“Annamaria Franzoni uccise con razionale lucidità”. Depositate le motivazioni della Cassazione

La Cassazione affida a 54 pagine di motivazione, depositate oggi, la spiegazione per la quale, lo scorso 21 maggio, ha respinto il ricorso presentato dalla stessa Franzoni, chiudendo definitivamente il sipario sul delitto del figlio Samuele.
Annamaria Franzoni
Cronaca

Annamaria Franzoni uccise con "razionale lucidità", il figlio Samuele. Sono queste le motivazioni sulle quali si sono basati i giudici della Suprema Corte, nel confermare la condanna a 16 anni di carcere, per la Franzoni.

La Cassazione affida a 54 pagine di motivazione la spiegazione per la quale, lo scorso 21 maggio, ha respinto il ricorso presentato dalla stessa Franzoni, chiudendo definitivamente il sipario sul delitto del figlio Samuele. Motivazioni che sono state depositate questa mattina, martedì 29 luglio. Cinquanta pagine in cui si legge il perché i giudici non hanno dubbi sulla colpevolezza della donna, non solo, escludono "al di là di ogni ragionevole dubbio che a uccidere il bambino sia stato un estraneo".

Per i giudici della Cassazione, potrebbe essere stato un capriccio del bimbo a spingere Annamaria Franzoni ad ucciderlo. Ma in ogni caso, gli alti togati, evidenziano come "non sia stato possibile individuare con certezza la causa od occasione che originò il crimine". Anche i giudici della Suprema corte non hanno potuto dire con esattezza con cosa sia stato ucciso il piccolo Samuele. L'arma, infatti, in tutti questi anni non è mai stata ritrovata. Secondo i togati, l'ipotesi più plausibile è quella di un oggetto tagliente con manico.  

Il fatto che l'arma non sia mai stata trovata e che i Lorenzi non abbiano sporto denuncia per nessun oggetto mancante, sono circostanze che hanno indotto i giudici "a considerare ancor più implausibile l'ipotesi della responsabilità di un estraneo". Anche per questi motivi, spiegano che "le indagini hanno consentito di dissolvere ogni motivo di sospetto a carico dei soggetti potenzialmente animati da inimicizia nei confronti della coppia e gravitanti nella cerchia delle loro relazioni".

La Cassazione ha sottolineato come la Franzoni non aveva uno stato di coscienza alterato quando uccise il figlio, escludendo così, "la configurabilità in concreto di quello stato crepuscolare ipotizzato nella perizia". Per cui, per i togati la donna non ha nessun vizio di mente, ma ha agito in maniera lucida. E proprio per queste ragioni la pena non merita alcuna censura. E il 21 maggio scorso, i togati hanno confermato la pena a 16 anni di carcere. Per la Suprema Corte bisogna tenere presente non solo "la natura del reato" ma anche "le modalità particolarmente efferate del gesto criminoso – numero e violenza dei colpi, almeno 17, reiterati nonostante il tentativo di difesa compiuto dalla vittima, testimoniato dalle lesioni riscontrate sulla sua mano sinistra – nonché le circostanze di tempo e di luogo dell'azione e l'elevata intensità del dolo, pur ritenuto d'impeto (anche tale specie di dolo consentendo graduazioni della sua intensità)".

Tutti elementi importanti per giungere alle conclusioni che la Franzoni doveva andare in carcere. Dunque, per i giudici la Franzoni è pienamente imputabile e correttamente i giudici di merito le hanno attribuito "il compimento di atti preordinati alla propria difesa, primo dei quali l'eliminazione o la ripulitura dell'arma del delitto". Ma anche "la ricollocazione degli zoccoli al piano superiore, con l'avvertenza di non lasciare tracce di calpestio lungo il percorso, nonché l'occultamento della casacca del pigiama sotto il piumone e la distorta rappresentazione dello stato del bimbo fatta al 118, pur avendo la donna ammesso di aver subito constatato le evidentissime ferite sul capo del piccolo". Tutti questi atti non rientrano nella routine quotidiana e sono pertanto interpretabili come "sintomo di non interrotto contatto con la realtà e inalterata coscienza di sé e delle proprie azioni nonché di razionale lucidità". Per queste ragioni, la notte del 21 maggio si sono aperte le porte del carcere per Annamaria Franzoni.

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