49 giorni di ricovero, 30 di tracheotomia e 16 di terapia intensiva. La drammatica avventura con il Covid-19 di Massimo Rosset, 58 anni di Aosta, inizia giovedì 12 marzo con un po’ di febbre, seguita da tosse, soprattutto durante la notte ed evolve pochi giorni dopo, il sabato, quando ha iniziato ad avere il fiato corto e le gambe indolenzite, che lo hanno costretto a casa e a prendere medicinali.
IL RICOVERO
Il ricovero arriva solo il 17 marzo, in seguito ad una chiamata al 112. “Fortunatamente ho una moglie ed un figlio molto attenti e premurosi, che preoccupati mi hanno convinto a farmi visitare dalla dottoressa Ferrini. – spiega Rosset – La quale, presi i miei parametri come da protocollo, ha compreso immediatamente la gravità della situazione ed ha chiamato il centralino delle emergenze per farmi trasportare al Parini”. Giunto al nosocomio regionale viene accolto nella tenda allestita all’esterno. “Mi è stato fatto il tampone e mi hanno somministrato l’ossigeno visto lo stato critico della mia saturazione sanguigna.” L’esito del test arriva il giorno seguente: positivo. “Me lo aspettavo!” – dice -“ Anzi, me lo sentivo proprio. Ma non ero preoccupato, solo un po’ colpito dall’ossigeno che mi veniva somministrato tramite casco Cpap”.
L’OSPEDALE
Inizia cosi la fase da ospedalizzato, da paziente Covid -19 ed il buio. “I miei ricordi durano altri tre giorni” racconta “dopodiché sono stato sedato e trasferito nel reparto di rianimazione”. Seguono quindici giorni di vuoto, quindici giorni di coma farmacologico dei quali, Massimo, non ricorda nulla se non il momento del risveglio. “Mi trovavo in una stanza buia, fortunatamente non avevo dimenticato il ricovero e il mio accesso in ospedale, per cui non sono andato nel panico. A dire il vero, il primo, duro impatto con la realtà ce l’ho avuto nel momento in cui l’infermiera è venuta a misurarmi la febbre ed io non riuscivo a parlarle. La stessa mi ha poi tranquillizzato spiegandomi che mi era stata praticata una tracheotomia e che alla sua rimozione avrei ricominciato a parlare. Nel mentre mi sono arrangiato con l’uso di una lavagnetta e del telefono cellulare. Ho potuto così contattare i miei famigliari per salutarli e rasserenarli.”
Dopo due settimane di quasi totale immobilità a letto, il personale sanitario inizia ad intravedere qualche piccolo e costante segnale di miglioramento.
LA RIPRESA
“Il giorno seguente ho iniziato la riabilitazione” continua Rosset “Sono stato preso in carico dalle fisioterapiste, che mi hanno accompagnato in un percorso volto a farmi recuperare l’uso degli arti, cosicché potessi, prima, sedermi sul bordo del letto, poi, alzarmi e camminare. Il tutto in vista dell’ultimo giorno di ricovero e di un tanto sperato ritorno a casa”.
Visti gli importanti miglioramenti, Massimo viene trasferito, il 16 aprile, nel reparto Covid e pochi giorni dopo gli viene rimossa la tracheotomia, pur mantenendo attiva la terapia a base di ossigeno. “Quel giorno mi sono davvero emozionato” ricorda. “Era pure venuto a trovarmi uno dei rianimatori, il quale mi ha detto chiaramente che ho avuto circa il 50% di possibilità di superare la fase critica della malattia”.
Il 21 aprile, dopo ben 33 giorni di ricovero, finalmente, ecco il primo tampone negativo. “A quel punto mi hanno trasferito in Medicina 2 per la fase finale della riabilitazione, nel frattempo la mia saturazione è migliorata e mi hanno tolto l’ossigeno. Infine il 4 maggio mi hanno dimesso.”
IL RITORNO A CASA
Quello di Massimo è stato un percorso lungo e tortuoso, ma che si è concluso, fortunatamente, con un lieto fine. “Il fatto di essere guarito, seppur ancora non completamente, e di essere uscito dall’Ospedale Parini sulle mie gambe mi ha riempito di gioia. Sentimento che si è amplificato in maniera indescrivibile nel momento in cui ho finalmente rivisto mia moglie e mio figlio che mi sono venuti a prendere” ricorda ancora Massimo “Questa esperienza mi ha insegnato tanto. Innanzitutto non bisogna mai trascurare la propria salute ed i segnali che ci arrivano dall’organismo. Nel caso, non ci si deve far prendere dall’ansia e dalla paranoia, come non si deve eccedere nel contrario. Ottimismo e reattività, a mio avviso, sono le parole d’ordine. Per situazioni come quelle che ho vissuto è poi fondamentale un adeguato supporto medico.”
A proposito di supporto e competenze, Massimo ha un pensiero per le tante persone che in questo difficile momento lo hanno aiutato. ”Vorrei ringraziare di cuore tutti i medici di tutti i reparti in cui sono stato ricoverato, i rianimatori, le infermiere, le fisioterapiste e le logopediste. Insomma tutto il personale sanitario che mi ha avuto in cura. Una menzione speciale la dedico alla dottoressa Ferrini, la prima a visitarmi, al dottor Santoro ed ai medici di rianimazione e alla dottoressa Modesti che mi ha poi rimandato a casa. Non solo, un grandissimo grazie lo rivolgo ai miei vicini di casa per la solidarietà nei confronti della mia famiglia ed agli operatori dell’AVAPA, in particolare a Igor, che si sono preoccupati di far uscire almeno quattro volte al giorno il nostro cane, Ringo, mentre i miei erano bloccati in casa per la quarantena. Infine ringrazio mia moglie, Evelina, e, soprattutto, mio figlio, Philippe, il quale ha insistito all’inverosimile per farmi visitare, poi i miei colleghi ed ai miei amici che mi hanno inondato di messaggi di sostegno e solidarietà.”
A combattere la battaglia contro il Covid-19, non è stato però solo Massimo in ospedale, ma anche il figlio Philippe e la moglie a casa. “Me la sono passata decisamente male – spiega Philippe – Tutto è accaduto durante la desolazione, la confusione e lo smarrimento più totale delle prime settimane di lockdown. Io non ho sentito gusti e odori per un paio di giorni mentre mia mamma ha avuto una forte polmonite con febbre alta. Avevo due mostri da combattere: uno fuori casa e uno dentro, tagliato fuori da qualsiasi aiuto che non fosse il sostegno telefonico”. L’esperienza ha lasciato anche a Philippe diversi insegnamenti, che vuole ora provare a lasciare a chi dovesse trovarsi in una analoga situazione. “Il consiglio che posso dare è di mantenere innanzitutto la lucidità e il distacco. Non dico di non preoccuparsi, perché è impossibile, ma è fondamentale armarsi di tanto sangue freddo e di molta fiducia. E ancora di più, non bisogna tergiversare: al primo sospetto di avere contratto il virus non perdete tempo prezioso a ipotizzare che possa essere l’allergia, il raffreddore o qualcos’altro. Posso assicurarvi: da questa situazione se ne esce sani essendo un po’ più allarmisti e un po’ meno approssimativi.”
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Direi che soprattutto siete stati molto ma molto fortunati!!