Dopo la grande ripartenza delle visite guidate in Osservatorio Astronomico, con quasi 2.000 entusiasti del cielo che ci sono venuti a trovare tra luglio e agosto, anche il mese di settembre che si sta chiudendo è stato davvero intenso. Venerdì 4 settembre abbiamo annunciato che il comprensorio di Lignan, la frazione montana del Comune di Nus che ospita il nostro centro di ricerca e cultura scientifica, ha ricevuto l’importante certificazione Starlight Stellar Park! È la prima località in Italia a ottenere il prestigioso riconoscimento, grazie all’impegno dell’amministrazione comunale di Nus e del nostro istituto, rispettivamente Capofila e Soggetto attuatore del Progetto “EXO/ECO – Esopianeti – Ecosostenibilità – Il cielo e le stelle delle Alpi, patrimonio immateriale dell’Europa”, finanziato dal Programma di Cooperazione transfrontaliera Italia-Francia Alcotra 2014/20.
Come suggerisce il nome “Starlight Stellar Park della Valle d’Aosta”, si tratta di una qualifica analoga a quella di un parco naturale, che però riguarda la volta celeste. Grazie al Progetto “EXO/ECO” e all’impegno aggiuntivo del Comune di Nus, a Lignan e nelle frazioni vicine sono stati installati nuovi lampioni, dotati di corpi illuminanti a stato solido che permettono un notevole risparmio energetico e allo stesso tempo impediscono la dispersione della luce verso l’alto, migliorando ulteriormente il già alto grado di oscurità del cielo di Saint-Barthélemy. Grazie a queste soluzioni, la località valdostana ha superato la dura selezione degli astronomi della Fundación Starlight dell’Istituto di Astrofisica delle Canarie, grandi esperti di qualità del cielo. Basti dire che gestiscono quello che attualmente è il più grande telescopio ad apertura singola al mondo: il Gran Telescopio Canarias, per gli amici GranTeCan, di ben 10 m e 40 cm di diametro!
La certificazione è stata simbolicamente consegnata alla comunità locale sabato 19 settembre, in occasione dell’evento di chiusura del Progetto “EXO/ECO”. Jean Marc Christille, direttore della Fondazione Clément Fillietroz-ONLUS, l’ha ricevuta da Fabio Falchi, presidente di CieloBuio, associazione no-profit per la protezione dell’ambiente notturno, tra i maggiori esperti di inquinamento luminoso in campo internazionale. Purtroppo alla cerimonia non ha potuto partecipare Nicolò D’Amico, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), il principale ente di ricerca del nostro Paese per lo studio dell’universo. Il grande scienziato italiano è prematuramente e drammaticamente scomparso pochi giorni prima. Il direttore Christille, lo staff, le autorità e il pubblico presente gli hanno rivolto un doveroso omaggio, inviando un abbraccio ideale alla sua famiglia e a colleghe e colleghi dell’INAF.
Nella medesima occasione è stato presentato al pubblico il Planetario di Lignan, completamente rinnovato nel sistema di proiezione digitale a tutta cupola 4K, insieme agli annessi laboratori didattici di robotica educativa e di astrobiologia, costruiti da zero. Alle oltre 300 persone accorse tra sabato 19 e domenica 20 a Saint-Barthélemy non abbiamo potuto mostrare la Sala conferenze, anch’essa ristrutturata, perché in quel fine settimana era adibita a seggio elettorale. Tra le gigantografie di nebulose galattiche e i pannelli con i volti di importanti pensatori, da Democrito agli astrofisici svizzeri Michel Mayor e Didier Queloz, vincitori del Premio Nobel 2019 per la fisica, non abbiamo dubbi che sia stato il seggio più astronomico d’Italia. D’altronde, uno dei simboli della nostra Repubblica è proprio una stella!
Già, appunto, le stelle, starete pensando. Ci stiamo arrivando, ma gli interventi sopra descritti, tutti realizzati nell’ambito del Progetto “EXO/ECO”, sono strettamente collegati alla visione del cielo. Vi possiamo raccontare stelle e costellazioni perché, quando è sereno, quassù a Saint-Barthélemy le vediamo così bene. Il panorama del cielo notturno è una risorsa naturale che va tutelata, perché importante a livello scientifico, economico, soprattutto filosofico e umano nel senso più profondo del termine.
La stagione autunnale è cominciata astronomicamente il giorno 22 settembre, celebrando l’equinozio alle ore 15.31 dei nostri orologi. Come si conviene a un mese di transizione tra due stagioni, all’inizio della serata settembre mostra ancora un po’ del cielo estivo, per poi passare il testimone alle costellazioni autunnali nel corso della notte. Non dobbiamo stupirci, quindi, se dopo cena possiamo ammirare sopra la nostra testa l’asterismo del Triangolo Estivo, costituito dalle brillanti stelle Vega (nella costellazione della Lira), Deneb (nel Cigno) e Altair (nell’Aquila). Se non sapete che cosa sia un asterismo, o asterisma che dir si voglia, potete scoprirlo leggendo la scorsa puntata di questa rubrica.
Il Triangolo Estivo è attraversato dalla Via Lattea, che scende verso l’orizzonte meridionale raggiungendo la zona di cielo del Sagittario. Più verso oriente, c’è un astro che cattura la nostra attenzione. Si tratta di Fomalhaut, nella costellazione del Pesce Australe, da non confondersi con la ben più famosa costellazione zodiacale dei Pesci. Il nome Fomalhaut deriva da un’antica espressione in arabo medievale che vuol dire “la bocca del pesce”. Rappresenta infatti il vertice del muso dell’immaginario animale celeste.
Fomalhaut è forse la stella autunnale per antonomasia. Alle nostre latitudini comincia a farsi vedere proprio alla fine dell’estate. È l’unica stella di prima grandezza tra quelle tipiche del cielo autunnale, occupando la diciottesima posizione nella classifica degli astri più luminosi del cielo notturno visibili a occhio nudo. Risulta abbastanza facile da riconoscere perché si trova in una zona di cielo povera di stelle appariscenti, al punto da essersi guadagnata il soprannome di “stella solitaria”. Per tutti questi motivi, occupa un posto particolare nella lunga storia della cultura umana. Per esempio, si pensa che fosse una delle quattro stelle regali dei Persiani, scandendo l’alternanza delle stagioni insieme ad Aldebaran nella costellazione invernale del Toro, Regolo in quella primaverile del Leone e Antares in quella estiva dello Scorpione.
Le scoperte della moderna astrofisica hanno reso Fomalhaut ancora più interessante. Oggi sappiamo che è una stella nana di colore bianco-azzurrino, con una temperatura esterna di oltre 8.000 gradi e un diametro pari a poco meno del doppio di quello del Sole. Alla distanza di 25 anni luce, la sua luminosità è più o meno 17 volte quella della nostra stella. Rispetto al Sole, però, è relativamente giovane, con un’età di circa 450 milioni di anni: ere geologiche per l’essere umano, appena un decimo dell’età del Sole. Non sorprende quindi che sia ancora circondata da un disco di detriti e polveri, materiale avanzato dalla sua formazione.
Nel 2008, dopo anni di studi, venne annunciata una sensazionale scoperta: all’interno del disco si trovava un pianeta extrasolare, in orbita attorno a Fomalhaut. Questo mondo alieno, probabilmente un gigante gassoso simile a Giove, era stato addirittura fotografato con Hubble Space Telescope. Qualche anno dopo l’International Astronomical Union, l’ente che governa la nomenclatura ufficiale dei corpi celesti (en passant, nessuno può vendervi una stella perché le diate il nome di una persona a voi cara: si tratta di un’odiosa truffa) organizzò un concorso mondiale per dare un nome ai pianeti extrasolari più significativi. Per il pianeta di Fomalhaut vinse Dagon, il nome di un’antica divinità mediorientale metà uomo e metà pesce. Gli appassionati di letteratura fantastica, in particolare horror e weird, ricorderanno che quel mito ispirò allo scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft uno dei suoi racconti più famosi, intitolato proprio “Dagon”.
Come in molti racconti fantastici, anche l’indagine scientifica su quell’esopianeta (pianeta extrasolare in breve) ha regalato un colpo di scena. Successive osservazioni del disco di Fomalhaut, infatti, non sono più riuscite a individuare quel mondo alieno. Che cos’è successo? Appena qualche mese fa uno studio ha avanzato un’ipotesi ancora in attesa di verifiche, ma considerata molto affidabile. Dagon in realtà non era un pianeta vero e proprio, bensì una nuvola di frammenti derivanti dall’impatto di asteroidi che si erano scontrati dentro al disco. La nube all’inizio era molto concentrata, al punto da dare l’idea della presenza di un esopianeta. Man mano che orbitava attorno a Fomalhaut, però, si è allargata fino a dissolversi. Morale della favola? Fomalhaut sembra destinata a restare una stella solitaria, almeno ancora per un po’.
L’articolo è stato realizzato in collaborazione con l’Associazione LOfficina del Planetario che gestisce il Civico Planetario “Ulrico Hoepli” di Milano (lofficina.eu).