Martin Scorsese: andata e ritorno tra paradiso e inferno

In questo articolo individuale della rubrica “Incontri ravvicinati con AIACE”, Hermes Di Stefano analizza il rapporto tra il bene e il male nella filmografia di Martin Scorsese.
Taxi Driver (Scorsese)
Incontri ravvicinati con AIACE

Cos’è la morale? Esiste solo quello che è giusto o solo quello che è sbagliato, oppure esiste un confine torbido entro cui l’essere umano può agire? Queste sono le domande che, come un filosofo, si è posto a lungo (e si pone ancora) il celebre regista italiano americano Martin Scorsese, che, sin dagli inizi della sua carriera, ha messo al centro della sua produzione cinematografica il dilemma che pone l’essere umano in costante conflitto tra il bene e il male

L’ambiguità dell’essere umano 

“Quando avevo la tua età i preti ci dicevano che potevamo diventare o preti o criminali. Oggi quello che ti dico io è questo: quando hai davanti una pistola carica, qual è la differenza?”  (The departed – Il bene e il male)

The Departed
The Departed

I film di Scorsese sono spesso lo specchio della realtà vissuta nella sua infanzia, in cui troviamo un ambiente dominato dalla violenza e dalla criminalità, ma caratterizzato anche da una tendenza moraleggiante prevalentemente cristiana, che quindi non rendeva facile la scelta della strada da imboccare. Infatti, come affermato dallo stesso regista, quando si cresceva nella Little Italy della New York degli anni ‘50/’60 le opzioni erano prevalentemente due: diventare un gangster o prendere la via del sacerdozio.

Emblematica in tal senso la frase “I peccati non si scontano in chiesa. Si scontano per le strade, si scontano a casa. Il resto è una balla. E lo sanno tutti.” Tratta da Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno. Visto che non poteva essere né un criminale né un santo, Scorsese decise di porsi come osservatore critico delle realtà che non poteva abbracciare, diventando così uno dei più grandi autori del cinema contemporaneo. Parlando del rapporto con la propria fede, il cineasta si è definito un pellegrino che intraprende un perenne cammino spirituale volto alla ricerca di una meta che possa dare un senso alla propria esistenza, ma che presenta numerosi ostacoli ed insidie. Con i suoi film, Scorsese estende questa idea alla condizione spirituale dell’essere umano, sempre al centro tra redenzione e peccato, santità e violenza, bene e male.

Screenshot alle
Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno (Martin Scorsese)

La tecnica cinematografica al servizio della storia

Per rappresentare in maniera iper realistica il mondo che lo circonda, Scorsese si serve spesso di inquadrature soggettive che colgono i minimi dettagli dei protagonisti (come gli schizzi di sangue e gli stravolgimenti dei volti tumefatti da un pugno preso o il repentino cambio di espressione del volto in preda ad una reazione violenta), del cambio di scena serrato (campo-controcampo) per dare un ritmo incalzante alla sua narrazione o ancora della transizione tra immagini e suoni discordanti a seconda del mood della storia.

L’estetizzazione della violenza

“Vengono fuori gli animali più strani, la notte: puttane, sfruttatori, mendicanti, drogati, spacciatori di droga, ladri, scippatori. Un giorno o l’altro verrà un altro diluvio universale e ripulirà le strade una volta per sempre.” (Taxi driver)

Se in Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno (1973) siamo ad una fase embrionale del microcosmo scorsesiano, con Taxi Driver (1976) emerge un male dilagante che è la naturale conseguenza di una volontà  con buone intenzioni ma che perde totalmente il controllo. L’alienato e delirante Travis Bickle, interpretato da un iconico Robert De Niro (attore con il quale il regista americano formerà un sodalizio artistico vincente per lungo tempo), non è altro che uno dei personaggi che, da qui in poi, Scorsese sfrutta per porci in contatto con la sua visione (cruda) del mondo.

Taxi Driver (Scorsese)
Taxi Driver (Martin Scorsese)

Come si vedrà sempre di più nelle pellicole successive, i protagonisti dei film del regista newyorkese sono irascibili ed impulsivi: uomini che danno libero sfogo alla loro rabbia  al primo segnale di insofferenza o per puro piacere, uomini che non pongono un freno alle loro pulsioni più basse e per questo dominati dalle stesse. È il caso di Jake LaMotta in Toro Scatenato (1980) – ancora con uno strepitoso Robert De Niro (Oscar al miglior attore protagonista 1981) – storia nell’universo del pugilato ma soprattutto di ascesa e discesa di un essere umano dominato da una forza autodistruttiva latente (il male), capace di emergere improvvisamente fino ad esplodere, vanificando così tutti gli sforzi compiuti per costruire una carriera/vita vincente/felice.

Il fascino del gangster

“Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster. Per me fare il gangster è sempre stato meglio che fare il presidente degli Stati Uniti. Quando cominciai a bazzicare alla stazione dei taxi e a fare dei lavoretti dopo la scuola ho sentito che volevo essere dei loro. Fu là che capii che cosa significa far parte di un “gruppo”. Per me significava essere qualcuno in un quartiere pieno di gente che non era nessuno.”  (Quei bravi ragazzi)

Come non menzionare poi, la fascinazione del cineasta di origine italiana per il mondo criminale, sempre tra gloria e decadenza, inganno e vendetta. In pellicole come Quei bravi ragazzi (1990), Casinò (1995) e The Irishman (2019) Scorsese analizza il contesto mafioso (dunque dentro la vera faccia del male) con un approccio quasi documentaristico ed umoristico, diversamente da quanto fatto in precedenza nel genere gangster. Ne viene fuori un affresco sociologico in cui i mafiosi vengono osservati nella loro ritualità e gestualità, ma anche nella loro vulnerabilità e sofferenza, cosa che li rende non tanto diversi dall’essere umano comune.

Quei bravi ragazzi
Quei bravi ragazzi (Martin Scorsese)

Sempre guardando al contesto gangster (ma con una vena thriller aggiuntiva), una menzione a parte va dedicata a The departed – Il bene e il male (2006), film che è valso al regista di Little Italy il tanto agognato Oscar alla miglior regia nel 2007, cruccio che lo aveva afflitto sin dai tempi di Toro Scatenato. La pellicola sancisce anche la completa maturazione di Leonardo DiCaprio, nuovo attore feticcio di Scorsese, qui alla sua terza prova con il maestro. La pellicola dichiara esplicitamente il suo intento (già a partire dal titolo), ovvero dimostrare che nella vita nulla è banale e nulla è ciò che sembra: diffidare degli altri è la prima regola. Non esistono distinzioni tra il bene e il male: quello che a prima vista può sembrare bene è in realtà il male e viceversa. Si resta scombussolati da questo mondo torbido e ambiguo. Scegliere come comportarsi quando la vita ci sfida è difficile.

Killers of the Flower Moon, il lato oscuro dell’America (e dell’uomo)

“Quando questo denaro è arrivato, dovevamo capire che sarebbe arrivato anche qualcos’altro.” (Killers of the Flower Moon)

Infine, una chiusura sull’ultimo film del regista newyorkese, Killers of the Flower Moon, uscito lo scorso ottobre nelle sale italiane ed internazionali, e per la prima volta, con la partecipazione congiunta dei due suoi attori feticcio De NiroDiCaprioIl maestro torna ad indagare gli aspetti più torbidi dell’animo umano (avidità, crudeltà, razzismo) ma stavolta sotto una luce diversa rispetto al passato: i personaggi criminali, quelli che incarnano il male, sono demistificati, non sono più affascinanti e attrattivi per lo spettatore, bensì viscidi, grotteschi e mediocri. A fare le spese delle loro azioni sono una comunità di Nativi americani (gli Osage), stavolta messi in risalto non come semplici selvaggi a cavallo o nemici da combattere, ma come individui che hanno dovuto sopportare tante angherie, privati delle loro terre e della loro storia.

Killers of the Flower Moon è un film cupo: nei toni con cui si presentano i colori della fotografia, nelle note della colonna sonora stile country, nella storia raccontata e messa in scena da un cast strepitoso. Robert De Niro è un fuoriclasse nell’interpretare individui di moralità ambigua e senza scrupoli, Leonardo DiCaprio aggiunge una nuova sfaccettatura alla sua storia filmica (per certi versi qui si riscontrano similitudini con la sua prova in Shutter Island), Lily Gladstone è una presenza calma ma carismatica in un mare in tempesta attorno a lei.

Per tutta la vita, Martin Scorsese ha dato centralità alle storie caratterizzate da un confine labile tra morale e crimine, da problemi e contraddizioni, sviscerati con un punto di vista difficile e scomodo ma sempre fedele a sé stesso. Cambiano i tempi, cambia la società, ma non cambia il fenomeno osservato, l’ambiguità dell’animo umano, che trova in Scorsese un analista perfetto. Nel bene e nel male. Per approfondire le tematiche scorsesiane della violenza e del fascino del male, ci sono anche Re per una notte (1982), Cape Fear – Il promontorio della paura (1991), Gangs of New York (2002) e The Wolf of Wall Street (2013).

di Hermes Di Stefano 

 

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