Sono serviti 18 mesi per seguire, e tradurre in immagini, la vita e le scelte di due sorelle di Gressoney Saint-Jean, a Joseph Péaquin, regista valdostano che oggi, lunedì 4 ottobre, vede debuttare sul grande schermo torinese del Cinema Massimo, il suo L’Amore e la Cura, documentario di 52 minuti realizzato dal 2019 al 2021. Il film documentario verrà proiettato nella prestigiosa vetrina di Cinemambiente a Torino (ricordiamo che il Festival è il primo per importanza in Italia sulle tematiche ambientali e uno dei primi dieci nel mondo), alle 20.30 e sarà visibile gratuitamente in streaming QUI dal 5 al 13 ottobre.
L’incontro tra il regista e le due giovani avviene per caso e attraverso la madre, come racconta Joseph: “Mi è stata presentata la mamma delle due ragazze da parte della responsabile del Centre des Anciens Remèdes, per un ritratto da realizzare per la sala immersiva della Maison a Jovençan. Sono diversi anni che collaboro con Anna Montrosset e si è creata nel tempo una reciproca stima e rispetto. Dopo la mamma ho conosciuto le figlie ed è scattata la scintilla. Ho trovato avessero un percorso singolare perché pur essendo due giovane ragazze senza tradizioni famigliari contadine e con studi consolidate alle spalle, una laurea alla Sorbonne per Matilde e studi in Geologia per Martha, decidono comunque di intraprendere un’attività agricola innovativa improntata alla sostenibilità. Questo mi sembrava un soggetto interessante da sviluppare, soprattutto in relazione al carattere delle ragazze, forte e determinato. Ho quindi deciso di focalizzare l’attenzione nella realizzazione di questi due ritratti corti per la Maison des Anciens Remèdes, uno per ogni ragazza”.
Nel cinema e più in generale quando si racconta la vita di qualcuno, ci sono spesso dei cambiamenti di programma o dei momenti i piani vengono stravolti. Per Joseph questo momento arriva quando il materiale acquisito si dimostra decisamente troppo prezioso per ridursi a un solo lavoro. È così che il regista valdostano scava ancora nelle vite delle due ragazze: “Poi ho capito che c’era ‘materiale’ per continuare a riprendere e sviluppare un vero e proprio documentario. Soprattutto in base al fatto che la loro è un’attività tutta al femminile ed è un perfetto esempio concreto e non teorico del pensiero ecofemminista nato in Francia alla fine degli anni ’60. Grazie al premio Ça Tourne!, indetto dalla Film Commission Vallée d’Aoste, ho così potuto concretizzare il mio progetto di documentario, ma non senza difficoltà, perché mi mancavano delle coperture finanziarie che non sono mai arrivate da parte di un ente pubblico o di un ente privato”.
Occorre trovare la giusta distanza. “Troppo vicini si diventa voyeurista come nei reality show, troppo distanti si è distaccati e freddi”, spiega ancora Péaquin. “Ma non esiste una distanza predeterminata da una formula scientifica. Sono l’esperienza e la sensibilità del regista a fare la differenza. Tutto qui. E tutto molto semplice e paradossalmente molto complicato. Lavoro oramai come professionista da 26 anni in Valle d’Aosta e ancora non mi sono stufato. L’importante è trattare della Valle d’Aosta non solo per i valdostani, ma per tutti e per sviluppare storie e tematiche locali che possono avere un interesse anche per chi vive dall’altra parte del pianeta. I miei lavori hanno sempre girato il mondo (anche quelli dialogati in Patois), eppure sono sempre stati realizzati ‘sotto casa’, qui in Valle d’Aosta, perché sono sempre attento a non essere mai localista, ma glocalista“.