Mai senza un cappello calato in testa. Già dietro al bancone dello (ormai) storico Café du Vélo la sua passione per i cappelli era evidente, tanto da accogliere i clienti ogni giorno con un copricapo diverso, e infine è diventata più di un interesse, un’attività, ma sempre senza imposizioni.
Dismessi i panni da barista, dopo una vita come fonico, le sue passioni hanno modo e tempo per esprimersi e tra queste specialmente l’arte di creare cappelli: dall’ideazione alla creazione, passando per lo studio delle forme e dei materiali, passaggi cruciali dei suoi Don Renò Hat.
La vera forza di questa nuova attività è la naturalezza con la quale è cresciuta, senza però la minima intenzione di farla diventare un lavoro, come spiega René Cuignon: “Voglio che questa attività resti un hobby, una passione. È così che mi piace pensarla ed è così che è nata e vorrei che, in un mondo dove tutto è sempre girato e pensato perché possa sostenerti economicamente, questo sia per me solo una passione, qualcosa che mi gratifica e mi fa stare bene. La spinta principale è la volontà di imparare, di riuscire a creare qualcosa, di essere artigiano e di mettere in pratica tutte le conoscenze che strada facendo riesco a fare mie”.

Il processo per la creazione dei cappelli di Don Renò è lunga e parte dall’individuazione di forme e materiali, oltre che da uno studio vero e proprio della storia dell’accessorio principe, e forse più difficile da portare, che l’uomo abbia mai creato. Da più di 10 anni la passione per i cappelli accompagna René nella sua quotidianità, ma solo 2 anni fa ne riscopre a pieno il fascino e specialmente di quelli a falda larga, più difficili da trovare sul mercato europeo e, tradizionalmente di ispirazione statunitense.
La curiosità si fa concreta e René comincia a reperire informazioni e a contattare artigiani e appassionati da tutto il mondo; la sua strada incrocia quella del cappellificio monzese Fratelli Vimercati che, a sua volta mette in contatto Cuignon con esperti del settore: “È una rete. La cosa più stimolante del percorso è entrare in contatto con tanti appassionati che possono fornirti informazioni e con cui si instaura continuamente uno scambio umano e concreto. Ho conosciuto anche la realtà di Raw Hat, con il quale ho condiviso un progetto e che mi ha dato la spinta necessaria per iniziare a produrre dei modelli personalmente. I miei sono ovviamente cappelli su misura, non esiste un vero target, ma ammetto che non vorrei un mondo dove tutti portano cappelli, poiché è un accessorio davvero impegnativo e, in un mondo dove il giudizio è quotidiano, calarsi un copricapo in testa è un gesto di libertà e di carattere forte”.

Il processo che permette al materiale di diventare cappello è lungo e , creativamente parlando, fatto di incontri e suggestioni: “Adoro l’idea di avere un contatto con la persona che indosserà un mio cappello; si cerca sempre di studiarlo insieme e spesso la persona visita il mio laboratorio a Montjovet, proprio perché ci sia più condivisione possibile. Si parte dalla forma in legno che può essere tonda o ovale, si scalda il feltro con il vapore e poi a mano a mano si lavorano le varie modalità di corona, come Cattleman o Fedora, per citarne due tra le più diffuse”. Dopo le fasi preparative e la creazione base è tutto possibile: René si diverte a giocare con i dettagli che la persona ispira: piume, piccole spighe e spille, tutto è possibile affinché la personalizzazione renda un cappello ancora più intimo e unico. A vestire i cappelli di Don Renò sono già in molti e alcuni sono personaggi come Jay Buchanan, frontman dei Rival Sons, band statunitense di rock blues, a cui René ha inviato una delle sue creazioni.

Quello che di sicuro Cuignon sente di aver già portato a casa è la condivisione e l’inizio di un percorso che gli ha permesso di avere tra le mani, nel vero senso della parola, una ricchezza: il savoir faire. Imparare e condividere con una rete di persone saperi e tecniche è la base dei Don Renò: “Mi sento lontano dall’essere un artista, so che la strada per creare cappelli davvero unici e perfetti è ancora lunga, ma sto vivendo l’esperienza per cui che se quello che impari ti fa stare bene allora l’esperienza diventa ricchezza“.