Quadrantidi, quando ammirare le stelle cadenti di gennaio 2023
Cosa ci riserva il mese di gennaio? A spiegarcelo sono i ricercatori dell’Osservatorio astronomico della Regione Valle d’Aosta nella rubrica “Il cielo del mese” della Fondazione Clément Fillietroz-Onlus, realizzata con il contributo della Fondazione CRT.
La Luna
Le fasi della Luna. Luna piena il 7 gennaio, Ultimo quarto il 15, Luna nuova il 21 e il Primo quarto il 28.
Congiunzioni della Luna con i pianeti visibili a occhio nudo
Luna e Urano. Nella notte tra il primo giorno dell’anno e il 2 gennaio avverrà una congiunzione stretta tra il nostro satellite naturale e Urano.
Come si nota nell’immagine qui sopra, la vicinanza con la Luna, renderà facile individuare il lontano gigante ghiacciato anche solo con un semplice binocolo. Il disco lunare non nasconderà il pianeta ma sarà suggestivo poter vedere il primo dei pianeti scoperto con il telescopio nel lontano 1781 transitare così vicino alla Luna.
Luna e Urano. Il 3 gennaio la Luna sarà molto vicina alla posizione del pianeta Marte. La congiunzione avverrà nella costellazione del Toro (vedi immagine qui sopra a destra), che si trova in una zona di cielo ricca di oggetti e stelle luminose: una cornice che renderà il tutto alquanto spettacolare, tra la brillante stella Aldebaran, l’ammasso delle Iadi e quello delle Pleaidi (vedi l’immagine qui sopra a sinistra).
Luna con Venere e Saturno. Segnaliamo che Il 23 gennaio avverrà una seconda, interessante congiunzione, addirittura tripla: Luna, Venere e Saturno formeranno infatti un interessante terzetto. Il fenomeno si potrà osservare a partire dalle 17.45, appena dopo il tramonto del Sole. Il nostro satellite naturale, avendo un’età (cioè il tempo trascorso dalla Luna nuova) di poco più di 2 giorni soltanto, si vedrà come una sottilissima falce.
Luna e Giove. Il 25 gennaio, dopo il tramonto del Sole, potremo ammirare una Luna ancora molto giovane (età: 4 giorni e mezzo) a circa 6 gradi dalla posizione di Giove.
-
I pianeti
Mercurio. Verso fine mese si può forse tentare di osservare l’elusivo pianeta, a oriente, prima del sorgere del Sole. In particolare il 30 sarà alla massima elongazione, ossia angolarmente più lontano dal Sole (circa 22 gradi), ma molto basso (a circa una decina di gradi sopra l’orizzonte sudest) nella costellazione del Sagittario.
Venere al tramonto. Verso la fine di gennaio si può tentare di scorgere Venere verso ovest, dopo il tramonto del Sole, a una discreta altezza sopra l’orizzonte (verso le 18.00 sarà a un’altezza di circa 14 gradi). Il 23 gennaio si potrà assistere a un’interessante congiunzione tripla tra Venere, la Luna e Saturno. Ne abbiamo parlato nella sezione precedente, dedicata alle congiunzioni tra il nostro satellite naturale e i pianeti, a cui rimandiamo il lettore curioso. Il 3 gennaio il pianeta passa dal Sagittario al Capricorno per poi sconfinare dal 25 nell’Acquario.
Marte domina il cielo di gennaio. Il Pianeta rosso è ancora perfettamente visibile quando il cielo si fa buio nella costellazione del Toro, come un punto luminoso dall’inconfondibile tinta rossastra. Tramontando attorno alle 4.00 a inizio di gennaio e verso le 3.00 a fine mese, è comodamente visibile per tutta la notte.
Giove comincia a coricarsi presto. Visibile all’inizio del mese già alla fine del crepuscolo (dalle 18.00 in poi), lo si può osservare nella costellazione dei Pesci fino alle 22.30 circa (dipende dalla disponibilità di un orizzonte sgombro verso ovest). A fine mese la bassa altezza sull’orizzonte del pianeta lo rende visibile solo fino alle 21.00.
Saturno ci saluta. A inizio del mese, attorno alle 18.00, quando il cielo comincia a scurirsi, il pianeta inanellato è teoricamente ancora visibile a un’altezza di una ventina di gradi sopra l’orizzonte sud-ovest. Ci si può aiutare con un binocolo per identificarlo nel cielo ancora chiaro quando sarà ancora a una buona altezza sull’orizzonte. Ogni giorno, a mano a mano che si avvicina alla posizione del Sole, con il calare del buio diviene infatti sempre più basso sull’orizzonte e sempre meno visibile.
Urano. Nelle prime ore del 2 gennaio la Luna si troverà vicinissima a Urano. Rimandiamo alla sezione qui sopra, dedicata alle congiunzioni tra Luna e pianeti, che illustra le circostanze del fenomeno e la sua osservabilità, alla portata di chiunque abbia a disposizione almeno un binocolo. Nel resto del mese Urano sarà visibile nella costellazione dell’Ariete a una ventina di gradi a ovest di Marte.
Nettuno. Si trova per tutto il mese nella costellazione dell’Acquario. Essendo angolarmente sempre piuttosto vicino a Giove, le sue condizioni di osservabilità sono simili a quelle di quest’ultimo (vedi la sezione di Giove per i dettagli). È osservabile solo con l’ausilio del telescopio, in cui appare come un piccolo dischetto di colore azzurro intenso.
Lo sciame meteorico di gennaio: le Quadrantidi
Attorno alle 6.00 del mattino del 4 gennaio si verifica il picco di attività dello sciame delle Quadrantidi, attivo dal 12 dicembre al 12 gennaio, composto dalle meteore (“stelle cadenti”) generate dalle polveri dell’asteroide 2003 EH1 lasciate lungo la sua orbita attorno al Sole. Durante il picco vi possono essere momenti di intensa attività, con un cospicuo numero di meteore visibili. Purtroppo quest’anno una certa quantità di chiarore lunare (la Luna sarà illuminata al 92%) disturberà in parte l’osservazione, potendosi limitare solo alle meteore più brillanti. Si chiamano così perché un tempo il radiante era situato in una costellazione, il Quadrante murario, ora non più annoverata tra le 88 costellazioni ufficiali.
-
Stelle e costellazioni visibili nelle serate di gennaio
Il Cigno, la Balena e il Grande Carro che si nasconde. A ovest, appena fa buio, siamo ancora in tempo per vedere Deneb, la stella più brillante del Cigno, che in procinto di tramontare sembra salutarci dandoci appuntamento in primavera. Attorno alle 21.00 la Balena è riconoscibile verso sud. Una delle stelle che compongono la sua coda è Tau Ceti, una stella molto vicina, a una dozzina di anni luce appena, che ospita un sistema di pianeti extrasolari.
Orione, il gigante. A partire da queste notti di gennaio possiamo vedere per tutta la serata Orione, una costellazione che dominerà il cielo per l’intero inverno.
Anche i neofiti la riconoscono facilmente. Le due stelle più luminose della costellazione, situate in posizione opposta sono, in alto a sinistra, Betelgeuse, che nella visione tradizionale rappresenta la spalla destra (anche se l’espressione araba originale potrebbe riferirsi… all’ascella) e, in basso a destra, Rigel (etimologicamente, il piede sinistro). Dal punto di vista astrofisico sono classificate rispettivamente come supergigante rossa e supergigante blu e si trovano rispettivamente a 640 e a 860 anni luce da noi. Betelgeuse è una stella in fase finale di evoluzione, probabilmente è destinata a esplodere come supernova. Rigel è una giovane stella dall’età di 10 milioni di anni, che tra pochi milioni di anni potrebbe seguire lo stesso destino di Betelgeuse.
Al centro del grappolo di stelle che rappresenta la spada di questo gigante notiamo la grande nebulosa M42, che, già osservata attentamente a occhio nudo, sembra una stella sfocata, una specie di batuffolo luminoso. Nei binocoli e nei telescopi regala sempre una visione indimenticabile. L’immagine di copertina di questa rubrica riporta una sua fotografia ripresa dal Telescopio Spaziale Hubble.
Sirio la sfavillante. In basso a sudest rispetto alla costellazione di Orione, individuiamo la stella più brillante dell’intera sfera celeste: Sirio, in greco “la sfavillante”, affascinante sia a occhio nudo che attraverso il telescopio. Il suo caratteristico rutilare con continui bagliori colorati, più intenso quando l’aria è turbolenta, è dovuto alla rifrazione della sua luce da parte dell’atmosfera terrestre. È una delle stelle più vicine a noi (dista 8,6 anni luce) e il suo vero colore, un bel bianco celeste, indica una temperatura superficiale di circa 9˙500 gradi.
-
La costellazione zodiacale del mese: il Toro
Nelle serate di gennaio si può agevolmente osservare la costellazione zodiacale del Toro, che attorno alle ore 22.00 si staglia alta sopra l’orizzonte sud.
Molte culture antiche hanno visto nella forma a “V” disegnata dalle Iadi le corna di un toro e forse lo stesso immaginavano gli ignoti artisti che realizzarono opere parietali all’interno delle grotte di Lascaux nella Francia sud occidentale.
Qui sotto l’illustrazione della pittura rupestre più famosa, nella cosiddetta “sala dei Tori” . Analizzando attentamente l’opera, si può pensare di attribuire alle Pleiadi il gruppo di sette punti che si trovano sulla “groppa” dell’animale.
Nella stessa sala si nota inoltre il dipinto di un altro bovino che curiosamente reca sul muso, fino alla base delle corna, una serie di punti scuri che alcuni ricercatori (come Adriano Gaspani dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera, a Milano) hanno ipotizzato poter rappresentare alcune stelle delle Iadi, l’ammasso aperto che nel cielo sembra disegnare una figura a “V” e che qui vediamo come una sorta di forcella che si estende dal naso alle corna del Toro:
Avvicinandoci nel tempo all’epoca storica, per gli osservatori il Toro era sicuramente una delle costellazioni più importanti, non solo per l’associazione con l’animale simbolo di potenza e di fertilità, ma anche perché, a partire dal 4000 a.C. circa, ha ospitato per diversi secoli la posizione apparente del Sole all’equinozio primaverile (data che per il calendario dei Babilonesi, i Caldei, e gli Assiri corrispondeva all’inizio dell’anno).
Eratostene, matematico, geografo e astronomo del III sec. a.C., riporta nel suo Catasterismi (descrizione delle costellazioni) che il complesso delle Iadi rappresenta la testa dell’animale, con i due occhi, le narici, le spalle e le basi delle corna.
Nel mito greco, a seconda della versione possiamo associare questa costellazione al toro bianco del quale Giove assunse le sembianze per sedurre la bella Europa, oppure alla vacca raffigurazione di Io, onorata da Zeus in grazia della fanciulla, oppure ancora al Minotauro, il mostruoso figlio della regina Pasifae, che venne imprigionato dal re Minosse al centro del labirinto nel palazzo di Cnosso.
Sia per gli ipotetici antichi osservatori del Paleolitico, sia per i Greci e per gli Arabi, le corna del Toro celeste non sono formate dalle Iadi, ma da queste hanno origine e appaiono lunghissime. La punta nord è infatti rappresentata dalla stella Beta Tauri, chiamata dagli Arabi El Nath (“Il Corno”) e quella sud da Zeta Tauri, chiamata anche Tianguan (o ancora Alheka).
La costellazione del Toro è quindi facilmente riconoscibile per la “V” di stelle formata da alcune componenti delle Iadi e dalla vicina Aldebaran.Ma attenzione, le Iadi si trovano a circa 150 anni luce da noi (un anno luce = circa 10.000 miliardi di km), mentre Aldebaran, alla distanza di 65 anni luce, non fa parte fisicamente dell’ammasso, ma … si limita a seguirlo nel cielo nel moto apparente della sfera celeste. Infatti in arabo del X secolo Al dabaran significa infatti “la seguente”, anche se il nome probabilmente si riferisce al fatto che in cielo sembra inseguire anche le non lontane Pleiadi (di cui scriviamo sotto). Questa stella, una gigante rossa, simboleggia l’occhio dell’animale, anche se ne è un po’ il cuore in quanto è la stella più brillante dell’intera costellazione.
Dal punto di vista astrofisico le Iadi, a differenza della maggior parte delle costellazioni che sono spesso formate da stelle a distanze molto diverse tra loro, sono un vero e proprio raggruppamento fisico di oggetti. Con un’età stimata di quasi 700 milioni di anni, le circa 300 stelle che costituiscono le Iadi sono comprese in uno spazio di una ventina di anni luce. Alla già ricordata distanza di circa 150 anni luce sono l’ammasso aperto più vicino al Sole, non a caso alcune componenti sono visibili a occhio nudo.
Questa costellazione ospita anche un altro celebre ammasso aperto, perfettamente visibile a occhio nudo: le Pleiadi (M45 nel catalogo di Messier), a circa 440 anni luce da noi. Le oltre 200 stelle che lo compongono, nate da una nebulosa un centinaio di milioni di anni fa, sono “relativamente” giovani. Mostrano in prevalenza un colore azzurro che denota un’elevata temperatura superficiale, per alcune Pleiadi anche superiore ai 12˙000 gradi.
Per gli antichi greci le Pleiadi visibili a occhio nudo erano sette sorelle figlie di Atlante e di Pleione, di cui il gigante Orione si era invaghito. Gli dei, nel tentativo di salvare queste fanciulle dalla corte indesiderata, le trasformarono in sette colombe (in greco “peleiades”, da cui il nome dell’ammasso) che poi salirono al cielo diventando le celebri sette stelle.
Sul lato opposto della costellazione del Toro rispetto a M45, possiamo osservare con un telescopio M1, la Nebulosa Granchio, ossia un residuo di supernova.
La supernova è il fenomeno catastrofico prodotto da una stella di grande massa che, verso la fine della sua vita, alla conclusione di una fase di instabilità tra l’energia espansiva, irradiata dal suo nucleo, e la componente attrattiva della gravità dovuta alla sua ingente massa, vede prevalere quest’ultima. La stella, infatti, giunta a questa fase evolutiva ha un nucleo pressoché saturo di ferro (sintetizzato attraverso successivi processi termonucleari) che non può più generare energia. La stella è condannata: non più sostenuta dalla pressione di radiazione dell’energia del suo nucleo, implode su sé stessa e produce quindi un’esplosione catastrofica rilasciando violentemente i suoi strati esterni. L’onda d’urto che viene prodotta, riscaldando il mezzo interstellare, formerà il residuo di supernova.
Nel 1054 d.C. l’esplosione di questa supernova si è resa visibile a occhio nudo tra le punte delle “corna” del Toro per diverse settimane, in pieno giorno! Ora al suo posto possiamo osservare al telescopio M1, distante da noi tra i 5.000 e gli 8.000 anni luce.
Le costellazioni che non tramontano mai: l’Orsa Maggiore e il Grande Carro
Cominciamo dicendo che il Grande Carro, attenzione, non è una costellazione!
Infatti oggi è considerato l’asterismo contenuto all’interno della costellazione dell’Orsa Maggiore, di cui rappresenta il dorso e la coda.
A partire dalle 20.30 la sagoma del Grande Carro è perfettamente visibile verso nord est, costituita da sette stelle che formano il carro, a forma di trapezio, più in basso e un allineamento semicircolare di tre stelle, il timone, in alto.
Prendendo le due stelle del Carro più lontane dal timone (Merak e Dubhe) e allineandole verso ovest (verso “sinistra”) è possibile traguardare la posizione della Stella polare che fa parte del Piccolo Carro (vedi l’immagine qui sopra).
L’asterismo del Piccolo Carro è a sua volta inserito nell’Orsa Minore, costellazione circumpolare di cui parleremo in una prossima puntata.
La rubrica “Il cielo del mese” della Fondazione Clément Fillietroz-ONLUS è realizzata con il contributo della Fondazione CRT.
Durante il periodo festivo delle vacanze natalizie e del Nuovo anno sono previste aperture straordinarie, da martedì 3 a sabato 7 gennaio 2023.
Sabato 14, 21 e 28 gennaio proponiamo spettacoli al Planetario e visite guidate notturne in Osservatorio Astronomico con prenotazione online obbligatoria.
Per informazioni e prenotazioni, consultate il nostro sito web: https://www.oavda.it/
A cura di Paolo Recaldini, Andrea Bernagozzi e Davide Cenadelli