Sono in particolare quattro gli aspetti sviluppati, in oltre trenta pagine di motivazioni, dal giudice delegato della Corte dei Conti Alessandra Olessina per confermare, nella sostanza, il sequestro cautelare disposto sui beni e depositi dei ventun amministratori regionali, di oggi e del passato, citati a giudizio per un presunto danno erariale da 140 milioni di euro. L'ipotesi è legata all'erogazione al Casinò di quattro finanziamenti, avvenuta da parte della Giunta e del Consiglio regionali tra il 2012 e il 2015.
La questione di giurisdizione
Riguarda la presunta incompetenza della magistratura contabile a sollevare contestazioni sulle delibere finite sotto la lente d'ingrandimento della Procura di piazza Roncas. E' stata invocata da più d'uno dei difensori dei consiglieri ed ex chiamati in causa. Nella tesi addotta dai legali, come sintetizza il magistrato nell'ordinanza conclusiva, i provvedimenti della Regione nei confronti della casa da gioco “costituiscono una scelta consapevole di indirizzo politico-amministrativo volto a perseguire un obiettivo”, il mantenimento dell'attività dell'azienda di Saint-Vincent, “riconosciuto come tale dalla Regione Autonoma Valle d'Aosta fin dal momento dell'assunzione dell'autonomia politico-amministrativa a conclusione della seconda guerra mondiale”.
Un fine “ribadito da successive ripetute leggi regionali” (tra le altre, del 2001, 2006 e 2009), per cui le scelte di Consiglio e Giunta costituirebbero “puntuale attuazione di un'opzione legislativa” dell'amministrazione “e quindi si sottrarrebbero alla valutazione della Corte dei conti, trattandosi di scelte di livello politico”. Secondo gli avvocati che hanno sollevato questa obiezione, se non di natura politica, gli atti di finanziamento dovrebbero comunque “considerarsi espressione di un'ampia discrezionalità amministrativa”, perché “attuativi della potestà di programmazione economica riconosciuta alla Regione ed espressa attraverso” le norme “aventi come oggetto il Casinò e come finalità lo sviluppo economico e turistico della Valle d'Aosta”.
Per il giudice Olessina, tale argomento “non appare convincente”. Nel provvedimento di ricapitalizzazione e nei tre finanziamenti concessi alla casa da gioco vede infatti “atti squisitamente amministrativi, di gestione diretta e concreta della 'cosa pubblica'” e non già espressioni di indirizzo politico “a tutela dei supremi interessi dello Stato o, nel caso di specie, della Regione”. A questi ultimi, peraltro, “non appare riconducibile la gestione di un Casinò, che è finalizzata al perseguimento di un fine ludico, seppure per ragioni turistico-economiche”.
Infine, il magistrato della Sezione giurisdizionale ribadisce che la discrezionalità per cui alcune decisioni sono qualificate dalla legge come insindacabili non significa “assoluta libertà di agire, bensì rappresenta per l'organo pubblico solo la facoltà di scelta fra più possibili provvedimenti, che deve comunque essere operata in relazione al concreto interesse pubblico”.
L'insindacabilità dei consiglieri
Altri avvocati hanno invece sostenuto, durante l'udienza dello scorso 24 aprile, che la Procura “avrebbe di fatto esercitato un indebito sindacato sulle scelte proprie del Consiglio regionale, chiamando a rispondere i consiglieri per atti che sono esercizio delle loro funzioni consiliari, azione preclusa dall'insindacabilità” sancita dalla Costituzione.
Al riguardo, il giudice autore dell'ordinanza, riprendendo il procuratore Roberto Rizzi nella citazione in giudizio, osserva che tale istituto è idoneo a coprire “le funzioni amministrative attribuite” all'Assemblea regionale “in via immediata ed esclusiva dalla Costituzione e da leggi dello Stato”. L'area insindacabile è “riferita alle funzioni legislative, di indirizzo politico e di controllo, di auto-organizzazione interna, nonché a quelle aggiuntive determinate dal legislatore nazionale”, mentre appaiono pienamente sindacabili (e quindi possibile oggetto di indagine contabile) le “altre e diverse funzioni amministrative, determinate dalle varie fonti regionali”.
Al riguardo, “nessuna fonte regionale potrebbe introdurre nuove cause di esenzione dalla responsabilità penale, civile o amministrativa, trattandosi di materia riservata alla competenza esclusiva del legislatore statale”. Ebbene, chiude il giudice Olessina, “gli atti di erogazione finanziaria qui contestati” costituiscono “funzione amministrativa pura”, sulla quale la Corte dei Conti è pertanto competente.
I requisiti del sequestro: la fondatezza delle contestazioni
Il blocco dei beni e dei depositi rappresenta una misura cautelare, adottata nell'ottica di assicurare “una garanzia generica sui beni del soggetto sequestrato contro il pericolo di sottrazioni e/o alterazioni”. Assolve, in pratica, “la funzione di salvaguardare la conservazione e l'indisponibilità di determinati beni per il periodo di tempo occorrente alla soluzione della controversia”. La legittimità del sequestro (e quindi la sua conferma) dipende dalla verifica di due requisiti.
Il primo è “la ragionevole probabilità dell'esistenza” delle contestazioni mosse (o anche solo la “non manifesta infondatezza” delle stesse). Nel caso specifico, a far ritenere al giudice Olessina che tale condizione sussista sono più elementi. Dagli atti emerge infatti: “che sono state effettivamente poste in essere plurime erogazioni finanziarie di ingente entità, nel periodo 2012-2015, a favore di una società, la Casinò de la Vallée SpA, in evidente e perdurante situazione di grave difficoltà economico-finanziario-contabile; che di tale difficoltà vi era piena consapevolezza in capo agli amministratori pubblici che hanno assunto le decisioni delle operazioni di sostegno finanziario”.
Inoltre, “il quadro ordinamentale nazionale e regionale di riferimento imponeva di conformare l'agire pubblico ai generali ed imperativi principi costituzionali e legislativi di economicità, efficacia, efficienza, equilibrio di bilancio, nonché di verificare la compatibilità dell'agire stesso alle singole prescrizioni di legge, nel settore specifico di riferimento, sotto il profilo delle modalità e delle entità dei finanziamenti consentiti”. Alla luce di tutto ciò, conclude il magistrato, “appaiono quindi sufficientemente connotati i fatti materiali contestati dalla Procura”, anche se il giudizio di merito prenderà il via con l'udienza del prossimo 27 giugno e sarà in quella sede che verranno discusse le accuse.
Infine, è un'ultima annotazione in materia, “risulta altresì ragionevole” l'imputazione dei fatti ai ventun amministratori (ed ex) “posto che a costoro sono riconducibili, attraverso il voto espresso” sulle deliberazioni, le decisioni relative alle “plurime erogazioni finanziarie” disposte a favore della Casa da gioco.
La sproporzione tra i patrimoni e l'entità del danno contestato
L'altro requisito che fa da premessa all'applicabilità di un sequestro è costituito sia da elementi oggettivi, “attinenti alla capacità patrimoniale del debitore in rapporto alla entità del credito”, sia soggettivi, desumibili da comportamenti che lascino “presumere la volontà di sottrarsi all'adempimento con atti” idonei “a sottrarre il patrimonio all'esecuzione forzata”. Non è necessario che le due tipologie si verifichino contemporaneamente, ne basta una.
Tra gli indici oggettivi si annovera “la palese sproporzione del patrimonio del presunto responsabile rispetto all'entità del danno erariale fatto valere”, circostanza che “ricorre senz'altro nel caso di specie, tenuto conto anche dell'entità della richiesta complessiva di risarcimento”. Per il giudice Olessina, quindi, anche il secondo requisito è verificato ed “appare, pertanto, meritevole di conferma il sequestro conservativo” richiesto inizialmente dalla Procura contabile e autorizzato dal Presidente della Sezione giurisdizionale.
La posizione di La Torre
Dall'ordinanza notificata ieri, venerdì 25 maggio, emerge anche che, nel costituirsi in giudizio, Leonardo La Torre, ex consigliere regionale tra i ventuno destinatari dei “ceppi” sui patrimoni personali, ha chiesto alla Corte dei Conti, qualora “non intendesse accogliere i rilievi espressi alla legittimità del provvedimento di sequestro”, di versare una somma corrispondente alla richiesta formulata nell'atto di citazione, cioè 3,3 milioni di euro. “La cauzione – ha scritto il già amministratore, dimessosi dopo un periodo di sospensione dalla carica, scattato ai sensi della legge Severino, a seguito della condanna riportata nel processo sui 'Costi della politica' – verrebbe resa operativa contestualmente alla revoca del sequestro conservativo”.
Il giudice ha accolto la richiesta, fissando al 15 giugno prossimo il termine per la presentazione di “idonea prova dell'avvenuto versamento della cauzione”. A quel punto, verificato il deposito, un decreto renderà efficace la temporanea sospensione del sequestro per l'ex consigliere regionale. Trattandosi di una cauzione, sarà l'esito del giudizio di merito a determinarne il destino, ma nel frattempo La Torre non avrà i “ceppi” su beni immobili, conti e indennità che continueranno invece ad essere attivi per gli altri venti citati in giudizio (fatte salve le “liberazioni” di somme già decise in prima battuta ed altre parziali revisioni, legate tra l'altro alle polizze di assicurazione sulla vita che sono espressamente sottratte dalle norme ad azioni cautelari).