Napoleone per il suo carisma e la sua capacità di leggere l’animo delle persone. A quel punto, nei lunghi momenti in cui in Seminario, con i miei compagni, dovevamo stare in silenzio, in fila, in preghiera, io scrutavo i loro volti e proprio come Napoleone leggevo i loro pensieri. Da lì dissi ai miei compagni che da quel Seminario sarebbe uscito il piccolo grande esercito di Napoleone. Era una messinscena, ma quel personaggio non mi ha più lasciato e ogni tanto mi sono divertito a interpretarlo: avevo vestiti di recupero come stivali della Polizia, cappotto della Polizia e un bicorno che alcuni clienti mi portarono dalla Svizzera; per il bicentenario del suo passaggio al Colle però feci le cose in grande e parte del costume arrivò direttamente con un aereo da Cinecittà!“.

Felice nei panni d Napoleone
Felice nei panni d Napoleone

Per Felice e Irma il cerchio si è quindi chiuso il 7 settembre, là dove doveva chiudersi, nella Coumba Freida che quasi 55 anni fa li aveva richiamati: “Nel 1937 – continua Felice -, mio padre era nella milizia confinaria di stanza al Colle del Grande, quel luogo carico di energia e spiritualità era già nel mio destino ed è stata una bella storia da vivere tornare lì e rimanerci per così tanto tempo. Il cerchio si è chiuso dopo che la mia famiglia scese a Brissogne, poi a Pollein e dopo che la Mèison venne data a Davide, mio figlio. Siamo contenti di quello che abbiamo fatto e siamo convinti che le avventure debbano finire quando si è ancora al punto più alto, felici e non stufi. È con questo spirito che abbiamo chiuso le porte del locale a Saint-Oyen ed era già così che avevamo salutato il Bar du Lac. Bisogna essere felici e non avere rimpianti, ma soprattutto bisogna lasciare quando i ricordi sono belli e fanno ancora sorridere”.

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