Cattiva festa della mamma!

Dopo il successo dei cattivi papà, in questa puntata di “Incontri ravvicinati con AIACE” passiamo in rassegna alcune chiare, fresche e dolci mammine cinematografiche che sovvertono in modo sfacciato l’archetipo della figura materna.
The Goonies
Incontri ravvicinati con AIACE

NOTORIOUS (su Prime video), PSYCHO e GLI UCCELLI (su NOW e Sky) di Alfred Hitchcock

USA, 1946-1960-1963; thriller.

NOTORIOUS
NOTORIOUS

Alfred Hitchcock è uno di quei maestri che fa delle ricorrenze tematiche uno dei punti di forza della sua autorialità. Una di queste coazioni a ripetere (espressive, archetipiche, stilistiche) riguarda la psicoanalisi, nelle sue declinazioni più ampie tra cui il tema del doppio, l’angoscia, il sogno ecc. Tra questi vi è anche il particolare rapporto con le figure materne, che in questa occasione osserveremo meglio attraverso tre titoli cardine: Notorious, Psycho e Gli uccelli.

Madri castranti, madri edipiche, madri ideologiche, madri fagocitanti. Visto così Hitchcock sembra non vedere molte caratteristiche positive nelle care, dolci mammine. Eppure, se si guarda più da vicino, troviamo varie eccezioni, come la protettiva Doris Day nell’Uomo che sapeva troppo, la tenera Shirley McLaine nella Congiura degli innocenti o la divertentissima Jessie Royce Landis di Caccia al ladro e Intrigo internazionale (anche se qui è quasi crudele nelle derisioni rivolte al figlio Cary Grant, che non viene creduto dalla donna da cui dipende). Ma a rappresentare meglio le tensioni freudiane (anzi, lacaniane) che permeano i capolavori del genio Hitch sono sicuramente le figure materne traumatiche, spesso ostacoli alla piena realizzazione degli obiettivi dei protagonisti (soprattutto, non a caso, il sesso e l’amore).

La madre di Sebastian in Notorious, spietata Lady Macbeth, spinge il figlio ad avvelenare la nuora Alicia (Ingrid Bergman), rappresentando bene l’ambiguità del rapporto madre-figlio, oltre a mostrare il matrimonio come una trappola mortale che impedisce di liberarsi dai nuclei familiari. La madre di Norman Bates in Psycho è la figura castrante più esemplare proprio in quanto assente. Lei è pura energia psichica, la manifestazione più perturbante della piena trasfigurazione e introiezione della madre nel super-io dell’individuo. Norman, moderno Edipo che per gelosia uccide sua madre e l’amante di lei, cade nella psicosi per il senso di colpa derivato dall’osceno omicidio. Perde contatto con la realtà e (ri)costruisce nella sua mente e a livello concreto, rituale (con tanto di feticci cerimoniali: la parrucca, la vestaglia, il corpo impagliato) la presenza della madre. La ricrea in modo perverso, come figura giudicante e sadica che deve esercitare il suo potere punitivo ogni volta che Norman prova attrazione verso donne diverse da sua madre (per di più peccatrici, come la ladra Marion). Quando ciò accade, il desiderio deve essere soppresso, con l’eliminazione dell’oggetto del desiderio stesso. Non da parte di Norman, ma “Norman che interpreta sua madre”, che per identificarsi pienamente ha bisogno di vestirne i panni, oltre a conservarne il corpo, con cui finge di dialogare. Infine la madre di Mitch (Jessica Tandy) in Gli uccelli, che instaura una rivalità con la donna che il figlio introduce nella sua vita, nonché nel nido materno. Gli attacchi improvvisi dei volatili sono (tra le tante interpretazioni possibili) la metafora di questa tensione tra le due donne, quasi contro natura per il suo aspetto edipico, energia libidica (come la definisce Zizek) che aggredisce chiunque voglia mettersi tra Mitch e sua madre. Anche il personaggio di Annie, ex amante di Mitch, non a caso muore (come dice lei stessa, la relazione era finita proprio per colpa della prepotenza della madre).

Se non vi bastano queste tre Madri al limite della nevrosi, potete proseguire con Marnie, esempio perfetto della madre come fonte di traumi indelebili nella vita della figlia; o, se volete rassicurarvi, Vera Miles interpreta una madre di famiglia nel divisivo e kafkiano Il ladro (disponibile su Now e Sky).

CARRIE – LO SGUARDO DI SATANA di Brian De Palma, disponibile su Prime Video

USA, 1976, horror

CARRIE - LO SGUARDO DI SATANA
CARRIE – LO SGUARDO DI SATANA

Carrie White è una ragazzina timida e impacciata che frequenta il liceo. Qui si sente un pesce fuor d’acqua, i compagni la reputano strana e inquietante e spesso la umiliano e bullizzano. Il film si apre proprio su una tremenda scena nelle docce della palestra in cui Carrie, spaventata dal sangue che vede colare sulla sua coscia, si rivolge alle compagne in cerca di aiuto e di rimando si ritrova derisa e cosparsa di assorbenti igienici lanciatele addosso proprio da loro. Perché Carrie non ha la più pallida idea di cosa siano le mestruazioni: con la madre, fanatica religiosa, di queste cose assolutamente non si parla. Quando rientra, anzi, viene punita per essere “diventata una donna”, portatrice di peccato, e rinchiusa in uno stanzino a pregare per il perdono. Vittima di soprusi anche a casa e psicologicamente soggiogata dalla madre, Carrie ha sempre obbedito, ma la ragazza non è esattamente una creaturina indifesa. Dotata di poteri telecinetici,  intravede una speranza di una vita diversa e decide di reagire.

Margaret White è senza dubbio una forte candidata al podio come peggior madre del grande schermo (e della letteratura, considerando che il film è tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King). Non solo vede sua figlia come un costante ricordo del suo fallimento come donna, abbandonata dal padre di Carrie che le impedisce di amarla, ma proietta su di lei la peggiore rappresentazione della donna tipica del fanatismo religioso: peccatrice, tentatrice e ammaliatrice. Lo spettatore potrebbe avere un secondo (ma davvero al massimo un secondo) di compassione per Margaret immaginando che sia stata la depressione a spingerla a diventare così bigotta e violenta, ma alla fine non ci sarà alcun riscatto per lei, pronta senza esitare a sacrificare la figlia in nome di Cristo, una figlia che non ha mai ascoltato neanche per un secondo. In tutto il film, Carrie non riceverà neanche un gesto di affetto o una parola di conforto dalla madre: anzi, il film sarà un crescendo di violenza fisica e psicologica, ben espresso dal volume della voce materna che non cessa di crescere, tentando fino all’ultimo di prendere il sopravvento sulla figlia in ogni modo. Il regista Brian De Palma non ha pietà nei suoi confronti e riesce alla fine a mostrare tutta l’ipocrisia di Margaret in una scena ormai cult.

Sia Piper Laurie che Sissy Spacek sono state candidate agli Oscar per le loro interpretazioni.

Se volete restare in tema trasposizioni dei romanzi di Stephen King, ma in compagnia di una matriarca ben più simpatica, potete recuperare Shining diretto da Stanley Kubrick su Sky/Now.

LE JOUR OÙ MAMAN EST DEVENUE UN MONSTRE di Joséphine Darcy Hopkins, disponibile su Youtube

Francia, 2017, horror

LE JOUR OÙ MAMAN EST DEVENUE UN MONSTRE
LE JOUR OÙ MAMAN EST DEVENUE UN MONSTRE

Candice è una bambina triste che vive sola con la mamma Cécile da quando il padre, che noi spettatori non vedremo mai, se n’è andato di casa. Cécile lavora in uno studio veterinario e lì viene morsa da una tartaruga sua paziente. Da quel momento comincia a mutare, trasformandosi in una creatura mostruosa sotto gli occhi terrorizzati della figlia.

Film d’esordio di una talentuosa giovane regista francese che ha fatto il giro dei festival di tutto il mondo, questo film dal sottotesto autobiografico si pone dal punto di vista di una bambina che non accetta la separazione dei genitori e che, dovendo sfogare la rabbia su qualcuno, incolpa la madre per l’abbandono del padre, considerandola il mostro che ha rovinato tutto. Il rapporto madre-figlia rimarrà centrale anche nei successivi film della regista, sviluppato ogni volta in maniera diversa: nel secondo cortometraggio, Nuage, è la figlia adolescente a doversi prendere cura della madre malata mentre fugge da una nuvola tossica che si sta inevitabilmente avvicinando; nell’ultimo invece, Les dents du bonheur, la madre, estetista a domicilio, è costretta a portare con sé la dolce figlioletta a casa di una famiglia molto abbiente qui si creerà un parallelo di bullismo separato da un piano di scale: da una parte la figlia bullizzata da un gruppo di bambine che vogliono insegnarle il capitalismo, dall’altra la madre che deve sorridere e sopportare le allusioni e la commiserazione del gruppo di madri borghesi. Al momento questi due film non sono disponibili online, ma potrebbero facilmente ritrovarsi in uno dei programmi di cortometraggi di AIACE VDA in futuro.

IL RACCONTO DEI RACCONTI di Matteo Garrone, disponibile su Rai Play

Italia, fantastico, horror, 2015

IL RACCONTO DEI RACCONTI
IL RACCONTO DEI RACCONTI

C’è una madre speciale, nell’episodio La cerva fatata di Il racconto dei racconti di Garrone ispirato a Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Interpretata da una glaciale Selma Hayek, la protagonista è una regina che desidera ardentemente un figlio. Dopo vani tentativi, la donna rimane finalmente in dolce attesa a prezzo della morte del marito (ucciso dal mostro marino di cui lei deve mangiare il cuore) senza battere ciglio, attratta solo dal pulsare della nuova vita che potrà crescerle in grembo. A rimanere incinta, però, è anche la damigella che glielo ha cucinato a colazione e ne ha inalato i vapori. Dal cuore nascono due gemelli albini, il futuro re Elias e il figlio della serva Giona, che crescono insieme legati da un fortissimo e simbiotico legame affettivo. La regina, affetta da una gelosia persecutoria (il sosia del sovrano incrina l’assolutezza del potere!), assoggettata alla passione e vittima dello scacco della ragione (l’inquadratura che la ritrae al centro di un labirinto mentre cerca il figlio che si rende introvabile non vi ricorda Kubrick?), impedisce ai due di vedersi e, di fronte al perdurare dell’affetto fraterno, tenta di uccidere Giona, dapprima nelle cantine del palazzo, poi trasformata in un mostro, in un anfratto tra le grotte. A salvare il ragazzo, sarà il fratello Elias, che si macchia di matricidio. Garrone, con il suo cinema fatto di desideri che diventano ossessioni e di identità forate dalla manchevolezza, sceglie la strada della metamorfosi per sondare la psiche umana e raccontare visivamente l’essenza mostruosa, acefala e violenta della pulsione. Se ti è piaciuto, recupera anche la storia della madre cannibalica descritta da Jacques Lacan.

LE “TRE MADRI” DI DARIO ARGENTO, disponibili su Prime Video
Italia, 1977-1980-2007; horror

LE “TRE MADRI” DI DARIO ARGENTO
LE “TRE MADRI” DI DARIO ARGENTO

La trilogia delle madri di Dario Argento composta da “Suspiria” (1977), “Inferno” (1980) e “La Terza Madre” (2007) offre una rilettura oscura e inquietante del concetto di maternità, che si discosta radicalmente dall’immagine convenzionale di calore e protezione tipicamente associata alla figura materna. Attraverso le figure di Mater Suspiriorum, Mater Tenebrarum e Mater Lachrymarum, Argento non solo esplora, ma sovverte l’archetipo della madre, trasformandolo in un simbolo di terrore e distruzione.

In Suspiria, la prima delle madri, Mater Suspiriorum, regna su un’accademia di danza, mascherando il suo potere malvagio dietro la facciata di un prestigioso istituto. Questa figura materna non nutre né protegge; al contrario, manipola e devasta. La madre qui è una forza diabolica che seduce e poi distrugge, riflettendo un lato oscuro e perverso della maternità, che controlla e consuma piuttosto che accogliere e nutrire.
Inferno introduce Mater Tenebrarum, la madre delle tenebre, un’entità che incarna la morte e il caos, utilizzando il suo potere per seminare sofferenza e disordine. La sua presenza è un ricordo costante di un’evidenza: la maternità, nel mondo di Argento, può essere anche una fonte di paura irrazionale e distruzione indiscriminata.
La Terza Madre, infine, chiude la trilogia con Mater Lachrymarum, la più potente e terribile delle madri. Questa figura domina e terrorizza, usando il suo potere per manipolare e devastare, mostrando come l’immagine della madre possa essere distorta in un’autorità tirannica e distruttiva. L’estetica di Dario Argento, particolarmente evidente nei primi due film della trilogia delle madri, ha giocato un ruolo cruciale nel compensare alcune lacune nella scrittura e nella costruzione narrativa. In Suspiria, la combinazione di colori vividi, in particolare l’uso intensivo di rosso, blu e verde, crea un mondo surreale e onirico. Questa scelta cromatica non è solo un vezzo visivo, ma un elemento narrativo che intensifica il terrore e l’angoscia. La fotografia di Tovoli è una danza di luci e ombre che gioca con la percezione dello spettatore, rendendo palpabile il male che si annida nell’accademia di danza mentre la colonna sonora dei Goblin, con il suo mix di suoni elettronici e motivi ripetitivi, è ipnotica e inquietante, e accentua la sensazione di disorientamento e paura. Inferno continua sulla stessa linea mentre nel caso di La Terza Madre, questo equilibrio tra estetica e narrativa non è stato mantenuto con la stessa efficacia. Per chi desidera approfondire il tema, il remake di Suspiria diretto da Luca Guadagnino (disponibile su Prime video), seppur divergendo significativamente dall’originale, offre una nuova prospettiva al capolavoro di Argento.

THE GOONIES di Richard Donner, disponibile su NOW TV

USA, 1985; avventura

THE GOONIES
THE GOONIES

Se parliamo di mamme non proprio impeccabili, non possiamo non citare l’iconica Mamma Fratelli (Anne Ramsey), con la sua figura tarchiata e l’immancabile collana di perle, la villain indiscussa del film di Richard Donner. Oltre a dare la caccia a un gruppo di ragazzini minacciandoli di terribili torture con la sua voce roca, si distingue di certo per i modi bruschi e violenti con cui si rivolge ai figli Jake (Robert Davi) e Francis (Joe Pantoliano), due imbranati scagnozzi pronti a tutto pur di dimostrarle il loro valore. In realtà, però, il personaggio che risente di più di questa mamma così brutale è sicuramente Sloth (John Matuszak), un uomo dai lineamenti deformi costretto dalla famiglia a vivere incatenato in una cantina. All’apparenza, Sloth può sembrare un mostro privo di intelligenza e sensibilità, ma come dimostra nel corso del film ha un grande cuore a differenza della mamma e dei fratelli. Sarà proprio il suo animo buono a spingerlo a rivoltarsi contro di loro, diventando l’eroe della sua storia.

La quiete abituale della cittadina americana Astoria, nell’Oregon, viene turbata dalla rocambolesca evasione di Jake Fratelli dalla prigione locale. Mentre le volanti della polizia inseguono la Banda Fratelli a sirene spiegate, l’attenzione si sposta a casa di Mikey Walsh (Sean Astin), un ragazzino un po’ nerd che insieme a suo fratello maggiore Brand (Josh Brolin) si prepara a salutare i suoi amici di sempre. La sua famiglia, infatti, è stata sfrattata dalla villetta nel quartiere di Goon Docks, dove presto le case saranno sostituite da campi da golf, per volere di due ricchi imprenditori. Tra un battibecco e l’altro, i due fratelli sono raggiunti dal logorroico Mounth (Corey Feldman), dall’aspirante inventore Data (Ke Huy Quan) e da Chuck (Jeff Cohen), terrorizzato dagli inseguimenti della polizia, ma soprattutto dal rischio di esaurire la sua scorta di barrette al cioccolato. I “Goonies” – così si fanno soprannominare – sono quindi al completo. Il pomeriggio sembra scorrere tra la nostalgia e qualche momento di spensieratezza, la cui vittima principale è l’ingenua donna di servizio Rosalita (Lupe Ontiveros). Poi, i ragazzi non si avventurano nella soffitta del papà di Mikey. Tra mille reperti impolverati, si imbattono in una mappa che segnala un misterioso percorso verso il tesoro lasciato dal leggendario pirata Willy l’Orbo, non lontano da Goon Docks. Nonostante le rimostranze di Brand, i quattro amici inforcano le loro biciclette e si mettono alla ricerca del bottino, determinati a non sprecare il loro ultimo pomeriggio insieme. Seguendo con scrupolo le indicazioni della mappa, i Goonies finiscono in un ristorante sospetto, che si rivela presto essere il rifugio dove la banda Fratelli conduce i suoi loschi  intrighi. Con grande ingegnosità, negli scantinati Mikey, Data e Mounth riescono a intrufolarsi nelle gallerie sotterranee che promettono di portare sulla via del tesoro, una volta superati gli innumerevoli trabocchetti. Ancora risentito per la fuga da casa, Brand è riuscito a raggiungerli e ha portato con sé la ragazza di cui è innamorato, Andy (Karri Green), con la sua amica Stef (Martha Plimpton). Nel frattempo, Chuck viene preso in ostaggio da Mamma Fratelli e sotto terribili minacce le rivela l’esistenza del tesoro di Willy l’Orbo. Il ragazzino si ritrova dunque incatenato accanto a Sloth, mentre i tre criminali si mettono sulle orme dei Goonies, con l’obiettivo di impadronirsi di tutte le mitiche ricchezze del pirata. Jake e Francis sono spinti avanti dalla madre, sempre più irritata dal loro fare goffo e esitante. Entrambi desiderano la sua approvazione, ma ciò li porta solo a litigare e cadere nei tranelli molto comicamente. Mamma Fratelli invece è pronta a tutto, persino a sopraffare un gruppo di dodicenni e sacrificare i suoi figli, pur di assecondare la sua fama di denaro. In questo film diretto da Richard Donner, da un soggetto di Steven Spielberg e una sceneggiatura di Chris Columbus, regna un’atmosfera avventurosa e leggera, dove un gruppo di ragazzi per nulla popolari può cercare il suo riscatto. Tra loro rientra a pieno titolo anche Sloth. In questo senso, è indimenticabile la scena in cui rinnega Mamma Fratelli, accusandola di averlo fatto cadere da piccolo, mentre quest’ultima cerca di calmarlo cantandogli una ninna nanna, che sulle sue labbra risulta alquanto improbabile.

Se lo spirito avventuroso e un po’ malinconico di The Goonies vi ha appassionato, allora il prossimo film da guardare è Stand by Me di Rob Reiner, uscito nel 1986. Anche in questo caso, al centro della storia c’è un gruppo di ragazzi alla ricerca di avventura e di rivincita, mentre altre figure genitoriali rischiano di causare danni.

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