Caro Babbo Natale, quest’anno ho imparato cosa sono le emozioni primarie. Rabbia, paura, tristezza, gioia, disgusto e sorpresa.
Mi hanno spiegato che sono reazioni involontarie, che si manifestano in maniera diversa per ognuno di noi e non sempre nello stesso modo, ma che ognuna di esse serve a qualcosa.
Per questo è estremamente importante, sebbene molto difficile, fermarsi ad ascoltare nonostante il gran trambusto che creano.
Mi hanno detto, inoltre, che non esistono emozioni buone o cattive, per cui, quando mi sono seduta qui per scriverti se sono stata buona o cattiva, ho pensato che, date le circostanze, essendo fatti di emozioni, come posso definirmi buona o cattiva?
Sai, ogni Natale io piango. Da anni ormai vivo questo periodo con estrema angoscia che puntualmente si manifesta in un pianto disperato, a singhiozzoni, di quei pianti che non riesci a fermare e ti ritrovi in fila al supermercato a fingere di avere un brutto raffreddore per nascondere le lacrime.
Mi hanno detto che il pianto è la manifestazione più comune della tristezza e della tristezza, mi hanno detto, che arriva quando perdiamo qualcuno o qualcosa di caro in maniera irrimediabile. Il dolore è fisico, ti prende a pugni lo stomaco, fa male, anche se la perdita può essere astratta, come un’idea e che parlarne potrebbe essere una buona soluzione per stare meglio.
Per cui eccoci qui, insieme, io e te, a scrivere la lista delle cose che ho perso.
Il mio papà, che non ha mai saputo gestire le emozioni. Io e lui siamo uguali, quando arriva un’emozione andiamo in corto circuito e ci isoliamo. Nel suo isolarsi mi ha creato molta sofferenza, non abbiamo mai parlato tra noi, ricordo il disagio di quando ha iniziato a farmi scuola guida, io e lui, rinchiusi e costretti in pochi metri quadri, da soli, non sapevamo cosa dirci. E più tardi, quando se ne è andato di casa (e dalla mia vita), l’ho implorato di dirmi qualcosa, di darmi delle risposte, di parlarmi e mi ha detto cose terribili allontanandomi ancora di più. Ora sta cercando disperatamente di riavvicinarsi, lo vedo come si strugge e vedo quanto soffre ma il legame si è spezzato, perduto, andato e io non posso fare nulla per porre rimedio.
La mia mamma, che sembra che di emozioni proprio non ne abbia. Abbiamo spiriti simili io e lei, siamo selvagge e selvatiche, ma se lei è un lupo, io rimango comunque il suo cucciolo al quale non è stata in grado di insegnare a sentire ciò che avevo dentro. È stata dura, severa, mi ha insegnato ad arrangiarmi, a cavarmela da me, ma non mi ha insegnato che fare delle mie emozioni, le ha negate, le ha minimizzate e persino ridicolizzate. Senza nessun tipo di empatia non si è mai piegata verso di me, né da bambina, né da adulta. Ancora oggi prosegue dritta sul suo sentiero, dritta come un fuso, avanti tutta. Chissà se si volta mai a vedere se la sto ancora seguendo e chissà se mai si accorgerà che no, non ci sono più.
I miei bambini, questa si che è un’idea, perché io di figli non ne ho mai avuti, non sono neanche mai stata incinta. Ho pensato di farne uno, anni fa, era tutto pronto, il momento, il tempismo, la casa, anche il nome, il mio corpo era pronto alla maternità, ma è stata proprio lei a farmi capire che il padre che stavo dando a mio figlio non era quello giusto e che avrei dovuto proteggerlo. Me ne sono andata. Ho perso mio figlio ancora prima di averlo. Sono stati i mesi più bui della mia vita. Oggi faccio i conti con l’età che avanza e con la consapevolezza che le possibilità diventano sempre meno. Ma soprattutto faccio i conti con il pensiero che se fosse, non sarebbe una buona idea. La mia maternità intrinseca, con il suo intrinseco senso di protezione, di nuovo, mi dice che sono troppo simile ai miei genitori e non posso permettermi di causare a lui, ciò che loro hanno causato a me. Questa è la mia croce, la mia maledizione.
La mia famiglia, quella che ho perduto e di cui ti ho già parlato e quella che tanto vorrei, non avendone più una. Questa è per eccellenza la mia idea più astratta e inavvicinabile. Come tanti, forse tutti, sono cresciuta con l’idea della vita come una linea retta: nasci, cresci, studi, lavori, ti sposi, fai figli, diventi nonno e così muori tranquillo. Non perché i miei genitori fossero chissà quali conservatori, ma perché siamo animali, il nostro unico scopo è riprodurci e perché siamo di razza umana, siamo sociali, abbiamo il nostro branco e tutto ruota intorno a questo. Ciò che nessuno ti dice, per davvero, è che succede, a volte, di rimanere soli. Che a volte è il branco stesso che si sgretola o che ti allontana oppure che nel tuo vagare alla ricerca di un nuovo branco, non trovi le persone giuste, il tempismo giusto, il coraggio giusto ed è possibile che tu possa morire prima di farcela. Oppure, come nel mio caso, entrambe le cose. Dicono che nessun uomo è un’isola, anche se a volte sembra impossibile crederci. Ci sono persone destinate alla solitudine, per infinite trame del destino, per ognuno diverse. Mai per natura, ma per fattori esterni, per banale sfortuna o per più complessi accadimenti che ci rompono gli ingranaggi e ci rendono incapaci di connetterci con gli altri. E per quanto possiamo essere forti e farci coraggio e compagnia da soli, con l’armatura più spessa e scintillante del reame, avere anche tanti amici e tanta vita sociale, riuscire a sopravvivere certo nonostante tutto e magari essere anche felici sì.. avere qualcuno accanto, avere un branco, avere un supporto e un amore forte, sincero, gratuito, disinteressato fa bene a tutte le anime del creato.
Caro Babbo Natale,
forse avresti preferito ricevere una lista diversa, fatta di oggetti da confezionare e farmi trovare sotto l’albero, però i miei desideri sono questi: vorrei che le cattive emozioni non facessero di me una cattiva persona, vorrei imparare a normalizzare e accettare la tristezza. Vorrei lasciare indietro ciò che non ho più e che non posso avere. Vorrei farmi un bel pianto, ma poi, alla luce di tutto ciò che ho perso, uscire al sole e trovare nuovi desideri. Vorrei imparare a sedermi con me stessa e a leggere le mie emozioni ascoltandole, capendone la vera origine. Vorrei ritrovarti il prossimo anno, con una lista diversa, che so, dei guanti possono andare? Di sicuro piangerò ancora per i desideri perduti, ma speriamo, nel frattempo, di aver imparato a gioire e accettare ciò che già ho.
Un’ultima cosa per favore. Fai sapere a tutte le persone sole che non sono sbagliate, e che a volte va bene essere fragili e che lo sappiamo che è dura, soprattutto a Natale, ma poi, per fortuna, anche lui, come la pioggia o una brutta sbronza, passa.
Lettera firmata
4 risposte
Una lettera che lascia senza fiato. Avrei potuto scriverla io (per carità, mai così bene, non ne sarei capace), cambiando qualche pronome. Grazie, l’ho salvata e la leggerò ogni tanto, quando la malinconia della sera si fa sentire.
Cara lettrice, ti capisco… un grande abbraccio
Anche io ultimamente mi sento così a Natale, e non solo… mi hai invitato ad ascoltare e a capire le mie emozioni, anziché sentirmi sbagliata… e ti ringrazio! Mi hai fatto un regalo 🩵
Cara lettrice, non sei sola. Le persone come te ci sono eccome, magari non in fila al supermercato, ma dietro a uno scaffale a piangere… per questo, forse, non le vedi… E d’inverno, con il freddo, il cappuccio della giacca aiuta anche in questo. “Non siamo sbagliate, a volte va bene essere fragili e lo sappiamo che è dura, soprattutto a Natale, ma poi, per fortuna, anche lui, come la pioggia o una brutta sbronza, passa…”.