Fiha di civet: sui social accuse di sessismo per la locandina

A esprimere la sua indignazione per l’inopportunità e il cattivo gusto della immagine è in primis Katya Foletto, Presidente dell’Associazione Dora Donne Valle d’Aosta. "Non c'è nessun senso ad usare quella rappresentazione, è ora di smetterla di usare il corpo delle donne seminude per pubblicizzare auto, barche e moto”.
Schermata alle
Società

L’edizione 2021 della Fiha di civet, organizzata dal Comune di Valsavarenche, sarà ricordata più che per il suo programma e la sua cucina, per le polemiche sui social innescate dai manifesti e dalle locandine promozionali ideate dal grafico Giuliano Morelli.

L’immagine centrale raffigura una donna, seminuda, vestita di una sola pelliccia bianca che cavalca un camoscio. Sopra la scritta grande “Fiha du civet”. Un abbinamento che in molti in rete hanno letto come provocatorio, quando non un vero e proprio gioco di parole sessista che richiama l’organo riproduttivo femminile.

A esprimere la sua indignazione per l’inopportunità e il cattivo gusto della immagine è in primis Katya Foletto, Presidente dell’Associazione Dora Donne Valle d’Aosta. “Che senso ha utilizzare un’immagine di donna, in quella posa, semisvestita, per promuovere una festa in cui si mangia il camoscio? Nel programma della manifestazione non c’è nessun richiamo al femminile né viene organizzata al suo interno un’iniziativa in cui c’entrano le donne. Insomma la modella è proprio solo usata in chiave sessista, ed è ora di smetterla di usare il corpo delle donne seminude per pubblicizzare auto, barche e moto”.

Nella sua riflessione Katya Foletto si spinge oltre chiedendo conto della scelta all’amministrazione comunale guidata da Pino Dupont. “Non so se si rende conto che il Comune mettendoci delle risorse concorre a questo sfruttamento, mentre ci sono in Italia  amministrazioni comunali impegnate a firmare protocolli e ad organizzare iniziative per promuovere un linguaggio più rispettoso delle donne e del loro corpo”.

Dal canto suo Giuliano Morelli che ha realizzato il manifesto getta acqua sul fuoco. “Alla base del mio lavoro non c’era nessun intento provocatorio, né nessuna volontà di offendere le donne”. Dispiaciuto degli attacchi ricevuti in rete dalla modella – “ahimé soprattutto da donne” – che, ci tiene a precisare, in realtà non esiste. “E’ creata da un algoritmo di intelligenza artificiale, nessuna ragazza è stata “costretta” a posare a cavalcioni su un camoscio”. Giuliano Morelli per creare questa immagine racconta di essersi liberamente ispirato alla fotografia d’arte di David La Chapelle. “Direi che spesso il peccato è negli occhi di chi guarda”. E aggiunge: “Nella critiche lette in rete direi che c’è un po’ di ipocrisia di fondo, la manifestazione, da sempre denominata in patois, si scrive e si dice così”.

Una cosa va sicuramente riconosciuta a chi ha curato la promozione dell’evento. Mai come quest’anno si era parlato così diffusamente di questo evento in programma il 7 agosto a Degioz. Ora sarà curioso verificare, a posteriori, se il motto di Oscar Wilde “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli” ha sortito degli effetti in termine di partecipazione.

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