Gigi Patruno, il boxeur che incontrò Muhammad Alì e che si innamorò di Villeneuve
Se c’è uno sport più di tanti altri che ha fatto battere il cuore ai valdostani, questo è la boxe. Chi è più giovane forse resterà a bocca aperta leggendo questa affermazione, ma tant’è: mezzo secolo fa Aosta era letteralmente innamorata della noble art e dei suoi campioni. Sono stati tanti i talenti del pugilato nostrano a salire e scendere da ring in ogni parte d’Europa: uno di questi talenti – senza dubbio uno dei più cristallini – è stato Luigi “Gigi” Patruno, scomparso martedì all’età di 79 anni. Oggi, giovedì, alle 10 si celebrano i funerali nella chiesa parrocchiale di Villeneuve, il paese che è stato il centro del suo mondo.
La mancata sfida con Carlos Monzon
Villeneuve sempre e comunque, anche se Gigi Patruno – nato a Chiavari il 24 gennaio del 1943 – è stato un autentico giramondo. Merito del suo talento con i guantoni: negli anni Sessanta fu uno dei pesi medi (ma combatté prima tra i welter) più forti in circolazione. Le sue statistiche parlano chiaro: 27 vittorie, di cui 8 per ko, 6 sconfitte, 2 pari e un no-contest tra i professionisti. Da dilettante fu Campione Italiano dei medi nel 1965 battendo Mario Casati, un successo che gli permise di conquistare la maglia azzurra per gli Europei di Berlino Est. In semifinale dominò il campione di casa Detlef Dahn, in finale si dovette arrendere al lituano Ricardas Tamulis, che difendeva i colori dell’Unione Sovietica.
Quattro anni dopo, il 14 dicembre del 1969, ebbe di nuovo la possibilità di prendersi un titolo continentale. Erano i professionisti, era soprattutto il match che metteva in palio il Mondiale dell’anno successivo contro l’astro nascente della boxe sudamericana, Carlos Monzon.
Gigi Patruno cadde alla quinta ripresa di quell’incontro epico, disputato contro il danese Tom Bogs. Le cronache dell’epoca raccontano di un Bogs imbattuto davanti al pubblico di Aarhus, Gigi Patruno – a distanza di anni – suggeriva che il “tappeto” di quel ring fosse più morbido del dovuto e che quel fattore cambiò le sorti dell’incontro. “Rimasi senza gambe, poi senza fiato”, ricordava. Tra i suoi match più memorabili quelli con il napoletano Mario Lamagna, validi per il tricolore professionisti dei medi: il primo si disputò nel 1968 nella città partonepea, dove la serata si concluse con i Carabinieri a scortare in albergo Patruno e il suo entourage. Le contestazioni del pubblico – particolarmente feroci – erano iniziate quando l’arbitro aveva consegnato il titolo al valdostano dopo aver sospeso il match per una ferita al sopracciglio destro che impediva a Lamagna di continuare il match.
Il boxeur campano ebbe però la sua rivincita nel 1970 a Caserta, quando mandò al tappeto Patruno all’ottavo round. In mezzo un’altra difesa del titolo, quella del 1969 contro Giuseppe Muzio: ad Aosta, al nono round di un match pieno di intensità, Muzio fu squalificato e Patruno festeggiò uno dei successi più belli della carriera davanti al suo pubblico.
I due “incroci” con Muhammad Alì
Un gran bel pugile, Gigi Patruno. Tecnicamente molto dotato, in grado di affascinare il pubblico: chi lo ha visto combattere ricorda il grande coraggio con il quale affrontava gli avversari, ma anche l’assenza nel suo pur vasto repertorio del cosiddetto “colpo del ko”. Grazie al pugilato ebbe la possibilità di viaggiare e conoscere il mondo, spesso e volentieri insieme ad Anna Petigat, la donna che sposò nel 1966 e con la quale ha condiviso più di cinquant’anni di vita. Proprio a quel 1966 è legato un altro momento, forse quello più importante della vita sportiva di Gigi Patruno.
“Una sera ho combattuto sullo stesso ring di Muhammad Alì”, amava raccontare. Più precisamente, la sera di sabato 10 settembre 1966. Waldstadion di Francoforte, l’ultimo impegno di Alì nel suo tour europeo di quell’estate così controversa, l’ultima prima della squalifica di tre anni comminatagli per essersi rifiutato di imbracciare il fucile e andare in Vietnam.
Non era più Cassius Clay, ma era lo stesso ragazzo che nel 1960 incantò tutti alle Olimpiadi di Roma. “Era enorme – amava ricordare Gigi Patruno – faceva impressione persino da vestito, figurarsi in calzoncini e guantoni. L’uomo più grande che io abbia mai visto”.
Patruno pareggiò ai punti contro Werner Mundt, corse a farsi la doccia e poté ammirare gli ultimi 5 round dell’incontro tra Alì e Karl Mildenberg. Quindici le riprese in programma, le prime 11 piuttosto noiose e senza particolari spunti di cronaca. Poi Angelo Dundee – lo storico coach di Alì e pure di George Foreman e Sugar Ray Leonard – gli fece segno che poteva bastare.
“Ricordo il pollice verso di Dundee, Alì che rientrava sul ring e in 30 secondi mandava al tappeto il povero Mildenberg. Fenomenale”, sottolineava con il sorriso Patruno, che ebbe modo di scambiare qualche parola con il campione di Louisville il 14 dicembre del 1968 a Sanremo. Quella sera Gigi perse all’ottava ripresa contro l’argentino Antonio Aguilar, mentre Alì era tra il pubblico, ancora squalificato, oggetto di mille attenzioni da parte dei media che già stravedevano per lui. “Era già un personaggio, ma non ancora l’icona della boxe e dello sport: quello sarebbe successo dopo”, ricordava Patruno.
Una vita al bar
Gigi Patruno scese definitivamente dal ring nel 1972, dopo aver combattuto gli ultimi incontri tra i mediomassimi. Il pugilato era una passione di cui aveva fatto una professione, ma in quei tempi per campare – e crescere una famiglia – c’era bisogno anche di altro. Magari di un luogo dove i ricordi e le emozioni costruiti sul ring potessero diventare, a modo loro, fonte di reddito. Ecco quindi che Gigi e la moglie Anna iniziarono il mestiere che faranno per una vita, ovvero i gestori di bar. Entrambi dietro al bancone, a servire da bere, lavare bicchieri, raccontare (e ascoltare) le storie più disparate.
Tanti anni ad Aosta – prima al Sant’Anna in viale Federico Chabod, poi al Bar Nord di via Giorgio Elter, passando per la bocciofila dello storico borgo di Sant’Orso – prima di ritornare a Villeneuve, dove nel 1983 aprirono il Tip Top in località Trepont e dove dal 1986 la loro famiglia gestisce il Café du Centre. Non semplicemente un bar, ma il bar nel vero senso della parola. Ovvero una sorta di appendice della casa, un posto dove chiunque entri per un caffé o un aperitivo può prendersi una pausa dalla vita reale.
Sport e vita a tempo pieno
Una pausa di sport, spesso e volentieri: non solo boxe, ma anche ciclismo e calcio, senza soluzione di continuità. Sport di popolo e di fatica, perché lo sport è anche dialogo. Da Patruno si chiacchierava di tutto o di più, a qualsiasi ora del giorno o della notte. I cultori della vita notturna dell’Alta Valle sapevano bene che, in un modo o nell’altro, da Gigi e Anna un bicchiere lo si trovava praticamente sempre.
Gigi e Anna, una coppia che nella vita aveva avuto lo stesso spirito che lui portava sul ring: coraggio prima di tutto. Tante avventure di vita prima che da imprenditori, la scelta di provare pure l’esperienza in Perù – tra il 1980 e il 1983 – dove Gigi si dedicò alla costruzione di grandi strade insieme al cognato.
La famiglia crebbe insieme alle loro attività: Mauro, Gabriella, Martine e Cherry hanno regalato a Gigi e Anna nuovi ricordi, soddisfazioni e pure diversi nipoti. La morte improvvisa di Anna, il 28 novembre del 2019, spense il sorriso che Gigi aveva sempre stampato in volto. A quasi tre anni di distanza, ora sono di nuovo insieme.