Con l’inizio dell’anno nuovo, è tempo di bilanci. In questa puntata di “Incontri ravvicinati con AIACE”, vi suggeriamo cinque tra i migliori film del 2024, distribuiti nelle sale italiane tra il 1º gennaio e il 31 dicembre 2024, tra dramma, thriller e storia.
“Parthenope” di Paolo Sorrentino (al cinema)
Italia, 2024, drammatico
Paolo Sorrentino è il Max Ophüls dei nostri tempi, ovvero un regista formalista, per cui le immagini, i movimenti della camera, i colori e la composizione del fotogramma, i suoni e le musiche sono molto di più che ornamenti o prove di stile; sono il suo modo di comunicare, di dare ordine e, per l’appunto, forma alle sue idee ed emozioni. Soprattutto, il paragone col maestro franco-tedesco sorge per il modo in cui Sorrentino modula lo stile e la messinscena in continue variazioni sentimentali ed emotive, verbali e musicali. Parthenope è uno dei punti più alti di questo modo di affrontare il cinema: un film mitologico, in cui il racconto delle divinità che dominano, calpestano o arricchiscono quell’Olimpo chiamato Napoli passa per la vicenda di una semidea che affronta il proprio percorso di formazione ed emancipazione affrontando le fatiche e le meraviglie. Non è un ritratto di donna o l’affresco di un luogo, ma, come fa Roberto Calasso in Le nozze di Cadmo e Armonia, usa i miti, li trasfigura per parlare dell’essere umano e delle sue emozioni. Sorrentino porta il suo stile all’estremo, lo tende allo spasimo, annulla il realismo ma opera un lavoro sulla verità dell’immagine che lascia a bocca spalancata per più di due ore: un film in stato di grazia, bellissimo, con la rivelazione di Celeste Della Porta e la conferma che Silvio Orlando è, oggi, il più grande attore italiano.
“Conclave” di Edward Berger (al cinema)
UK, USA, 2024, thriller, drammatico
Extra omnes, tradotto “Fuori tutti [gli altri]”. Così il Decano del collegio cardinalizio è solito dare inizio alla cerimonia di elezione di un nuovo papa. È proprio in questo territorio che si addentra Conclave, l’intrigante thriller diretto dal regista tedesco Edward Berger. La pellicola poggia fisicamente, emotivamente e spiritualmente sulle spalle larghe di un immenso Ralph Fiennes, che interpreta la figura centrale del film, il cardinale Decano Thomas Lawrence, da cui traspaiono tutti i dubbi e le debolezze, la speranza e la risolutezza di un ministro di Dio, ed essere umano, investito dell’arduo compito di supervisionare e gestire le sorti politiche e spirituali della Chiesa Cattolica. Tra intrighi e segreti svelati, tentativi di persuasione e ripensamenti, gli equilibri di potere vengono continuamente ribaltati, in un climax che culmina in modo sorprendente (specie per i dogmi della Chiesa Cattolica).
A impreziosire l’impianto recitativo c’è un grande cast internazionale (presenti anche i nostri Sergio Castellitto e Isabella Rossellini), che emerge con vigore nella cornice filmica impostata da Berger. La storia, tratta dall’omonimo romanzo di Robert Harris, è trasposta molto bene in fase di sceneggiatura ed enfatizzata dalle musiche penetranti ed elettriche, evocative e silenti del compositore Volker Bertelmann. I costumi, le scenografie e la fotografia ci fanno immergere con tutti i sensi nell’estetica e nell’atmosfera luci/ombre della Curia romana. Conclave è uno dei titoli più interessanti del 2024 perché riesce a tematizzare una riflessione molto importante: qual è il ruolo della Chiesa nel mondo moderno? La risposta non è facile. La crisi spirituale è dietro l’angolo. Che ci sia bisogno di una sterzata radicale in mondo dominato dall’odio, dalle incomprensioni, dagli estremismi e dalla guerra? Non si combatte solo per il potere qui, ma per l’anima stessa dell’umanità.
“Vermiglio” di Maura Delpero
Italia, 2024, drammatico, storico
Il secondo lungometraggio diretto da Maura Delpero ci trasporta nella quotidianità lenta e struggente di Vermiglio, un paesino di qualche centinaio di anime nelle Alpi italiane, nel 1944. Le stagioni si alternano, mentre da lontano arrivano di tanto in tanto le notizie della guerra. Delpero indaga le dinamiche della famiglia Graziadei, dove la tradizione e una fervente fede cattolica scandiscono la vita dei numerosi figli, sotto la guida intransigente del padre (Tommaso Ragno), il maestro del paese. In particolare, la regista approfondisce l’identità delle tre sorelle Lucia (Martina Scrinzi), Ada (Rachele Potrich) e Flavia (Anna Tahler), realizzando tre ritratti femminili diversi e complementari, emblematici del tempo. L’immobilità di Vermiglio – e della famiglia protagonista – si infrange quando arriva Pietro (Giuseppe De Domenico), un soldato disertore di cui Lucia si innamora. A tratti, guardando il film, sembra di essere immersi in un quadro di Vermeer, con le sue emozioni contenute e la sua forza contemplativa. Tra le influenze stilistiche, è altrettanto innegabile l’ispirazione al neorealismo, non solo per l’ambientazione umile e il periodo storico, ma anche per l’attenzione alla quotidianità e l’estetica che spesso ricorda il documentario. Quanto le inquadrature, sono i suoni a costruire l’atmosfera di isolamento: la musica, sempre diegetica, è un’altra espressione della comunità di Vermiglio. Il film ha vinto il Leone d’Argento alla Mostra di Venezia ed è selezionato per rappresentare l’Italia agli Oscar 2025.
“La zona di interesse” di Jonathan Glazer
UK, 2023, storico
Dopo Auschwitz, il concetto di Dio va ridimensionato, ma anche quello di sguardo. E quale dogma deve cadere, se non l’onnipotenza? L’occhio del Novecento oggi si frantuma e moltiplica in infinite videocamere prive del corpo dell’operatore, fantasmi meccanici che sorvegliano senza intervenire, come in un reality show, in cui possiamo vedere tutto, ma non oltre il giardino. Cade così anche l’onniscienza e assumiamo il punto di vista di cineprese gestite da remoto che, impotenti, sono statiche come nel cinema delle origini, limitate a campi totali incapaci di mostrare la totalità del campo di concentramento.
Sin dal nero della prima inquadratura, la fallibilità della vista di fronte all’abiezione fa emergere il potere acusmatico del sonoro, immateriale: per sapere è sufficiente udire un basso continuo ininterrotto e infernale di fiamme, spari, urla. A distanza di sicurezza, lo spettatore osserva una vetrina, attraverso cui non vede l’orrore quotidiano, ma il migliore dei mondi possibili della famiglia nazista al di qua di Auschwitz, con un roseto e una piscina. I suoi abitanti non sono umani, ma insetti da analizzare in vitro. La villa è una perfetta serra trasparente, che diventa un’installazione museale sulla lucida crudeltà dell’uomo.
Restando al di qua del muro, Glazer sposta ancora più avanti il confine dell’irrappresentabilità dell’orrore. Così, assieme a Notte e nebbia, Shoah e Il figlio di Saul (di cui La zona d’interesse potrebbe essere il controcampo invisibile), abbiamo uno dei film-saggio più rigorosi sulla Shoah, sulla dialettica tra campo e fuoricampo, sul sonoro e, ovviamente, sul visibile del cinema.
“Perfect days” di Wim Wenders
Giappone, Germania, 2023, drammatico
Tra i film più significativi usciti in Italia nel 2024, Perfect Days di Wim Wenders si impone come una perla rara, capace di celebrare la bellezza celata nella routine. Al centro della narrazione troviamo Hirayama, un uomo solitario che lavora come addetto alla pulizia delle toilette pubbliche di Tokyo. La sua vita, scandita da gesti ripetuti e rituali essenziali, si trasforma in un’intensa riflessione sull’esistenza, grazie alla capacità di Wenders di rendere straordinario l’ordinario. Hirayama vive un’esistenza fatta di contemplazione e semplicità: ascolta musica, legge, fotografa giochi di luce sugli alberi. La Tokyo di Wenders, lontana dalla frenesia stereotipata, si rivela un luogo d’introspezione, dove persino i bagni pubblici diventano simboli di cura e sacralità. Il rigore con cui Hirayama si dedica al suo lavoro riflette un approccio esistenziale unico: trovare armonia anche nelle cose più umili. Il passato di Hirayama affiora tra silenzi e incontri che spezzano la sua calma quotidiana: una nipote curiosa, una sorella distante, una ristoratrice con cui si intravede la possibilità di un legame più profondo. Questi momenti aggiungono delicate sfumature al personaggio, rivelandone una fragilità trattenuta. In un’epoca dominata dalla velocità, Wenders crea un’opera che invita a rallentare, a ritrovare il senso di meraviglia nei gesti semplici e quotidiani.