Stranger Things 5: l’ultima stagione tra culto anni ’80 e omaggi al cinema

A pochi giorni dall’uscita della prima parte della stagione finale della serie, ci addentriamo nel mondo creato dai fratelli Duffer, esplorando l’universo parallelo e i segreti di un fenomeno che è già un successo senza tempo, oltre alle aspettative per un season finale che si preannuncia epico.
Stranger Things Netflix
Incontri ravvicinati con AIACE

Correva l’anno 2016 e la critica specializzata affermava che il miglior film di quell’estate non era un film, ma una serie TV. Ci avevano visto lungo perché quella serie è diventata in poco tempo un cult capace di ridefinire il concetto di binge-watching

Vincitrice di ben 4 Golden Globes e 7 Emmy Awards tra il 2017 e il 2020, Stranger Things, creata dai fratelli Matt e Ross Duffer con la collaborazione di Shawn Levy (Una scatenata dozzina, Una notte al museo, Wolverine & Deadpool), ci porta in un viaggio nel mondo della fantascienza che si intreccia all’immaginario dell’orrore, aggiungendo anche un sapore nostalgico verso gli anni ’80.

Nel 1983, nella cittadina di Hawkins, nel cuore dell’Indiana, un ragazzino scompare misteriosamente. Il suo nome è Will Byers (Noah Schnapp), a scuola lui e il suo gruppo sono conosciuti come perfetti nerd. Mentre sua madre (Winona Ryder) lo cerca disperata, i suoi amici Mike (Finn Wolfhard), Lucas (Caleb McLaughlin) e Dustin (Gaten Matarazzo) incontrano una bambina fuggita da un laboratorio segreto del governo: presto scoprono che Undici (Millie Bobby Brown) ha poteri telecinetici. Viene quindi svelato che Will si trova in una dimensione parallela popolata da mostri, ovvero il Sottosopra. Con l’aiuto di Undici, i suoi amici riescono a salvarlo, ma le minacce provenienti da questa realtà continuano ad aumentare di stagione in stagione. La serie segue la crescita del gruppo – tra amicizie, amori e traumi irrisolti – mentre lotta in un’escalation di tensione per salvare Hawkins dall’oscurità, incarnata da villain come il Mind Flayer e, più recentemente, Vecna.

Tra mostri e paure recondite, Stranger Things racconta esperienze di crescita, evidenziando come il passaggio dall’infanzia all’adolescenza possa rivelarsi un’avventura spaventosa. Un gruppo di ragazzi si prende la scena, persino a discapito degli adulti, dimostrando che, anche nei momenti più inquietanti, il potere dell’amicizia e della connessione umana può però illuminare il cammino, rendendo tutto più semplice.

Il culto degli anni ’80

Negli ultimi anni, il cinema ha mostrato un crescente interesse per le epoche passate, e Stranger Things si distingue come un esempio emblematico di questo fenomeno, attingendo in modo particolare ai mitici anni ’80. Sono molti gli elementi nella serie che ci raccontano di un periodo ormai lontano e che abbiamo quasi dimenticato, come i capi di abbigliamento dai colori sgargianti, le acconciature appariscenti e talvolta innaturali e le ambientazioni.

Stranger Things Netflix
Stranger Things Netflix

Tra i punti di incontro più simbolici e caratteristici dell’estetica anni ’80, ci sono la pista di pattinaggio su rotelle Rink-o-mania nella quarta stagione e la sala giochi Palace Arcade nella seconda. Anche il gioco di ruolo su cui è costruita tutta la serie, D&D (Dungeons and Dragons), è un chiaro riferimento a quel periodo in quanto il gioco, nato qualche anno prima, si è diffuso principalmente negli anni ‘80. Le figure del mind flayer e di Vecna, ad esempio, sono infatti parte dell’universo di D&D, in cui il primo risulta dotato di poteri psionici, il secondo capace di alterare la realtà, caratteristiche riprese nella serie. 

Un altro elemento essenziale è sicuramente il Walkman, che viene lanciato sul mercato nel 1979 e che Max (Sadie Sink) porta sempre con sé nella quarta stagione. Sarà proprio il Walkman a salvarla dal controllo di Vecna (antagonista della serie) attraverso la riproduzione del brano di Kate Bush, Running up that hill

Dove l’immaginario di Spielberg si intreccia con quello di King

Uno degli aspetti più affascinanti di Stranger Things è il modo in cui rielabora l’immaginario degli anni ’80 senza limitarsi alla citazione nostalgica. La serie dei fratelli Duffer attinge a quell’universo culturale, costruendo un mondo che parla al presente ma con il cuore rivolto a un cinema che ha plasmato un’intera generazione. L’influenza di Steven Spielberg è forse la più evidente: “E.T. – L’Extraterrestre” vive nelle inquadrature delle biciclette che sfrecciano al tramonto, nei bambini che scoprono l’esistenza di qualcosa di straordinario ma soprattutto nel modo in cui Stranger Things racconta il senso di famiglia scelta e di fiducia che nasce tra chi è abbastanza giovane da credere ancora nel meraviglioso, anche quando il meraviglioso fa paura.

Accanto a Spielberg, un altro titolo fondamentale è “Stand by Me” di Rob Reiner, tratto da Stephen King. Qui, la eco è meno visiva e più emotiva: la serie riprende quella capacità unica di raccontare l’amicizia come rito di passaggio, come corda tesa tra l’infanzia e il mondo degli adulti. La dinamica del gruppo di ragazzi di Hawkins ricalca quella dei quattro protagonisti di Reiner, non solo nell’avventura condivisa, ma nella fragilità che emerge quando il pericolo costringe ciascuno a fare i conti con se stesso.  

E T DI SPIELBERG E STAND BY ME DIREINER
E T DI SPIELBERG E STAND BY ME DIREINER

L’influenza di King non si limita però alla dimensione emotiva, Stranger Things ne accoglie anche l’anima più cupa. L’orrore che attraversa la serie non è fatto solo di mostri, ma delle paure più intime che i ragazzi portano con sé, proprio come accade in “IT”, dove il vero terrore non è soltanto Pennywise, ma ciò che risveglia dentro ciascun bambino. In questo, il personaggio di Vecna incarna traumi, sensi di colpa e ferite mai guarite, trasformandoli in minacce tangibili. È l’orrore “morale” tipico di King: quello che nasce dalle crepe dell’anima prima ancora che dal Sottosopra, e che la serie fa suo con sorprendente lucidità.

La forza di Stranger Things sta proprio nel riuscire a intrecciare tradizioni cinematografiche riconoscendo il debito nei confronti dei propri maestri servendosene per costruire qualcosa di nuovo: un’estetica riconoscibile e un universo narrativo dove l’epico e l’intimo convivono, ricordandoci che crescere è sempre stato, in fondo, l’atto più spaventoso e straordinario di tutti.

IT STEPHEN KING
IT STEPHEN KING

 

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