L’Italia è un “Paese delle meraviglie”, in cui “secondo i dati statistici sui redditi, i commessi delle gioiellerie guadagnano più dei gioiellieri”, e nel quale la “corruzione ha preso ormai sembianze che la rendono invulnerabile all’azione della magistratura”. Parola di Alberto Vannucci, docente all’Università di Pisa e tra i massimi esperti a livello nazionale del fenomeno corruttivo, che nella serata di ieri, lunedì 5 marzo, malgrado il post-maratona elettorale, è andato vicino al pienone al CSV di Aosta per un incontro, promosso dalle Acli e da Libera VdA, su un tema spesso al centro del dibattito, ma non semplice.
Non semplice, perché le soluzioni evocate di norma oscillano tra il richiamo culturale, ai valori etici, “che è centrale, ma va fatto con prudenza, perché in Italia presenta spesso una vocazione auto-assolutoria” (oltre ad indicare una dimensione “talmente lontana da noi, che è intangibile”), e l’invocare “meno presenza dello Stato in determinate procedure”. Quest’ultima, però, è una ipotesi che “fa ridere, perché la natura della corruzione è proprio quella di una privatizzazione delle risorse pubbliche”. Il tutto, accompagnato dalla difficoltà dei cittadini a leggere le attuali sembianze degli episodi corruttivi come tali.
La corruzione “a norma di legge”
Il problema qual è? Semplicemente, “la corruzione, come immaginata dal codice penale, non esiste più”. “Il concetto di denaro od utilità consegnati a funzionari o amministratori, in cambio di atti d’ufficio – ha spiegato Vannucci – ha perso d’attualità. Il caso della ‘Cricca della Protezione civile’ insegna come gli appalti, tra i più lucrosi d’Italia, venivano pilotati senza violare alcunché. Una corruzione a norma di legge”. Come ci si sottrae alle norme? Nel caso specifico, vi era un’“intesa” tra imprenditori, uno dei quali agiva da “testa di ponte” di un alto dirigente ministeriale, che tirava le fila dell’organizzazione da dietro le quinte.
“I componenti della ‘Cricca’ – ha detto il docente, citando non atti riservati, ma il racconto reso da uno degli stessi appartenenti al gruppo, in un’intervista mai smentita – pagavano al referente del vero ‘capo’ dell’organizzazione un ‘obolo’, cioè una protezione per restare nel ‘sistema’. Da dove arrivavano quei soldi (nell’intervista, l’imprenditore riferisce di un ‘covone’ di banconote da 500 euro, visto su un tavolo da riunione, ndr.)? Dai bilanci pubblici, sottratti a servizi e versati a parassiti che li dividevano in mille rivoli”.
Un monumento alla corruzione post-moderna
Per lo meno, di quell’allegra combriccola, “qualcuno per corruzione è stato condannato”. “Però – ha continuato Alberto Vannucci – esistono vicende in cui l’ipotesi non si è nemmeno affacciata da lontano”. Emblematico, per l’esperto, è il caso, ben visibile ancor oggi al porto di Civitavecchia, di uno yacht in costruzione, che “è considerabile un monumento alla corruzione post-moderna”. “In quattro giorni un imprenditore ha ottenuto dalle banche (tra le quali Etruria, ndr.) 120 milioni per costruirlo, ma non poteva semplicemente essere varato: c’è una linea ferroviaria che passa là accanto”.
Un progetto che, ha chiarito il docente ad un pubblico esterrefatto, “serviva come ‘set cinematografico’ per coprire le operazioni sub-prime proposte dalle banche a sventurati investitori”. Un’operazione molto sofisticata, che ha portato Vannucci a concludere: “corruzione è l’accordo tra i pochi appartenenti ad un’oligarchia criminale (in cui rientrano esponenti della politica, delle professioni e funzionari), che saccheggiano le risorse di tutti”. Uno scenario di fronte al quale i magistrati “o sono impotenti, o hanno perseguito reati minori”.
Evasione e corruzione: causa ed effetto
Oltretutto, il sistema è “double face”, perché l'attività corruttiva è compenetrata all’evasione fiscale. “Le tangenti – ha considerato il docente – non possono essere messe a bilancio e, quindi, si evade per creare le risorse necessarie. La corruzione provoca evasione. Entrambi i fenomeni sono causa di patologie del sistema. E’ impossibile sciogliere il legame”. Oltretutto, negli ultimi vent’anni “non è cambiato niente. L’Italia, per questi fenomeni e per l’economia sommersa, è un’anomalia”. Si consideri poi che, con la “disgregazione della grande impresa”, i controlli “sono diventati più difficili” e la “corruzione è incrementata”. “La cultura fiscale nel nostro Paese – ha aggiunto Vannucci – presenta, senza voler generalizzare, livelli di vulnerabilità”.
Al riguardo, l’esperto ha citato “il patto implicito, risalente alla fine degli anni sessanta, tra i partiti di governo e le categorie: ‘chiuderemo un occhio, fino ad un certo punto, sulla vostra evasione, dando dall’altro l’impressione di pretendere tantissimo da voi’”. Peccato che così facendo si sia creata una “fuga dal versamento”, dalla quale deriva “la più grande frattura di sempre”, perché al problema si è ovviato “caricando i lavoratori dipendenti”, con l’esito di allontanare sideralmente chi “paga le tasse fino all’ultimo centesimo” dagli “autonomi”.
Per Vannucci, “uno scambio occulto, una finzione retorica”, che “intossica la vita civile, perché sappiamo di non essere tutti uguali davanti alla legge”, rispetto al quale servirebbe “un programma politico di uscita, ma nessuno lo propone”. Insomma, definire desolante la situazione è riduttivo, giacché “in Italia di corruzione si può guadagnare molto e si rischia poco”. Alle facce ormai rassegnate degli spettatori, in cerca di un baluardo di speranza al quale aggrapparsi, il docente ha risposto lanciando uno spezzone video.
La speranza? Le “comunità monitoranti”
Il grande schermo è stato invaso dal volto espressivo di Robin Williams, nei panni dell’insegnante John Keating, nella scena finale de “L’Attimo fuggente”. Quella, per intendersi, in cui gli alunni, uno ad uno, salgono sui loro banchi esclamando il celebre “Capitano, o mio Capitano!”. Ecco, “una realtà di corruzione sistemica fa sì che a ciascuno convenga adeguarsi”. “Il primo che si alza – ha sottolineato Vannucci – rischia tantissimo, ma mano a mano che la situazione si rovescia, coloro che sono in piedi non corrono più rischi: un atto che riafferma i valori e il senso della comunità”.
Ed è proprio ciò che, nella visione del professore dell’Università di Pisa, occorre in fatto di corruzione: combatterla non è possibile “solo con le norme, con i provvedimenti che dobbiamo comunque continuare a chiedere: l’etica pubblica nasce tra cerchie, che condividono i valori e denunciano quando li vedono calpestati”. Un’azione che parte dal basso, quella delle cosiddette “comunità monitoranti”, alla quale Vannucci ha dedicato il libro scritto con Leonardo Ferrante “Anticorruzione Pop”, nel senso appunto di “popolare”. “Capisco che non si tratti di una ricetta facile, – ha esclamato – è una sfida. Però, è l’avvio di un processo, perché questi valori siamo noi a plasmarli con l’impegno quotidiano”.
Alla domanda sugli strumenti a disposizione delle “comunità monitoranti”, l’esperto ha risposto indicando risorse quali le sezioni “amministrazione trasparente” dei vari siti web pubblici, o la richiesta di “accesso civico” agli atti, affiancandogli l’esigenza di chiedere a sempre più gran voce il coinvolgimento dei cittadini nei piani triennali anticorruzione, che spesso restano “semplicemente dei documenti”. Dando per scontato (anche se non lo è poi molto) che queste opzioni siano realmente alla portata di tutti, resta un aspetto, che nessuno ha sollevato: l’azione può (e, in una logica di senso civico, deve) partire dal basso, ma allora le tasse versate affinché fior fiore di organi dello Stato si occupino (anche) di corruzione che senso assumono? Una domanda rimasta nella mente di molti, forse per timore della risposta.