Sono passati ventun anni. Mancano ancora un po’ alcuni automatismi, l’affiatamento con un nuovo pilota si sta rafforzando, la capacità di leggere le note pian piano sta tornando (“non è come andare in bicicletta”), tutti piccoli ingranaggi di un meccanismo che dovrà cercare di essere pronto per metà settembre. La grinta, la carica, la voglia di dimostrare qualcosa – prima di tutto a se stessa – sono una spinta in un certo senso nuova. Perché non c’è dubbio che la malattia ti cambi, ma chi l’ha detto che deve essere in peggio? Liliana Armand ha due date cerchiate in rosso: il 16 e 17 settembre. Sono i giorni del 44° Rally Valle d’Aosta, quelli che segnano il suo ritorno alle corse dopo 21 anni, appunto, e dopo una malattia, appunto.
Liliana ha un lungo passato glorioso come navigatrice di rally, fatto di titoli italiani, partecipazioni a Mondiali ed Europei, assistenza ad alcuni dei migliori piloti italiani. Ma il Rally Valle d’Aosta, con cui peraltro collabora da anni, sarà qualcosa di diverso. Siederà a fianco di Roberto Nale, anche lui un grande nome dell’automobilismo valdostano e non solo, per portare avanti il progetto “Obiettivo: più forte di te”, sostenendo l’Associazione Viola, che offre assistenza alle donne che hanno avuto una malattia, proprio come lei, che ha dovuto affrontare un tumore al seno.
“Obiettivo: più forte di te”, perché c’è tanta vita dopo la malattia
“Quello che voglio è veicolare un messaggio: che si può fare, che siamo più forti della nostra malattia, che possiamo tornare a fare cose che ci piacciono. Che dobbiamo distrarci, non avere paura”, spiega Liliana. “Non vuole essere qualcosa di autocelebrativo, nel mio piccolo voglio essere uno strumento nelle mani dell’Associazione Viola e delle persone che non hanno la forza di tirarsi fuori da queste situazioni. Non solo per i malati oncologici, ma per chiunque si sia dovuto fermare: chi ha perso una gamba o un caro, chi ha disfunzioni dell’intestino o problemi alla tiroide. Soprattutto i giovani, ho notato che quelli che fanno più fatica sono proprio loro, e non è facile comunicare”. Sarà, al contempo, un punto di arrivo e un punto di partenza, perché nel progetto della valdostana c’è anche la volontà di organizzare delle serate di dibattito per portare il suo esempio e quello di altre persone, magari con dei “big” come Bebe Vio: “Per me la partecipazione al rally è un punto di arrivo, perché è il mio obiettivo, ma adesso devo dirlo agli altri, parlare del mio vissuto e di quello delle persone che ho conosciuto”.
L’idea è nata circa un anno fa, quando Liliana Armand, in ospedale per le cure per combattere il tumore, ha conosciuto le responsabili di Viola: “All’inizio volevo avere il meno possibile a che fare con le persone malate, le vedevo impaurite e mi trasmettevano angoscia. Poi ho conosciuto le responsabili dell’associazione e mi sono piaciute tantissimo. Io ho parlato come una macchinetta, loro mi hanno ascoltata e hanno detto poche parole ma che mi hanno confortata molto”.
Nella testa di Lily scatta allora qualcosa: i pensieri negativi non la lasciano, il timore di non farcela, di non vedere ricrescere i capelli, la mente va anche alle persone accanto a lei, alla figlia di 12 anni. Ha bisogno di distrarsi, di qualcosa di forte. Pensa di fare un corso di cucito o di cucina, ma capisce che non fa per lei: “Cosa posso fare per portare via l’attenzione dalla malattia? Mi sono detta: torno a correre. È scoccata la scintilla, ho iniziato a spargere la voce, poi mi ha contattata Roberto Nale, anche se non ci conoscevamo per niente, e così il progetto è diventato realtà”.
Con il pilota valdostano stanno studiando il percorso e le note, oltre a conoscersi a vicenda: “Lui è molto attento e paziente, è preparato, io non ho velleità di fare chissà quale risultato, anche se puntiamo a fare molto bene”. Nei giorni del rally, l’Associazione Viola sarà presente nel parco assistenza, nel piazzale della cabinovia per Pila, con uno stand in cui raccoglierà fondi e illustrerà la propria attività.
Il percorso nella malattia, un rally ben diverso dagli altri
Il tumore ti costringe ad affrontare delle prove decisamente speciali, ti fa scalare in continuazione le marce della vitalità, ti fa andare su e giù di giri senza soluzione di continuità, ti dice che devi poter contare su chi è seduto vicino a te, ti sballotta di qua e di là. Il percorso di Liliana Armand nella malattia è stato un rally ben diverso da quelli a cui era abituata a partecipare, ma lo ha affrontato con la stessa tenacia e voglia di emergere.
Un “frullatore” – come non smette di ripetere – in cui è entrata nel luglio 2021. “Ero in vacanza, mi sono accorta che c’era qualcosa che mi dava fastidio”, racconta. “L’11 torno dal mare, il 12 faccio la visita, il 15 la diagnosi. Inizi a vedere tutto nero: pensi al tuo funerale, a tua figlia, vuoi andare in banca a sistemare tutti i conti, ti vedi passare tutto davanti agli occhi, ti chiedi cosa hai fatto di male”. Visite praticamente ogni giorno, mattina e pomeriggio, poi la biopsia, e ad ottobre inizia la chemioterapia. “Top di gamma”, dice Liliana con un misto di orgoglio e riconoscenza verso chi l’ha curata. “Le flebo rosse, quelle più velenose e difficili da affrontare, ma efficaci”. La chemio va avanti fino a marzo, poi un po’ di “vacanza”, e ad aprile è iniziata la radioterapia, durata un mese. “Anche più tosta e stancante della chemio, mi ha massacrata anche nell’umore, ma per fortuna non ho avuto problemi fisici”.
A novembre 2022, con l’intervento definitivo per le protesi ai seni, “si è chiuso un corso. Ma poi devi tenerti sotto controllo, devi fare ogni anno la mammografia, visite oncologiche e dal dietologo, follow up vari, fisioterapia, ginnastica in piscina per recuperare la sensibilità alle dita dopo la chemioterapia. Tutte cose che ho continuato a fare, ma ora ci ripenserò dal 18 settembre”.
Una delle prime navigatrici italiane
C’è tanto da raccontare anche della storia di Liliana Armand da navigatrice. Una storia fatta di curiosità, di successi sportivi, di qualche delusione, di pregiudizi, di scelte di vita, che si intreccia con la storia di una società all’epoca (ma forse non solo) non molto pronta ad una donna nel mondo del motorsport. “I pregiudizi c’erano, ci sono e ci saranno”, dice con franchezza. “La realtà è che le donne sono meno abituate a “sporcarsi le mani” con i motori, quindi i primi da cui devi ottenere la fiducia non sono i piloti, ma i meccanici. Devi ogni volta dimostrare di essere all’altezza degli altri, nonostante i successi e nonostante tanti piloti forti mi cercassero”.
Liliana ha iniziato a correre nel 1987 per caso, quando un amico, Diego D’Hérin, navigatore esperto, le ha parlato di un corso. “Io non distinguevo una Fiat Uno da una Renault 5, però ho voluto provare”, racconta. Passa una ventina di giorni, e lo stesso D’Hérin le propone di sostituirlo per un rally con Alessandro Milliery. Liliana accetta, ed il resto è storia: “Neanche un mese dopo, ero a fare il Rally di Sanremo con Marco Polo Grava”. Mica male, per una semidebuttante, per di più donna.
L’anno successivo il Trofeo Fiat Uno, sempre con Polo Grava, poi man mano le richieste aumentavano. Ed anche i successi: i genitori di Liliana Armand non conoscevano questa sua “doppia vita”, l’hanno scoperta dai giornali.
“Nel 1989 ero al Rally della Costa Smeralda, e ho visto davanti a me il mio mito, Piero Sodano. Gli ho lasciato il mio numero di telefono. Passato un anno e mezzo, mi chiamano in ufficio: ‘Pronto, sono Michele Rayneri’ [campione italiano ed europeo, nda]. ‘Sì, e io sono Chantal Galli’ [famosa pilota, nda]. E butto giù il telefono. Poi ho sentito Piero e ho scoperto che era davvero Rayneri, e mi sono ritrovata con tutti i big a correre il Rally delle Millemiglia. Io mi vergognavo un po’, mi sentivo un pesce fuor d’acqua”. Arriva poi anche la chiamata di Paolo Andreucci, 13 volte campione italiano, con cui ha corso tre gare contribuendo alla vittoria del Trofeo Peugeot.
Il palmarès di Liliana Armand è sterminato: il titolo italiano gruppo N, il premio come miglior navigatore italiano – per la prima volta assegnato ad una donna – partecipazioni a Mondiali ed Europei. Tanti successi, tanti piloti, poi inizia una parabola discendente: “Nel rally contano tanto gli sponsor”, confessa la valdostana. “Io non ero “figlia di nessuno”, quindi a volte iniziava a capitare che mi lasciassero a piedi all’ultimo con delle scuse per avere navigatori che portavano più sponsor. In più, avevo iniziato a lavorare nella segreteria del Rally Valle d’Aosta, e questo mi prendeva sempre più tempo, quindi ho scelto di lasciare le corse prima ancora della nascita di mia figlia nel 2011”.
E adesso, 21 anni dopo, inizia una nuova storia.