La grande chiave di violino e la cornice a pentagramma sull’epigrafe di Ezio Magliano incastonano il nome del 72enne morto a Santo Stefano tra quelle sette note che hanno disseminato tutta la sua esistenza. Una passione, quella per la musica, che ha reso popolare il cuneese trapiantato in Valle sin dalla fine degli anni settanta, epoca in cui molto di ciò che oggi sembra normale, nel campo dell’intrattenimento, semplicemente non esisteva, o muoveva i primi timidi passi.
Come le canzoni in tv, di cui Magliano fu uno dei primi volti sugli schermi della regione. Lo studio era quello di Rta, l’emittente locale di Giuliano Follioley, e lui – alla tastiera, cui è sempre stato legato il suo percorso artistico – assecondava le richieste degli spettatori, eseguendo i loro brani preferiti. Amava il pop rock, ma legarlo, quale compositore ed arrangiatore, ad un solo genere sarebbe errato, giacché, non senza punte di eclettismo, non disdegnava incursioni in altri territori artistici, come gli chansonniers francesi.
Una trasversalità peraltro rispecchiata da innumerevoli progetti di cui è stato protagonista (spesso finalizzati a una manciata di canzoni, ma la voglia di suonare e creare lo induceva a indulgere sulla formula), come il duo “Digital Clem”, cui aveva dato vita con la moglie, Cristina Linty. Oppure, ancora, dal fatto che, nel suo attrezzato studio di registrazione ad Aosta (chi scrive lo ricorda in via Esperanto), hanno mosso i primi passi discografici – ricevendo consigli e “dritte” – tanti gruppi e aristi “born in VdA”.
Proprio quell’indole da “impresario” lo rese, negli anni Ottanta e Novanta, attivo anche nell’organizzazione di eventi. Chi frequentava concerti, al tempo, lo ha incrociato più d’una volta nel backstage della “Saison Culturelle” e, più in generale, degli appuntamenti che richiamavano nomi importanti, come lo show di Miles Davis all’arena Croix Noire (1988) o – in una escursione dal sottobosco a sette note – la mostra dedicata a Paul Gauguin, ospitata dal centro Saint-Benin.
In quella veste non raccolse solo applausi, ipotesi che pure va messa in conto quando si scende su un campo piccolo e frequentato da pochi giocatori, com’era quello della Valle allora, ma il carattere concentrato sulla sostanza, unito alla solida convinzione che il business non fosse esattamente filantropia, non sempre gli furono d’aiuto. Ebbe anche delle “pause” dalla scena valdostana, in cui si dedicò ad aziende di famiglia, anche nella Confederazione elvetica, ma senza mai allontanarsi definitivamente.
Il nome di Magliano riprese vigore tra le montagne valligiane sul finire degli anni duemila, per l’amicizia con Giulio Rapetti Mogol, “guru” della canzone italiana perché paroliere di Lucio Battisti. Un rapporto certificato dallo stesso autore milanese, nel suo libro “Il mio mestiere è vivere la vita” (2016), presentato anche a Quart (dove Magliano viveva), in una serata che presto divenne “una chiacchierata come davanti al camino di casa sua, ad Avigliano Umbro”.
La vicinanza tra i due, per il caleidoscopio di conoscenze reciproche, alimentò rapporti artistici intensi tra Mogol e la Valle, per la verità non (sempre) scevri da polemiche. Si ricordano il brano “La mia Valle” (con 3mila copie del cd acquistate da piazza Deffeyes), le quattro edizioni del “Premio Mogol” tra il 2008 e il 2011 (istituito dalla Regione per il miglior testo musicale in lingua italiana dell’anno), le borse di studio pagate dall’amministrazione che portarono al Cet di Rapetti (una sorta di accademia della musica) cinquantasei musicisti valdostani e il coinvolgimento di Mogol, in qualità di direttore artistico, nella prima gestione della Cittadella dei Giovani, nel 2009.
Anche in quell’esperienza, Magliano (formalmente responsabile di una società di sviluppo di prodotti web) era al suo fianco. Incontrandolo all’inaugurazione dell’ex macello civico, ribadì di essersi lanciato nel progetto “soprattutto per l’amicizia con Giulio”, condendo il racconto con aneddoti legati al rapporto speciale tra Mogol e i cavalli, ambientati in quella terra umbra di cui Ezio stesso fu ospite tra il 2013 e il 2014, a seguito di un serio problema di salute.
Era così, Magliano, prendere o lasciare. Sicuramente, come hanno tenuto a scrivere sulla sua epigrafe i parenti che lo piangono (oltre alla moglie, lascia i figli Nadine, Marc, Francesca e Federica, anche loro “contagiati” dal “virus” delle sette note), la sua è stata una “vita poco banale” e che ha insegnato a molti come una quotidianità “senza musica sarebbe un errore”. L’ultimo saluto gli verrà reso nel pomeriggio di oggi, venerdì 28 dicembre, alle ore 14.30, al tempio crematorio di Aosta.