“Siamo scappati da Milano perché per Michela la situazione era insostenibile. Arrivati in Valle d’Aosta, nostra figlia è rinata, e noi con lei”. Inizia così la storia di Patrizia Mantovani, Paolo e Michela Camagni. Una storia fatta di forza, di determinazione e di impegno, dove la parola “rassegnazione” non trova mai posto ma, anzi, è combattuta e respinta. Una storia fatta, anche, di lotte contro i mulini a vento, di lotte contro una certa mentalità e, soprattutto, una storia fatta di progetti, di idee. Di futuro.
Michela ha quasi 23 anni e, dalla nascita, ha un ritardo a livello cognitivo. È lei ad andare al bancone del bar ad ordinare e portarci i caffè. Inizialmente fa la timida, anche se, assicurano i suoi genitori, “riuscirebbe a far parlare anche i sassi”. La sorprendo anche canticchiare La città vecchia di De André. Patrizia e Paolo hanno fondato, tre anni fa, l’Associazione di Promozione Sociale Forrest Gump VdA Onlus. Ma andiamo con ordine.
La fuga da Milano
La storia della famiglia di Michela parte da Milano, città che, sulla carta, sembrerebbe offrire tante possibilità e tante soluzioni, ma che poi costringe i Camagni a fare i conti con la dura realtà. “Vivevamo nell’hinterland milanese, in una zona poco tranquilla, tant’è che al parroco del paese avevano sparato alle gambe perché aveva cacciato alcuni spacciatori da davanti all’oratorio”, raccontano. “Questo contesto non proprio idilliaco si rifletteva anche a scuola, dove ci sono stati diversi atti di bullismo su Michela. A questo si aggiungevano delle situazioni problematiche con i maestri e con l’insegnante di sostegno, al punto che siamo dovuti arrivare agli avvocati”. All’esterno della scuola, per Michela le cose non andavano meglio: la lista d’attesa per la psicomotricità era lunghissima, addirittura tre anni, e Paolo e Patrizia dovevano rivolgersi a cure private, arrivando a spendere fino a 1000 euro al mese. Nel centro a cui si rivolgono hanno a disposizione un team preparato e disponibile, con logopedisti, pedagogisti, neuropsichiatri pronti a dare supporto agli insegnanti di Michela.
È proprio l’ambiente scolastico, però, il principale ostacolo al loro benessere: “L’educatore e l’insegnante di sostegno chiudevano la porta in faccia ai professionisti del centro a cui ci rivolgevamo, dicendo loro che non capivano niente. Facevano lo stesso con noi, con questo atteggiamento da “so tutto io”, se non peggio. È vero che spesso, nel mondo della scuola, i genitori – soprattutto quelli di ragazzi con disabilità – delegano gli insegnanti a fare i genitori al posto loro, ma è anche vero che per fare l’insegnante ci vuole passione e una certa sensibilità, a maggior ragione per fare l’insegnante di sostegno”. In cinque anni Michela impara poco o niente: fa molta difficoltà con la matematica, e le righe rosse tirate sui suoi calcoli sbagliati non aiutano la sua autostima, né aiuta l’assenza di un metodo alternativo per insegnarle le cose. “Ad esempio, uno dei metodi per insegnare ai ragazzi con handicap a leggere è il globale, mentre a lei hanno sempre fatto fare il sillabico”. La situazione si fa sempre più ingestibile ed insostenibile, l’unico provvedimento che la scuola prende contro gli atti di bullismo è un semaforo di autovalutazione (“i ragazzi sono ingestibili”, dicono i maestri parlando di bambini di 8 anni) e si arriva allo scontro con gli insegnanti. Le lettere degli avvocati riescono nell’intento di far cambiare scuola a Michela, ma la prospettiva delle scuole medie in condizioni simili se non peggiori obbliga Patrizia e Paolo ad una riflessione e ad una scelta radicale: andare via da Milano.
L’arrivo in Valle d’Aosta e la scoperta del baskin
Undici anni fa, quindi, Patrizia, Paolo e Michela si trasferiscono in Valle d’Aosta, a Doues. Il papà di Patrizia, seppur veneto, era nato nella nostra regione, e qui la sua famiglia aveva mantenuto una casa, nella quale venivano ogni volta che potevano. I genitori notano che qui, anche solo per un mese, Michela rinasceva e imparava più cose che in cinque anni di scuola. La scelta di trasferirsi qui pare allora obbligata. A Doues Michela ripete la quinta elementare seguendo il metodo Feuerstein, in una classe di otto bambini che facevano terza, quarta e quinta tutti insieme, poi va a Variney a fare le Medie, da cui esce con 9, e poi al Liceo Artistico di Aosta. “In Valle d’Aosta abbiamo trovato persone splendide”, spiega Patrizia. “Ci abbiamo messo un po’ ad abbandonare i ritmi milanesi, a rallentare. Abbiamo fatto questa scelta per Michela, ma anche la nostra qualità della vita ne ha guadagnato… non siamo stati certo dei martiri!”, dicono ridendo in coro.
Durante il primo anno di superiori scoprono il baskin, che sta per basket integrato: “Secondo me la definizione è sbagliata”, confessa Paolo, “perché più che integrazione del disabile, è lui che fa la squadra, che conta. È l’elemento forte, sono i normodotati a doversi mettere al suo servizio. Se trasporti questo concetto nella vita di tutti i giorni la prospettiva cambia in maniera straordinaria”. Quando citiamo il baskin Michela si illumina, così chiedo a lei di spiegarmi nel dettaglio il funzionamento di questo sport in cui ognuno si confronta con i propri pari e in cui a essere messe in risalto sono le qualità del disabile: “La cosa più importante di tutte è portare la palla ai pivot, che hanno tiri da due e da tre punti: più palle porti loro, più punteggio puoi fare”. Michela gioca con il numero 3, e qualche anno fa sono andati a giocare a Cremona per il campionato nazionale, vincendo.
La nascita dell’associazione Forrest Gump
È proprio il baskin a dare lo spunto a Paolo e Patrizia per la nascita dell’associazione, sia perché li ha messi in contatto con diverse famiglie che si sono trovate nella stessa situazione, sia perché il principio che sta dietro questo sport è la filosofia che anima Forrest Gump. “Finito il liceo, ci siamo guardati intorno e ci siamo chiesti: “E adesso?”. Qui in Valle d’Aosta nel mondo dell’handicap il discorso è sempre stato molto assistenzialistico, almeno finché si è a scuola. Ora che le risorse mancano e che i rubinetti si stanno chiudendo occorre reinventarsi. Non è necessariamente un male, anzi. Insieme ad un’altra famiglia ci siamo parlati per un anno per pensare a cosa fare per i ragazzi, valorizzando le loro capacità e, allo stesso tempo, aiutandoli a trovare i mezzi per stare nel mondo in un percorso di autonomia. Siamo quindi partiti con l’associazione, per vedere cosa i ragazzi sono capaci di fare e se questa cosa può stare sul mercato: per loro è un avviamento al lavoro, una scuola di vita”. Forrest Gump conta circa quaranta soci e apre al mondo della disabilità a 360 gradi, dando la possibilità a tutti di lavorare secondo le proprie capacità. Si va dalla coltivazione delle patate e delle lumache ai laboratori di falegnameria, dove i ragazzi si sono specializzati nella costruzione di diversi oggetti: cassette per le patate e per la cioccolata, ma anche cestini portabirra in legno. “L’ultimo ordine che abbiamo consegnato è stato di 150 cassette per il cioccolato, per una ditta di Milano che opera nell’equo e solidale. Il mercato apprezza quello che facciamo, siamo riusciti a comprare un pullmino per l’associazione”.
Questo fa ben sperare per il futuro, perché, come ripetono Paolo e Patrizia, Forrest Gump non è un progetto, è un’idea: come tale, non ha una fine, una durata. Bisogna pensare al “Dopo di Noi”, e nei piani c’è la creazione di una cooperativa sociale, gestita da un normodotato che, però, viene stipendiato dai disabili: “Se ci pensi, è una cosa rivoluzionaria, è lo stesso principio del baskin”, dice Paolo. “Se riusciamo a fare il salto di qualità e mettere in piedi la cooperativa, vuol dire che possiamo dare lavoro e dignità a questi ragazzi, e che il loro futuro è un po’ più in discesa”. In questi tre anni i progressi sono stati enormi: “Questi ragazzi ci sorprendono e ci emozionano ogni volta. Tutto quello che fanno lo fanno con consapevolezza e capacità, e acquisiscono competenze. Se sono impegnati, se fanno qualcosa che li gratifica e li realizza, loro rinascono, altrimenti si spengono come delle candele. Purtroppo questa è una cosa che accade spesso, sia con i disabili che con i genitori”.
Nelle parole e nella storia di Paolo e Patrizia non c’è alcuna accettazione passiva della situazione in cui si sono trovati, alcun vittimismo: c’è tanta voglia di fare, e fare con quello che si ha. La disabilità, in fondo, è forse solo un punto di partenza altro rispetto a quello che noi reputiamo “normale”, ma la fiamma che guida il percorso che si intraprende nella vita è la stessa per tutti. Michela scia, fa arrampicata, baskin, equitazione: non dice più “non sono capace” ma ci prova, sempre e comunque.
“Forrest Gump ha vinto diversi premi di volontariato, che per noi erano inaspettati”, dicono Paolo e Patrizia. “Qualche tempo fa abbiamo fatto una cena di gala con più di 200 persone: i nostri ragazzi hanno cucinato, pulito, servito. La prossima settimana parteciperemo a Diversamente comico con i comici di Colorado, che sono nostri amici. I risultati arrivano e sono incoraggianti. Noi ci mettiamo l’anima senza aver mai chiesto niente a nessuno, l’unica cosa che chiediamo è che ci lascino fare, senza metterci i bastoni tra le ruote”.
Per scoprire le attività di Forrest Gump e contribuire attivamente, tutte le informazioni sono disponibili sul sito internet e sulla pagina Facebook dell’associazione. Il prossimo appuntamento è con la pesca di beneficienza del 16 e 17 dicembre ad Aosta, in Place des Franchises.
A.P.S. FORRESTGUMP VdA ONLUS
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