Per quel pestaggio del 4 aprile 2013, condito di minacce e danni, erano stati condannati sia dal Tribunale di Aosta un anno dopo i fatti, sia dalla Corte d’Appello di Torino nel 2016. Con la sentenza pubblicata oggi, lunedì 7 maggio, relativa all’udienza del 22 febbraio scorso, la quinta sezione della Corte di cassazione, respingendo il loro ricorso, ha confermato le condanne al 23enne Alex Taccone (un anno e sei mesi di reclusione), ai suoi fratelli Vincenzo e Ferdinando di 24 e 25 anni (per entrambi, tre anni ed un mese di carcere), nonché al padre Claudio, 49enne (due mesi).
A processo, assistiti dall’avvocato Francesco Bosco, erano stati chiamati a rispondere, a vario titolo, di lesioni gravi, minacce, violenza privata e danneggiamento. Per la sentenza di secondo grado, i tre fratelli, avevano – “in concorso con una quarta persona non identificata” – costretto due vicini di casa di Saint-Marcel a “fermare l’autovettura” su cui viaggiavano. Dopo aver rotto “con un pugno” il finestrino, avevano trascinato il conducente, che aveva accanto la moglie, “fuori dalla macchina”, per poi “colpire ripetutamente entrambi”. Lui aveva riportato fratture scomposte al capo, mentre la donna un trauma facciale e una ferita lacero-contusa. Il genitore dei ragazzi, infine, era stato ritenuto colpevole di aver, “al termine dell’aggressione”, minacciato la coppia di morte.
Nella tesi degli imputati (sostenuta sin dal giudizio aostano e ribadita, assieme ad altri presunti vizi della sentenza, nell’appello in Cassazione) due dei fratelli, Alex e Ferdinando (Vincenzo sarebbe stato assente), dopo aver fatto “scorta di legnetti”, stavano “fumando una sigaretta”, quando il vicino, con il quale c’erano già state frizioni, era arrivato in macchina. Sceso dal mezzo, avrebbe puntato un fucile contro di loro, offendendone le origini meridionali. Ferdinando lo avrebbe quindi colpito “al solo fine di disarmarlo, per legittima difesa” e i due si sarebbero poi dati alla fuga.
L’ipotesi non aveva però trovato riscontro per la Procura aostana e i giudici della Suprema corte osservano che il verdetto di secondo grado impugnato “ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti”. In particolare – si legge nella sentenza con cui viene respinto il ricorso – la Corte d’appello ha sancito che la versione dei vicini “era attendibile ed altresì riscontrata dal mancato rinvenimento del fucile” da parte dei Carabinieri, “che hanno ispezionato sia l’auto delle persone offese, che le zone circostanti il luogo dove è avvenuta l’aggressione”.
Al contrario, rileva ancora la Cassazione, è stata affermata la “totale inattendibilità” della versione di uno dei tre fratelli, “in ragione della evidente incompatibilità tra le gravi lesioni” riportate dai vicini (giudicate guaribili, in 60 giorni per l’uomo e 30 per la donna) e “l’unico pugno asseritamente sferrato dall’imputato nel momento in cui la vittima avrebbe abbassato il fucile”.
I nomi di tre degli implicati in questa vicenda, cioè Claudio, Ferdinando e Vincenzo Taccone, erano emersi anche nell’inchiesta “Hybris” dei Carabinieri del 2013. In quel caso, i reati contestati erano la tentata estorsione, il danneggiamento a seguito di incendio, la rapina, il tentato omicidio e le lesioni personali. La Procura addebitava anche l’aggravante del metodo mafioso, ma i giudici di secondo grado, tre anni fa, l’avevano esclusa. Erano inoltre state derubricate varie accuse, con una riduzione delle pene complessive a poco meno di dodici anni di reclusione, contro gli oltre quarantuno del giudizio al Tribunale di Aosta, chiusosi nell'ottobre 2014. Nel corso del 2016 l’ultimo imputato aveva finito di scontare la sua pena in carcere.
