Alle sette di una sera d’ottobre la luce inizia a scarseggiare, l’umidità ad aumentare e le temperature scendono. Chi vive qui ci è abituato, ma chi ha passato una vita ad altre latitudini fa un po’ più fatica. Certo, i pali dei campi da rugby di Reggio Calabria, Pesaro o Sarre sono gli stessi e, in fondo, anche il calore che si respira attorno a questo sport è forte in tutta Italia.
Giuseppe Valenti, ventisettenne palermitano, è approdato allo Stade Valdôtain da poche settimane, ma queste cose le sa benissimo: “È dall’età di 18 anni che giro in diversi club: ho fatto le giovanili élite a Colorno, in Emilia, poi la mia prima esperienza in serie A al San Gregorio, a Catania. Da lì è iniziata la mia carriera: Palermo, Roma, Reggio Calabria, Messina, la Francia, ancora tanta Calabria e Sicilia”. Nel 2016 la grande soddisfazione della convocazione nella nazionale italiana di rugby a 13: “Quando ero a Reggio abbiamo vinto lo scudetto estivo di rugby a 13 contro L’Aquila. Sono stato convocato dalla Lega Italiana Rugby League, cioè la nazionale di rugby a 13”, spiega. Valenti ha collezionato tre caps – due contro la Grecia e uno contro l’Inghilterra – ed è stato premiato come man of the match a L’Aquila contro Grecia, nella seconda convocazione. “Cantare l’inno, vestire la maglia azzurra: sono cose che non tornano, esperienze che vivi coi brividi attimo per attimo”.
L’anno scorso il ritorno in serie A, a Pesaro: “Era da sei anni che non tornavo in A, dopo tanti anni è stata una bella emozione. Sono rimasto a Pesaro solo quattro mesi, non ho trovato tanta continuità ma lo sapevo: l’ho accettato e mi sono messo in gioco”. Francesco Fida, presidente dello Stade Valdôtain, gli ha fatto la corte per tre anni, e finalmente nell’estate del 2017 ci sono state le nozze con i Leoni gialloneri: “Fida è una brava persona. Mi ha mostrato il progetto, e alla fine ho ceduto”, dice Valenti ridendo. A Sarre – c’era da scommetterci – si è trovato subito a casa e, nonostante il freddo incipiente, è stato accolto da tutti con calore. “Il progetto dello Stade è molto bello e ambizioso. Ci vuole tempo, ma le fondamenta sono ben forti”. Certo, sentirsi a casa qui non esclude la nostalgia di casa, quella dove uno è cresciuto: “Mi manca tantissimo casa, ci penso ogni giorno”, confessa Giuseppe. “Non ero più abituato ad essere così tanto lontano, più di 1000 km. Sono qui anche per la mia famiglia, e questo mi dà forza”.
La difficile decisione di salire tra i monti valdostani a fare una serie C è una scelta di vita fatta da un ragazzo all’apparenza timido, ma responsabile e convinto di quello che fa: “Quest’estate ho avuto molte offerte, anche da squadre di serie A. Il rugby, però, non è il calcio e, anche se è professionismo, non si naviga nell’oro, e il sogno può sempre finire da un momento all’altro. Sono convinto di aver fatto la scelta giusta: bisogna pensare al futuro, rimboccarsi le maniche e trovare un lavoro, e di questi tempi non è facile. Grazie allo Stade ho avuto questa possibilità, mi hanno trovato un lavoro part-time che mi dà anche la possibilità di allenarmi come si deve”. Valenti, infatti, non lascia niente al caso, ed usa più volte la parola “sacrifici”: lavora al mattino, poi di corsa al campo a fare palestra, allenarsi sui piazzati – suo punto di forza – e poi l’allenamento con la squadra, tenendo sotto controllo l’alimentazione. Come lui, tanti compagni di squadra, divisi tra il rugby ed il lavoro o lo studio.
Gli stessi compagni di squadra vedono Giuseppe come un punto di riferimento, vista anche la sua grande esperienza e, grazie anche all’arrivo del nuovo tecnico Fabio Chiesa, la macchina Stade è in pieno movimento: “Piano piano si sta creando la coesione e ci stiamo conoscendo, e tutti si stanno adattando al nuovo allenatore. Le vittorie si creano non subito, ma passo dopo passo, lavorando sugli errori. Abbiamo fatto tre passi importanti, ora ci aspetta il derby con l’Ivrea: io ne ho vissuti tanti e non sento la tensione, ma vedo i ragazzi concentrati, la settimana di allenamenti è iniziata bene”, racconta. Poi aggiunge: “Nel rugby il singolo non fa la differenza, o può farla solo se tutti i meccanismi funzionano. Io mi impegnerò al massimo e metterò a disposizione della squadra la mia esperienza tecnica e mentale perché non mi accontento della C1: i presupposti ci sono, prendiamo tutto quello che possiamo e puntiamo in alto”.