Alla fine, la “Lupa capitolina” resterà al suo posto. Da qualsiasi parte la si voglia prendere la mozione presentata ieri in Consiglio comunale ad Aosta da Étienne Andrione ha fatto parlare di sé, e non solo sui social dove i commenti – molti dei quali anche rabbiosi, per usare un eufemismo – si sono riversati, ma anche in aula.
Nessuno (o quasi) ne voleva parlare, insomma, anche se in Consiglio, dati alla mano ci sono stati 17 interventi più 2, la presentazione di Andrione stesso e la risposta dell’assessore Paron, ai quali sommare tutte le dichiarazioni di voto, per una buona oretta e mezza di dibattito.
Bocciata la mozione, con favorevole il solo Andrione, 13 voti contro e 10 astenuti, le tracce in Consiglio sono state molto diverse: dai contrari tout-court, alle scaramucce polemiche (in realtà riguardanti il giorno prima, per l’Osservatorio sulla legalità), fino ad un discreto sdegno, come quello evidenziato dal 5stelle Luca Lotto per il quale “In una Valle nella quale dilaga la povertà e gli anziani scappano dalle strutture finendo al Pronto soccorso, noi occupiamo il tempo a parlare di questa cosa”.
C’è chi è più dialogante, come Carola Carpinello che propone una targa sotto la Lupa che ne racconti il significato vero, e chi bacchetta un po’ il “sistema Valle d’Aosta” nel quale – spiega Giuliana Lamastra, Alpe –: “Abbiamo anche noi la nostra architettura di regime, che ci caratterizza: quella delle strade non lastricate o che non vanno da nessuna parte e delle ‘grandi opere’ mai finite”.
Tra critiche, critica, autocritica ed una certa quantità di esegesi – galleggiando tra iconoclastia, iconografia, iconologia e storia – la mozione fa discutere ma forse lascia inevasa una domanda, che peraltro Andrione aveva scritto nero su bianco e che spiega: “Forse analizzare i simboli del passato può aiutare a pulire le scorie del presente e magari unirci. Dobbiamo uscire da un ‘blocco’ molto pericoloso che sta già dando conseguenze disastrose”.
Nella mozione infatti Andrione proponeva di rimuovere sì la Lupa “incriminata”, ma di conservarla in un potenziale “Museo della Cultura” dei valdostani – di tutti i valdostani, specifica il consigliere – e del quale si sente, effettivamente, certa mancanza. Mancanza che però porta con sé anche un’altra domanda, forse sottintesa ma anch’essa inevasa e ancor più scivolosa: esiste una cultura che unisca tutti i valdostani?