“Non c’è più un angolo del pianeta su cui non abbiamo messo piede. Ora andiamo pure su Marte, forse è il caso di fermarsi un po’: di conquiste ne abbiamo fatte abbastanza”. Con questa riflessione, Toni Farina spiega l’idea che lui e Antonio Mingozzi hanno lanciato più di un anno fa, cioè quella di identificare una montagna “sacra” da rispettare e non scalare. Un’idea che va in controtendenza con quanto stiamo vedendo negli ultimi tempi, in cui vige una certa frenesia di conquista di vette, ovviamente accompagnata dalla necessità (narcisistica?) di documentare tutto sui social. Al punto che sono nati anche dei contest.
Nulla a che vedere con La montagna sacra di Alejandro Jodorowski né con la sacralità religiosa delle vette di altre culture come il Machapuchare a 6993 metri in Nepal, il Kailash a 6638 metri in Cina, o l’Uluṟu – Ayers Rock in Australia, ma forse più una Montagna Incantata – per dirla con Thomas Mann – per “riscoprire la bellezza di un luogo senza doverci andare per forza”, continua Farina. Quella montagna è il Monveso di Forzo, alta 3322 metri, all’interno del Parco Nazionale Gran Paradiso ed al confine tra la Val Soana e la Valle di Cogne.
Il progetto culturale della “montagna sacra”
“Non ci sarà nessuna norma o divieto: si tratta di un progetto culturale, dell’accettazione libera di un principio e, soprattutto, dell’accettazione del concetto di limite. Lasciare uno spazio simbolico ma anche fisico in cui non si mette piede”, spiega Farina. “Per questo speriamo nell’adesione dell’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso, proprio in occasione del suo centenario, perché ci sembra in sintonia con i suoi scopi”. Farina, infatti, è attualmente consigliere del Parco, Mingozzi è l’ex direttore, ma il processo pare ancora lungo, mentre c’è interesse da parte delle comunità locali (in particolare con il comune di Ronco), così come del CAI e dell’Alpine Club inglese.
Per dirla con un gioco di parole, si predilige l’astensione all’ascensione. C’è una forma di rispetto verso la natura, verso il limite, ma anche una disciplina di se stessi, un saper resistere e controllarsi. “Montagna Sacra come luogo da lasciare esclusivamente agli “altri”, come simbolo affettivo ed emotivo della Natura tutta per il suo valore intrinseco, non in funzione umana. Non tutto quello che siamo in grado di fare deve essere fatto. Non tutte le montagne che siamo in grado di salire, devono essere scalate (conquistate). Per una volta, in un luogo almeno, può prevalere l’idea dell’astensione. Astenersi non significa necessariamente privarsi. In questo caso, l’astensione, più che togliere, regala qualcosa”, si può leggere nel progetto esteso.
Il progetto va avanti e può contare già su numerosi e prestigiosi sottoscrittori, da Hervé Barmasse a Luca Mercalli, da Enrico Camanni a Michele Serra e Piermauro Reboulaz.
Il Monveso di Forzo
Perché proprio il Monveso di Forzo? “È una montagna poco frequentata, di poco interesse alpinistico perché semplice ma non di accesso immediato: da Lillaz, passando per la Valeille, sono 1600 metri di dislivello, mentre dal versante piemontese 2100”, spiega ancora Farina. “Una scarpinata su rocce instabili. È però bella da vedere, ha la forma di una piramide e la si nota anche dalla pianura canavesana. L’idea è di limitarsi a guardarla da sotto, fotografarla, costruire eventi attorno a lei anche in ottica turistica. C’è una mulattiera storica che collega la Val Soana con la Valle di Cogne attraverso il Colle di Bardoney che è un po’ degradata, potrebbe essere l’occasione per risistemarla”.
Una risposta
Io proporrei una legge per la quale almeno una volta a settimana si sia obbligati ad andare in montagna *camminando* e non correndo, per il gusto di riscoprirla come meta per gli occhi e per il cuore e non solo come tempo da abbattere…
Il tutto con un bello zainone molto anni 80 con dentro una tavoletta di cioccolato unto e bisunto da un milione di calorie, la birretta fresca o il vinello e un brutto e buono con un bel pezzo di formaggio e qualche etto di affettato. Altro che barrette al gusto di stronz(i)o e integratori energetici da mezza caloria come i tic tac (di cui, molte volte, si trovano involucri di plastica e alluminio gettati a terra).
In montagna oggi non ci si saluta nemmeno quasi più. Non per qualcosa di personale, semplicemente perché certa gente non ti vede nemmeno, con lo sguardo basso e fisso su percorso e cardiofrequenzimetro…
A parte la mia “ironia” nel proporre una qualsivoglia sorta di pseudo legge, più che fare dei santuari su cui non salire bisognerebbe cambiare la mentalità con cui ci si approccia alla montagna.
Poi ben vengano i trailer e tutto quello che c’è intorno, purché nel loro cuore riescano ancora ad innamorarsi di una vista e di sensazioni che solo la montagna sa offrire e non solo di un tempo e di un dislivello!