“La montagna per me è stata una nuova possibilità, quando pensavo di non averne più in città”. Lo scrittore Paolo Cognetti, tra coloro che oggi hanno ricevuto l’onorificenza di Ami de la Vallé d’Aoste, invitato a fare un parallelo, ha raccontato la sua idea del rapporto che può intercorrere tra le terre alte e la realtà urbana. “La montagna – ha aggiunto poi – per quelli della generazione di mio padre è stata una scuola dove portare i figli ad apprendere nuovi valori”. Anche la città però può dare lezioni, “perché è un luogo di convivenza e incontro tra diversità”.
La montagna, in questo caso Ollomont, per la giudice e costituzionalista Marta Cartabia è “una piccola anticipazione di paradiso”. “Ne parlavo con mio figlio – racconta – che subito mi ha detto come i periodi passati nella Valpelline fossero un modo per staccarsi dalla solita realtà, ma poi abbiamo convenuto come siano invece un modo per attaccarsi alla vera realtà della vita”. Carabia allora, riferendosi ai lunghi periodi passati tra le montagne valdostane, evoca Giacomo Leopardi: “Quando tutto tace, tutto comincia a parlare”.
La giornalista e scrittrice Valeria Montaldi ricorda poi le sue vacanze nella regione, trascorse “fin da quando ero ragazzina e che mi hanno fatto scoprire il profumo dei boschi, l’azzurro del cielo, la nebbia che sale dalla valle e ti sorprende: sono tutte cose che insegnano qualcosa ad uno scrittore”. Montaldi ha ambientato sei romanzi nella Valle d’Aosta medievale, realtà che ha studiato a fondo: “Questa è sempre stata una zona di passaggio – afferma – che ha sempre accolto tutti e li ha lasciati passare”.
Il fondatore di Assotour e Assotravel Giorgio Palmucci racconta come “la maggior parte dei turisti, per scegliere la località in cui recarsi, cerca un luogo che susciti emozioni e qui in Valle siamo avvantaggiati”. Emozioni che ha provato e ha fatto provare alla platea Karel Vrijsen, che in quarant’anni ha organizzato il soggiorno in Valpelline di circa 300 mila scout belgi, definendosi “un ‘petit belge’, ma felice e riconoscente” e cimentandosi in accorati ringraziamenti in dialetto patois: “è importante insegnarlo ai giovani ed è un peccato quando non viene trasmesso, per quanto però non sia la fine del mondo”.
Il docente di diritto amministrativo Adolfo Angeletti sostiene, raccogliendo un lungo applauso, come “la Valle d’Aosta merita di più di quello che ha ricevuto dallo Stato: durante l’alluvione del 2000, ad esempio, ha deciso di fare da sola e ha fatto presto e bene”.
Tra gli Chevaliers, lo sportivo Simone Origone ha parlato del “senso di grande forza e potenza, ma anche di leggerezza che si prova sugli sci”. La guida alpina Renzino Cosson ha poi rievocato commosso la sua celebre foto scattata a papa Giovanni Paolo II sui ghiacciai del Monte Bianco: “Mi disse che lì non si dovrebbe venire in elicottero come era stato obbligato a fare, ma a piedi e io ho pensato che per quanto non si sappia chi ha creato la natura, questo ha sicuramente buon gusto e sta a noi difenderla”.
Il direttore d’orchestra Fulvio Creux che ha orchestrato e interpretato la versione fedele alla partitura autografa dell’Inno nazionale italiano, ha proposto un parallelo con l’altro emblema che caratterizza una patria, la bandiera: “L’inno penetra nel cuore e viene compreso ancora prima del simbolo”. Renato Barbagallo, per anni segretario generale della Regione e autore del celebre testo “La regione Valle d’Aosta” ha raccontato di essere venuto in Valle d’Aosta dalla Sicilia negli anni Sessanta e di essere stato subito colpito “dal senso della cosa pubblica dei valdostani: da allora ho sempre cercato di lavorare in questo solco”.