“Uno strumento conoscitivo utile a ripensare in maniera più costruttiva le politiche migratorie italiane”: questo l’obiettivo del Dossier statistico immigrazione, progetto annuale giunto alla sua 31^ edizione. La presentazione del volume, frutto del Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione con Confronti, l’Otto per Mille della Tavola Valdese e l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, è avvenuta ieri a livello nazionale a Roma e in contemporanea in tutte le regioni e province autonome.
Il referente regionale di IDOS William Bonapace ha sottolineato i dati più rilevanti che si possono ricavare dai 21 capitoli del Dossier, da cui emergono in particolari alcune inversioni di rotta legate alla Pandemia. Durissimo infatti l’impatto del Covid su tutti i tassi dell’immigrazione, con un calo degli stranieri residenti dello 0.5%, per la prima volta dopo 20 anni. “Un dato preoccupante”, aggiunge Bonapace, “è che stanno diminuendo anche le nascite, finora indispensabili per compensare i saldi demografici negativi degli Italiani”.
I dati dell’occupazione straniera (-6,4%), che per la prima volta si attesta su un livello inferiore a quello dei cittadini italiani, rivelano poi la condizione di estrema precarietà in cui vive la maggior parte degli immigrati. Tra di loro, la componente europea, femminile e cristiana è maggioritaria e sono le donne a pagare la crisi della Pandemia, coprendo quasi un quarto della perdita totale di posti di lavoro.
Tra il blocco delle frontiere e il rallentamento delle pratiche amministrative, il Covid si è rivelato un prezioso alleato per quelle politiche di chiusura che, secondo Bonapace, hanno reso l’Europa una “fortezza”, determinando lo spostamento dell’asse migratorio verso nuove rotte spesso pericolose, come quella atlantica. Tra i numerosi dati allarmanti, emergono l’aumento del tasso di inattività (16,2%), indice di mancanza di ogni prospettiva o di aumento del lavoro in nero, e la diminuzione delle iscrizioni anagrafiche dall’estero (-33,0%), con sproporzioni da Stato a Stato per mancanza di leggi europee univoche a riguardo.
Passando alla Valle d’Aosta, la flessione della popolazione straniera – da 8.129 unità del 2020 a 7.960 a inizio del 2021 – nella nostra Regione non stupisce e conferma il trend negativo che si registra dal 2013. Se a causa della Pandemia il PIL è calato di oltre il 9%, le conseguenze sul mercato del lavoro sono state rilevanti soprattutto per gli stranieri, il cui tasso di disoccupazione è aumentato del 13%, contro il 5,3% di quello degli italiani. Anche nella nostra regione la componente femminile, proveniente soprattutto dal’Est Europa, è maggioritaria e svantaggiata, con disoccupazione di 9 punti percentuale superiore a quella delle Italiane. Il dato che preoccupa di più è però il numero di persone presenti nelle strutture di accoglienza, il più basso in tutta Italia (0.1%, per un’incidenza dello 0.06% sulla popolazione residente). In questo senso, il progetto della rete Sai – sistema di accoglienza e integrazione – attivo dal 2017 nei comuni di Saint-Vincent, Champorcher e Saint-Rhémy-en-Bosses, rappresenta un segno positivo che il Comune di Aosta è pronto a cogliere. A presentarlo sono intervenute la moderatrice Arnela Pepelar e Clotilde Forcellati, Assessore alle Politiche Sociali, Abitative e alle Pari Opportunità del Comune di Aosta, che si è unito alla rete di Comuni che collaborano al progetto Sai per incrementare e favorire l’accoglienza di immigrati, in particolare afghani, nel nostro territorio.
La conferenza si è chiusa con l’intervento dell’antropologo Piero Gorza, che dalla Val di Susa ha descritto la difficile situazione di un’altra frontiera italo-francese, nota per attivismo nei confronti dei migranti intenzionati a valicare le Alpi per raggiungere la Francia. Se dal 2017 i flussi migratori nella zona coinvolgevano soprattutto giovani maschi single provenienti dall’Africa sub-sahariana, dal 2020 i migranti arrivano invece dalla rotta balcanica, spesso portando con sé intere famiglie, donne incinte e neonati compresi. Da qui la mancanza di risorse e spazio sufficienti nei due centri di accoglienza ai due lati della frontiera, oberati di persone, carenti di finanziamenti e sottoposti a continui sgomberi e controlli, anche in conseguenza dell’alleanza tra la polizia di frontiera italiana e francese.
Il quadro che emerge dal resoconto del Dossier è quello di un Paese non al passo con un mondo globalizzato e multietnico, in cui l’immigrazione si rivela un indispensabile fonte di arricchimento demografico, culturale, professionale ed economico. Promuovendo solo gli arrivi che rispettano i criteri delle tre P delineati da Maurizio Ambrosini – passaporti, portafogli e professioni – l’Italia si priva ogni giorno di risorse sempre più necessarie alla sua dinamicità e competitività internazionale, dimostrando di preferire le dispendiose politiche di contenimento delle immigrazioni, che le costano più di 25 miliardi di euro all’anno, ai profitti da essa derivati, che, attestandosi a 29 miliardi, superano le uscite facendo guadagnare 4 miliardi di euro alla nostra economia.