Tutti gli alpinisti sanno che la montagna, amica di un’esistenza intera, può tradire in qualsiasi momento. E Ilvo Berthod, guida di grandissima esperienza e dal talento sopraffino, conosceva benissimo quali sono le insidie che nasconde anche la più banale salita alle vette.
Al netto di queste considerazioni, però, è necessario sapere che Ilvo Berthod era uno dei pochi uomini autorizzato a dare del “tu” al Gran Paradiso. Non necessariamente perché lo conoscesse meglio delle sue tasche: semplicemente perché ne è stato il vicino di casa durante le estati degli ultimi cinquant’anni.
Una vita dedicata alla montagna
Ilvo Berthod, scomparso martedì sera all’Hospice dell’Ospedale Beauregard di Aosta, per oltre mezzo secolo ha gestito i rifugi alle pendici di quella che per lui era semplicemente “la montagna di casa”. Prima il Vittorio Emanuele, poi il Federico Chabod, che aveva costruito con i suoi familiari e che dall’inaugurazione del 1985 raggiungeva praticamente in ogni stagione. Tra i tanti aneddoti quello (certificato) che conoscesse talmente bene il sentiero che da Pravieux porta ai 2.710 metri di quota del rifugio da percorrerlo non a occhi chiusi, ma impegnati nel leggere le colonne del quotidiano La Stampa. Inutile dire quale potesse essere la reazione di chi, magari più giovane o semplicemente convinto che con un paio di scarponi all’avanguardia si potesse fare meno fatica, veniva superato da questo signore neanche più tanto giovane, ma con una quantità di energia e entusiasmo in corpo da far impallidire chiunque.
Questo era Ilvo Berthod, che tutte le estati alzandosi all’alba salutava il Gran Paradiso più da vicino di chiunque altro e successivamente snocciolava consigli per chi – attrezzato di tutto punto – partiva alla conquista di questo meraviglioso Quattromila.
Una vita in montagna, una vita per la montagna, con un occhio di riguardo per la sua vallata. Ilvo Berthod, nato proprio a Valsavarenche il 20 gennaio del 1940, era una sorta di predestinato dell’alpinismo, anche se come spesso succede il primo amore furono gli sci. Con quelli da fondo ci sapeva fare, tanto da essere adocchiato dai neonati vertici del comitato regionale degli Sport Invernali. Selezionato dall’Asiva, si mise in luce in diverse gare nazionali e si meritò la chiamata per il Centro Sportivo della Polizia di Stato. Con la divisa delle Fiamme Oro di Moena conquistò pure la nazionale, senza però mai conquistare la convocazione in squadra A.
Erano gli anni Sessanta, lo skating sarebbe nato solo vent’anni più tardi e Ilvo Berthod – alternista puro, tanta tecnica ma anche grinta e cuore da vendere – capì che era arrivata l’ora di smettere la sua parentesi da agonista. Che non voleva dire necessariamente chiudere con lo sci: paradossalmente la carriera di tecnico prima e ancora più quella di dirigente poi furono più prestigiose di quella da atleta. Prima allenatore della squadra Asiva, dal 1975 al 1980 presidente dello Sci Club Valsavarenche (diretto successore del fondatore Emilio Blanc), infine dal 1984 al 1988 presidente del comitato regionale Fisi Asiva.
Di fatto un impegno totale a favore dello sci (di fondo, ma non solo) e dei giovani, perché lo sport vissuto a questo livello vuol dire necessariamente investire sul futuro. Il Coni, in questo senso, lo premiò nel 1994 con la Stella d’Argento e nel 2008 con la Stella d’Oro, massima onorificenza che lo sport italiano possa conferire a un suo dirigente.
Ilvo Berthod investì tanto anche sulla sua vallata. Fu sindaco di Valsavarenche dal 1965 al 1973: prese il posto del cugino Luciano Berthod e cedette la fusciacca a Valentino Preyet, prima di riprenderla per una legislatura dal 1993 al 1997. Politicamente schierato sempre al centro, nel 2001 fu tra i primi a sposare le idee della neonata Stella Alpina, movimento che si ispira ai valori della Democrazia Cristiana che fu. Cattolico sì, ma come la gente che vive la montagna da dentro armato di una spiritualità e di una fede di straordinaria efficacia e al tempo stesso poco convenzionale.
Nei primi anni della sua carriera da guida era considerato – a giusto titolo – uno dei professionisti più brillanti della regione. E dire che, come spesso succede, aveva mosso i primi passi in questo mestiere seguendo le orme del fratello Primo, anche lui guida, nato tre anni prima di lui. La famiglia ha sempre giocato un ruolo chiave nella sua vita: secondogenito di Augusto Berthod e Romilda Chabod, si era sposato nel 1965 con Gabriella Chabod.
La loro unione fu celebrata, manco a dirlo, nella chiesa de La Vierge du Carmel di Valsavarenche il 18 dicembre 1965: negli anni a seguire nacquero Tiziana e Loredana, le figlie che dal papà hanno ereditato l’amore viscerale per la loro terra natia. Tiziana con il marito Andrea Benedetti e la figlia Veronica gestisce ancora oggi il Rifugio Chabod, Loredana nel capoluogo di Dégioz intrattiene i clienti a L’Arbro de la Leunna, un locale che è un po’ pub, un po’ brasserie, un po’ bar di paese e anche un po’ casa.
I funerali di Ilvo Chabod si terranno domani, venerdì, alle 10.30 a Valsavarenche. Al termine della cerimonia i familiari, gli amici di sempre, quelli dello sci, le guide alpine e i tanti che lo hanno conosciuto e apprezzato intoneranno come succede sempre lassù le note di “A ceux qui nous ont précédé”, una canzone che con il suo ritornello permette sempre di salutare qualcuno in maniera così naturale e toccante allo stesso tempo: dicendogli semplicemente “Ce n’est qu’un aurevoir”.
I messaggi di cordoglio
A ricordarlo è la Pro Loco di Valsavarenche, che sottolinea come “l’amore per lo sci di fondo, per le sue montagne, i solidi valori, l’impegno civico sempre in prima linea, la visione attenta e lungimirante, sono stati e sempre saranno motivo di stima da parte di tutta la comunità di Valsavarenche, in cui lascia un segno importante”.
Il presidente della Regione, Renzo Testolin, ha affermato: “Con Ilvo Berthod ci lascia un amministratore attento e stimato nella Valsavarenche e da tutti i tanti valdostani che lo hanno conosciuto, che si è sempre distinto per il suo impegno verso la comunità e verso lo sport. La sua passione per la montagna e per lo sci lo avevano portato a diventare guida alpina e ai vertici dell’Asiva, come Presidente negli anni ottanta, contribuendo alla crescita degli sport invernali. Esprimo la mia vicinanza alla famiglia e a tutta la comunità della Valsavarenche.”