Nella foto poggiata sulla bara accanto ad un cuscino di fiori, per chi l’ha conosciuto, per chi è stato in montagna con lui, c’è tutto Alessandro Bosio. Occhiali da sole, giacca a vento e pollice in alto. Ad indicare “tutto ok”, ma anche a tendere a quell’altezza di cui ha subito il fascino inebriante fin da piccolo. Lo sottolinea anche il fratello maggiore Mauro, nelle testimonianze di parenti ed amici che hanno chiuso stamane la cerimonia funebre della guida scomparsa accompagnando due clienti olandesi sulla Becca Monciair, venerdì scorso: “in quella fotografia ci sta dicendo: ‘da quassù ci sono, se mi volete venite a trovare sono in Valsa(varenche)’. Perché lui è ancora lì”.
Appena prima, all’altare della chiesa di Saint-Pierre, la stessa in cui Alessandro aveva sposato la compagna Eleanor, che nel 2011 gli aveva dato il piccolo Luca, erano saliti i genitori del giovane professionista della montagna, Carla e Franco. Avevano raccontato come, dinanzi al sogno di diventare guida alpina, inseguito lasciando la natia Lombardia per la Valle d’Aosta nel 2004, “i nostri ‘no’ non sono bastati a farti cambiare idea. Anzi, l’idea l’abbiamo dovuta cambiare noi”. “A te brillavano gli occhi quando potevi andare sulle tue montagne. – ha detto la madre, sorretta dal marito – Ora sei sopra ad esse e puoi vedere tutti noi, nello sgomento, nel dolore, nella rassegnazione. Buon viaggio, figliolo”.
A partecipare al dolore di chi ha incrociato il cammino di Alessandro, oltre ai numerosi amici sparpagliati tra la Valle, il milanese e l’Irlanda (terra della moglie), i colleghi di una passione che, nel caso di Bosio, era quasi ragion di vita: le guide alpine. Si perdeva letteralmente il conto, tra la folla che ha riempito la chiesa, delle divise chiare col cappello a tesa larga, strette alla bara e attorno agli stendardi delle compagnie e delle società di tutta la Valle, come quella del Gran Paradiso, di cui lo scomparso era vice-presidente.
“Il tuo sogno lo hai vissuto fino in fondo, fino alle estreme conseguenze. – ha detto, la voce rotta dall’emozione, il presidente dell’Unione Valdostana delle Guide di Alta Montagna, Pietro Giglio, cui nelle ore dopo la tragedia è toccato il delicato compito di informare la famiglia dell’accaduto – Quelle che tu conoscevi benissimo. Quelle estreme conseguenze che tutti noi conosciamo, ma che ci colgono sempre di sorpresa”.
Poi, il messaggio ricevuto, nelle ultime ore, dal gestore di un rifugio: “Alessandro era buono, gentile, misurato e sensibile, generoso e colto, incompreso da molti. Era una persona di valore umano”. “E così vogliamo ricordarti, – ha concluso Giglio, salutato da uno dei numerosi applausi che hanno costellato i messaggi di saluto a Bosio – così come vogliamo ricordare il padre e il figlio che sono deceduti assieme a te”.
A celebrare la funzione, Don Gabriel Bogatu, parroco di Saint-Pierre, con due sacerdoti vicini alla guida deceduta, ed alla sua famiglia, sin dai tempi degli oratori estivi in Valsavarenche, momento in cui la scintilla tra Bosio e la montagna scoccò inesorabile, originando un idillio culminato nell’abilitazione a guida, conseguita il 25 giugno 2013. Visibilmente scosso, perché queste circostanze “mettono alla prova anche la fede”, il giovane reggente della parrocchia in cui Alessandro e la famiglia vivevano ha tratteggiato, nell’omelia, “la sua naturale gentilezza, il suo spirito di servizio, la sua giovinezza di cuore, il suo sorriso, il suo essere figlio, uomo, marito, papà”.
“Tutte queste qualità – ha affermato il parroco – sono state amate anche da Dio e forse si è meravigliato di tutti quei momenti in cui il nostro amico, con discrezione, si è sacrificato perché gli altri fossero più felici. Queste qualità non spariranno mai. Non si dimenticheranno e per noi è un grande conforto. Lasciamo che il nostro cuore sia consolato dalla misericordia e dal fatto che possiamo sostenere la famiglia, con il nostro affetto, con la nostra fiduciosa preghiera e con la speranza”.
Prima che la cantoria intonasse il “Signore delle cime”, nella chiesa erano riecheggiate anche le parole di una componente di “questo piccolo gruppo che da tanti anni portiamo avanti insieme”. Una compagnia di amici unita nel dire “grazie per tutte le bellissime giornate di divertimento, di fatica e di soddisfazione trascorse insieme a noi”, “grazie anche per averti visto piangere di felicità dopo aver raggiunto con noi una meta difficile, forse eri più felice tu di noi, che stavamo ovviamente sempre dietro e tu arrivavi sempre per primo” e “grazie per averci dedicato parte della tua vita”.
Era così, Alessandro Bosio. In una parola, semplice. E proprio per questo, difficile non rendersene conto nel fiume di persone in discesa dalla chiesa al cimitero del paese sotto i colpi del sole, degni di una giornata d'estate avanzata, destinato a lasciare un vuoto incolmabile in chi lo ha conosciuto, da parente, amico, cliente o collega, o comunque lungo i sentieri di un sogno realizzato.