Biennale internazionale di Land Art, l’opera di una valdostana fra i progetti vincitori

L'aostana Trussoni insieme a Nicoletta Aveni è stata selezionata per la biennale di San Martino in Badia, una delle più importanti rassegne internazionali di land art. La loro opera scelta fra oltre le 1000 arrivate da tutto il mondo.
Elisabetta Trussoni e Nicoletta Aveni
Cultura

Un binomio fatto di montagne e legami quello di Elisabetta Trussoni e Nicoletta Aveni. Elisabetta, aostana, incontra Nicoletta a Venezia, mentre frequentano entrambe la laurea magistrale in Architettura per la Sostenibilità presso l’Università IUAV di Venezia. Dopo diverse esperienze di formazione all’estero e importanti progetti che le vedono coinvolte assieme, il grande passo di proporsi alla biennale di land art Smach, tra le Dolomiti, terra che la trevigiana Nicoletta conosce bene, perché meta delle sue vacanze.

L’idea di partecipare alla biennale di San Martino in Badia arriva in un anno delicato e particolare come il 2020, periodo di forte stallo per la cultura e le arti, come racconta Elisabetta: “Conoscevamo il concorso, ma non avevamo mai pensato a una nostra possibile partecipazione. In quest’ultimo anno, così lento e privo di stimoli concreti, ci siamo dette che potevamo tentare di portare la nostra idea e sottoporla alla biennale. E così abbiamo fatto, anche sperando di trovare meno concorrenza visto il contesto internazionale molto incerto. Ci ripetevamo di essere una goccia in mezzo al mare e che non saremmo riuscite a farci selezionare, anche perché, a differenza di quello che pensavamo la concorrenza quest’anno è stata anche più numerosa e si sono presentato in 1060 artisti, comprensibile visto lo stop del mondo della cultura, ma dettaglio che non avevamo previsto”.

La biennale delle Dolomiti è un concorso diventato rendez-vous imperdibile per gli amanti della land art, che vede la partecipazione italiana ovviamente preponderante, ma che, negli anni, ha assunto un carattere internazionale, come si vede dalle opere selezionate che provengono da Russia, Cina, Lettonia, Svizzera e Spagna. Il tandem Trussoni-Aveni si geolocalizza come aostano, anche se le influenze montane sono diverse per le due componenti: “Arriviamo entrambe dalle montagne – continua Elisabetta -, questa possibilità che abbiamo colto ci ha permesso di tornare indietro, alle nostre origini e di farlo con un tema che ci ha subito ispirato, come quello scelto dallo Smach quest’anno, ovvero la fragilità”.

Elisabetta Trussoni e Nicoletta Aveni
Elisabetta Trussoni e Nicoletta Aveni

Il tema imposto dalla biennale ha evocato in Elisabetta e Nicoletta il tema del supporto e i ruoli che si instaurano nelle diverse fasi della vita delle persone che si trovano a sorreggere o a farsi sorreggere a seconda dei momenti. L’opera, sup-PORTARE, è una fusione della materia naturale, composta da legno e roccia, e insieme un messaggio forte di comprensione della fragilità come stato d’animo che tutti abbiamo vissuto almeno una volta nella nostra vita: “Non volevamo ridurre il nostro pensiero al periodo storico delicato che stiamo vivendo. La fragilità è qualcosa che esiste al di là dei periodi ciclici e delle situazioni, va oltre e diventa trasversale. La nostra opera vuole esplorare il punto di vista di chi accompagna e supporta un soggetto più fragile. Il racconto di un punto di vista indiretto, che spesso viene investito, anche involontariamente, da questa condizione umana di chi gli sta vicino.
Intendiamo con rapporto di vicinanza, non per forza ed esclusivamente quello fisico, bensì quello tipico dei rapporti di legame intimo ed emotivo tra le persone. Questo legame che si crea tra il Portatore e il Portato è rappresentato nell’opera in maniera fisica, è forte, solido ed enfatizzato per rappresentare i sentimenti che spesso l’accompagnano: tristezza, impotenza e fatalismo”.

sup-PORTARE di Elisabetta Trussoni e Nicoletta Aveni
sup-PORTARE di Elisabetta Trussoni e Nicoletta Aveni

L’opera, molto fisica e leggibile al primo sguardo, nasconde ovviamente un ragionamento più ampio sulla fisicità della materia e sul rimando a una relazione attiva tra i soggetti: “L’opera vuole sottolineare come vi sia una situazione di partecipazione attiva di entrambi i soggetti coinvolti, sia a livello mentale che fisico. Il rapporto porta ad una modificazione, ad un adattamento di entrambe le parti. Più la relazione si protrae nel tempo e più i corpi si modificheranno per adattarsi al contesto. Tuttavia, maggiore è la preparazione del Portatore e minore sarà il ricordo fisico e mentale. Più il soggetto è impreparato e più verrà segnato dall’esperienza. Necessariamente questa vicinanza, non può lasciarli indenni, senza segni, senza ricordi. Anche una volta terminato il rapporto, entrambi i soggetti saranno segnati dall’esperienza di supporto alla fragilità”.

L’opera, selezionata tra le altre, verrà installata dalle due giovani nel bosco di San Martino e per questo sono state adottate alcune scelte stilistiche, che finiscono però per avere anche un motivo artistico forte: “L’atto del sup-PORTARE è visibile dall’esterno, per questo la scelta del colore forte, ma tuttavia è difficilmente risolvibile, praticamente impossibile da sciogliere o slegare per gli spettatori esterni. Ad essi è chiesto di svolgere il loro compito: assistere al fatto particolare, esserne testimoni senza però prendervi parte. L’installazione si realizzerà in una zona boschiva. Nello specifico sul tronco di quattro-cinque alberi, che rappresenteranno i soggetti Portatori. Su ognuno verrà fissato un corpo, che rappresenta il soggetto Portato. Essi saranno reperiti sul posto e fissati con delle cinghie a cricchetto dai colori accesi. Il fissaggio, nel tempo, creerà leggeri segni sul tronco e sul corpo, in base alla natura di questi. Anche dopo lo smontaggio i segni persisteranno sugli alberi per qualche tempo”.

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