Seduti al tavolino del bar, davanti a tre tazzine di caffè e cappuccini, la gente passa e la chiacchierata si fa spesso frammentaria: “Ciao Roberto!”, “Ehi Cisco, tutto bene?”. Passati i convenevoli, con un misto di soddisfazione e confessione, è un continuo “lui ha giocato a rugby”. Fa quasi specie pensare che in una regione piccola come la Valle d’Aosta sono davvero tante le persone ad aver maneggiato la palla ovale, anche se per chi non è addetto ai lavori la cosa non traspare molto e l’atmosfera rugbistica si respira forse troppo poco. Eppure, in cinquant’anni di storia si fa fatica a tenere il conto di quante centinaia di persone abbiano vestito la maglia di Aosta Rugby prima, Valle d’Aosta Rugby poi, e infine Stade Valdôtain. Di loro, nelle circa 220 pagine di “Non sono bello ma placco” si trovano parecchi nomi, 236 per l’esattezza, come riportato nell’indice.
Il libro di Roberto Mancini vuole festeggiare il cinquantennale del rugby in Valle d’Aosta, ripercorrendone la storia. Anzi, le storie. “È fatto di risultati, di gente, di curiosità, di tragedie e di commedie”, racconta Mancini. Un’epopea di otto mesi di lavoro storiografico certosino, telefonate, incontri, e soprattutto fotografie, per ricostruire l’epopea di uno sport sempre troppo di nicchia qui da noi. Mancini dice di essersi “divertito e commosso. Sono partito dall’inizio, scavando nei miei ricordi: insieme a Pinuccio Tringali, Marco Bennani e Ferruccio Spuldaro sono uno dei quattro “padri fondatori” dell’Aosta Rugby ancora in vita. Ho giocato dieci anni, dal 1971, poi ho seguito il rugby da giornalista ma verso gli inizi degli anni Novanta ho perso un po’ le tracce perché ho iniziato a scrivere di altro”.
Dopo un buco di qualche anno, ad essere una presenza costante è subentrato Francesco Fida, attuale presidente dello Stade Valdôtain: “Ho iniziato a giocare nel 1995, faccio parte di questo mondo da 26 anni. La molla che mi ha fatto scattare la voglia di avere questo libro è stata la pandemia dell’anno scorso, che ci ha privati della Festa del Rugby. Sono entrato nel comitato organizzatore nel 1998, non poterla vivere mi ha segnato parecchio, così ho pensato ad un’alternativa che mi ridesse lo stesso entusiasmo”. Perché senza entusiasmo, come concorda anche Roberto Mancini riconoscendo i meriti a Fida ed alla dirigenza attuale, in uno sport come questo la domanda rischia di diventare ‘Chi me l’ha fatto fare?’. “Nessuno se non Roberto aveva la capacità di scrivere un libro. Mi sono affezionato all’idea di questo volume come di un documento storico in cui tutti si ritrovino”, prosegue Fida, “uno strumento per far venire la voglia a chi ha fatto la storia del rugby in Valle d’Aosta di tornare al campo di Sarre ed essere parte attiva della famiglia. Perché quello che mi dispiace di più è proprio questo, ora che abbiamo una casa, che abbiamo lavorato tanto, sarebbe bello che chi è passato in questo mondo venisse a vedere quello che abbiamo fatto”.
Il trasferimento a Sarre è stata una scelta non facile ma è una delle pietre miliari di questi cinquant’anni, che forse qualcuno può aver vissuto come una sorta di “tradimento” dello storico campo di Aosta in regione Tzambarlet, ma fa parte di un progetto di più ampio respiro. “Una delle differenze con la nostra generazione è che loro fanno più “ambiente”, cercano maggiormente di creare aggregazione con la club house sul modello dei club inglesi”, spiega Mancini, “mentre noi lo vivevamo diversamente, forse in maniera più idealistica, avevamo solo voglia di giocare. Era un’altra epoca”. L’idealismo, però, c’è anche nella “nuova” visione giallonera, che si sta via via concretizzando nell’Area 6 Tu.
“Non sono bello ma placco” vuole essere anche – e forse soprattutto – questo: creare un senso di appartenenza, dare vita e onore alla tradizione. Ma una tradizione senza una visione di futuro non è una tradizione. È un piedistallo vuoto. Per questo nei 27 capitoli del libro, oltre alle storie narrate, c’è spazio per il presente e per quello che verrà. “Sarebbe bello che i giovani che vedono la foto di una vecchia gloria sappiano chi sia, così come farebbe molto piacere che chi ha giocato decenni fa, quando il rugby era uno sport diverso, racconti qualche episodio ai giovani di oggi”, dicono Mancini e Fida.
L’attuale presidente racconta di aver avuto “la pelle d’oca leggendo le prime parti, quelle che Roberto ha vissuto di più. Vorrei che i ragazzini vivessero le stesse sensazioni”. Il rugby è uno sport che si presta a mille metafore, Mancini ha la capacità di alternare una scrittura poetica e prosaica proprio perché ha vissuto il fango dei campi ed il cielo della palla da agguantare dalla touche o che vola nei pali della trasformazione. Soprattutto nei primi capitoli usa spesso la prima persona, singolare e plurale, parla di sé per parlare di rugby e viceversa.
Il libro verrà presentato domenica 17 ottobre alle 12 al campo sportivo di Sarre, in concomitanza con l’inizio di stagione dello Stade Valdôtain in serie C. Oltre alle tante vecchie glorie alla festa ci saranno anche gli old dell’Alessandria, una presenza simbolica perché proprio contro i piemontesi è arrivata la prima storica vittoria dell’Aosta Rugby. La ciliegina sulla torta della stagione del cinquantennale sarebbe la promozione in serie B, ma la nuova (arzigogolata) formula del campionato ha rimescolato le carte in tavola e complicato la situazione.
Fida e Mancini sono concordi: “Per far sì che si torni a parlare di rugby servono vittorie, sia della nazionale che dello Stade. È vero che l’importante è partecipare, che siamo quelli belli, bravi e simpatici, ma se si vince è meglio. Però sono passati cinquant’anni e siamo ancora qui. Questa è una vittoria”.