Cinema e corsa: le scene più iconiche sul grande schermo

In occasione dell'Aosta 21K, che si correrà domenica 25 maggio, in questa puntata della rubrica, Aiace racconta alcune scene divertenti, avventurose e iconiche di corsa al cinema.
Forrest Gump
Incontri ravvicinati con AIACE

Domenica 25 maggio ad Aosta si corre la 21K. La nuova puntata della rubrica “Incontri ravvicinati con AIACE”, propone per l’occasione alcune scene divertenti, drammatiche e iconiche di corsa al cinema. L’associazione Aiace sarà presente al banchetto all’Arco d’Augusto e invita tutti a partecipare al concorso “Racconta Aosta21K”, in collaborazione Film Commission Vallée d’Aoste e Atletica Sandro Calvesi. Professionisti e appassionati dell’audiovisivo potranno dare sfogo alla propria creatività e misurarsi nella realizzazione di due video che documentino l’evento: un promo di massimo 60 secondi e un reportage tra i 3 e i 5 minuti che racconti in modo completo le due giornate.

FORREST GUMP di Robert Zemeckis, disponibile su Paramount+

Stati Uniti, 1994, commedia, drammatico

Chiunque abbia visto Forrest Gump porta con sé l’immagine di lui che corre, da solo, lungo una strada dritta che attraversa il deserto. Un uomo semplice che attraversa l’America senza sapere davvero perché, seguito da una folla che lo osserva come se custodisse una verità. In quella corsa che sembra non avere senso si nasconde forse il cuore stesso del film, l’opera di Robert Zemeckis che nel 1994 ha raccontato la vita di un uomo qualunque che attraversa decenni di storia americana con lo sguardo limpido di chi si muove senza paura di perdersi, né bisogno di sapere dove finirà. Forrest nasce nel Sud degli Stati Uniti con un deficit cognitivo e un paio di gambe che non sembrano destinate a sostenerlo. Eppure, sfidando ogni previsione, corre.

Corre da bambino per sfuggire ai bulli, corre da soldato per salvare i compagni in Vietnam, corre nella vita senza mai fermarsi, sempre in bilico tra quello che riceve e quello che perde, come se il destino giocasse a dadi con lui. Fino a quella corsa infinita, che lo porta da un estremo all’altro del Paese. Forrest corre perché è quello che sente di fare, e mentre il mondo si affanna a interpretarlo, lui semplicemente va avanti. Quella corsa è una metafora perfetta dell’intero film e, forse, della vita stessa. Andare avanti senza sapere dove si sta andando, lasciarsi attraversare dal tempo e dagli incontri, senza pretendere di capirne sempre il senso. La corsa di Forrest è un atto di resistenza contro la frenesia di dare un nome e una spiegazione a tutto. È un gesto puro, libero da ogni sovrastruttura. E quando finalmente si ferma, in silenzio, lasciando senza parole chi lo seguiva sperando in una verità da raccogliere e far propria, ci ricorda che a volte non c’è niente da spiegare, che il senso delle cose sta nel farle, nel viverle, nel sentirle. Perché la vita, forse, è proprio come quella famosa scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita, ma è solo provando, inciampando e andando avanti che scopri che valeva comunque la pena assaggiarla.

STAND BY ME di Rob Reiner, disponibile su Apple TV

USA, 1986, drammatico, avventura

È l’afosa estate del 1959: a Castle Rock, una piccola cittadina dell’Oregon, quattro ragazzi intraprendono un viaggio alla ricerca del cadavere di un coetaneo scomparso. Tratto da un romanzo di Stephen King, il film racconta un percorso di avventura e di crescita, mentre con un filo di malinconia l’infanzia cede il passo all’adolescenza.

Tra le svariate sfide affrontate dai protagonisti, la scena della corsa sui binari rimane una delle più emblematiche legate all’immaginario del film. Gordie, Chris, Teddy e Vern stanno attraversando un ponte sopraelevato quando all’improvviso sopraggiunge un treno, costringendoli ad una fuga improvvisata. La regia di Rob Reiner costruisce un crescendo di suspense, enfatizzato dai campi e controcampi che ritraggono i due ragazzi rimasti indietro e i loro compagni. In questo dinamismo, la paura non cancella la solidarietà e ancora una volta il gruppo si salva insieme. Ben rappresentativa dello spirito del film, la corsa sui binari si trasforma in una soglia simbolica. In bilico tra vita e morte – tra l’ebbrezza del viaggio e il rischio di tragedia – il pericolo irrompe nell’incoscienza dell’infanzia.

È il momento in cui i ragazzi non possono più fare finta che la loro avventura sia solo un gioco, quasi come una prova iniziatica. Il treno è il mondo adulto che incombe su di loro, la realtà che accelera e minaccia di travolgerli. Come nel resto di “Stand by me”, anche in questa scena, l’amicizia rappresenta il cuore della storia: correre insieme, salvarsi insieme, crescere insieme. E a distanza di quasi quarant’anni dalla sua uscita, è forse proprio questo lo spunto più emozionante che ci lascia il film, anche molto tempo dopo essere scesi da quei binari.

STRINGI I DENTI E VAI, Robert Zemeckis, disponibile su Plex

USA, 1975, western

Stringi i denti e vai
Stringi i denti e vai

Settecento miglia, più di mille chilometri, da un capo all’altro degli Stati Uniti, per vincere ciò che nel 1906 equivaleva a 70 mila dollari. In gioco però non ci sono solo i soldi, abbastanza per sistemarsi, c’è la lotta che quotidianamente combattiamo contro noi stessi e la società che ci accoglie. “Stringi i denti e vai” è un western diretto da Richard Brooks nel 1975, ma è anche un film sportivo, che come spesso i film del genere sono anche metafore della vita. Questo film in particolare però diventa anche una riflessione sugli USA che usano la corsa e la competizione come metri per misurare ogni lato della loro vita, pubblica e privata; un passaggio che, dalla gamification – ossia la trasformazione di ogni questione in un gioco per coinvolgere e rendere accattivanti anche i lati oscuri del capitalismo – diventa altro: “Correre per soldi non è uno sport, è guerra”, dice uno dei protagonisti, capitanati da Gene Hackman.

Ed è interessante che, per smontare il diktat del successo e della vittoria, della velocità, il regista usi spesso il ralenti per illustrare le sequenze più drammatiche, come il finale in cui gli ultimi due in gara rifiutano di sconfiggersi e si spartiscono la vittoria (una scelta che ispirerà nientemeno che Cars). Un gesto che scardina la logica di una nazione in cui “se non vinci non sei americano”. Forse, ma restare umani è di certo una cosa più importante.

TRAINSPOTTING, Danny Boyle, disponibile su Apple TV, Google play film

UK, 1996, drammatico, umoristico, grottesco

Trainspotting
Trainspotting

In un mondo che corre veloce dove se non hai un lavoro e una famiglia vieni visto con occhi diversi, Mark Renton (Ewan McGregor) e i suoi amici Sick Boy Tommy e Spud si trovano intrappolati nel tunnel distruttivo della droga. Con “Trainspotting”, Danny Boyle – regista di “28 giorni dopo” – immerge lo spettatore in una storia fatta di siringhe e dipendenze, cercando di sensibilizzare il più possibile sull’argomento e mantenendo vivo l’umorismo nero che contraddistingue la pellicola. All’inizio del film, Mark e il suo amico Spud stanno correndo il più veloce possibile per scappare da due poliziotti. Mentre corrono, Mark subentra come voce fuoricampo narrante della storia dicendo: “Choose life, choose a job, choose a career, choose a family, choose a fuc*ing big television”. In questa disperata corsa iniziale, si può subito capire il suo personaggio: un giovane perfettamente consapevole della propria dipendenza e dei suoi effetti distruttivi, di cui ha comunque bisogno per fuggire da una realtà che lo opprime e lo disgusta. “Trainspotting” non è un film che spettacolarizza le sostanze stupefacenti, ma le condanna rappresentandole senza filtri. In quella corsa iniziale c’è già tutto: l’animo provocatorio della pellicola, la capacità di far riflettere e, allo stesso tempo, di intrattenere con una grande forza visiva e narrativa fuori dal comune.

 

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