Si è chiuso con un’assoluzione – pronunciata dal giudice monocratico Marco Tornatore nella tarda mattinata di oggi, martedì 21 settembre – il processo ad un medico in relazione alla morte di un 24enne di Saint-Vincent che si uccise, nelle prime ore del 26 luglio 2018, gettandosi da un viadotto del paese. Il dottore, Gianni Maria Colarelli, 62 anni di Torino, all’epoca lavorava al servizio d’emergenza 118 ed era intervenuto, prima del tragico gesto, a casa del ragazzo.
L’accusa
L’imputazione era di omicidio colposo. Sulla base delle indagini, il pm Francesco Pizzato contestava al professionista di non aver attuato il Trattamento Sanitario Obbligatorio del paziente, o comunque di non averlo condotto in ospedale. Nei trascorsi del ragazzo erano emersi, dagli accertamenti, propositi suicidi e quel giorno risultava essersi allontanato da casa inviando messaggi in cui sosteneva di voler “farla finita”.
La vicenda
A seguito dell’allarme dato dai familiari, erano scattate le ricerche, ma il giovane ad un certo punto era rincasato spontaneamente. Fortemente agitato, aveva detto di non essere riuscito nel suo intento e i parenti avevano chiamato i servizi d’emergenza. All’abitazione arrivano una pattuglia dei Carabinieri e il 118 con il medico. La prima ipotesi valutata dal medico è il trattamento sanitario obbligatorio, vale a dire il “ricovero coatto” del ragazzo.
La famiglia e i militari lo chiedono a gran voce, ma il paziente lo rifiuta e, anche a seguito del consulto tra il medico d’emergenza e uno psichiatra in turno (inizialmente indagato, ma archiviato durante le investigazioni), viene scartato. La seconda opzione è somministrare dei calmanti per via endovenosa al giovane, che ancora una volta si oppone. Il tentativo che andrà a buon fine è quello di alcune gocce sedative. Quindi il 24enne va a letto e il medico lascia l’abitazione. Lo stesso fanno, fermandosi ancora per qualche attimo, i Carabinieri.
La difesa dell’imputato
Alle due del mattino, il tragico epilogo. I genitori si svegliano e non trovano il ragazzo nel letto. Le ricerche conducono alla scoperta del gesto suicida. Secondo una testimonianza raccolta nelle indagini, il giovane fingeva di dormire dopo aver assunto il calmante. L’avvocato dell’imputato, Carlo Laganà del foro di Aosta, ha arringato sostenendo che il giudizio su un paziente vada formulato con gli elementi di cui si dispone al momento dell’esame, e non a posteriori.
Pertanto, il legale ha chiesto di scagionare il suo cliente, sicché nel frangente in cui aveva visitato il ragazzo, sembrava che questi si fosse addormentato. Dopo una breve camera di consiglio, il giudice ha pronunciato la sentenza di assoluzione, accolta dal difensore esprimendo soddisfazione ai cronisti. Per parte sua, la Procura si riserva di valutare il ricorso in appello, lette le motivazioni della decisione.
La Procura vaglia alcune posizioni
Sono comunque al vaglio degli inquirenti tre posizioni. Si tratta di un componente dell’equipaggio del 118 sentito in aula, per l’ipotesi di falsa testimonianza (riguardo alle dichiarazioni confliggenti rispetto ad altri testimoni), nonché di due consulenti tecnici incaricati dal pm della redazione di una perizia nelle indagini, per i profili di responsabilità individuati dal codice civile (per contraddizioni palesate, rispetto ai contenuti del documento, dall’esame di uno dei due, in aula).