“L’azienda Usl ha definito in accordo con l’Assessorato alla sanità, salute e Politiche sociali una procedura per la presa in carico dei turisti positivi al Covid-19, ospiti delle strutture ricettive presenti sul territorio regionale, ma, a fronte dell’importante incremento numerico di questi ultimi, verificatosi tra gli ultimi giorni di dicembre ed i primi giorni di gennaio, non sempre è stato possibile dare regolare applicazione alla stessa“. Inizia così la replica dell’Azienda Usl alla lettera inviata ieri da un’albergatrice per raccontare la sua odissea con alcuni ospiti positivi.
“Il flusso di chiamate riportato nella lettera dell’albergatrice e le riferite informazioni di carattere contraddittorio non sono tracciabili per poter fornire una risposta puntuale. Certamente, l’Azienda Usl valuterà quanto riferito con gli uffici preposti e lo trasmetterà agli uffici competenti (afferenti alla Centrale Unica del Soccorso-protezione civile e a NUE 112) ai fini di migliorare il servizio, comprensibilmente congestionato dall’elevato volume di chiamate e di istanze da parte della popolazione”.
L’azienda spiega, quindi, di aver provveduto a trasferire i tre turisti svedesi “appena abbiamo avuto contezza della loro positività” presso il Covid Hotel, dove hanno soggiornato fino al 7 gennaio 2022.
L’Usl snocciola quindi i dati sulle presenze nel Covid Hotel, dalla data del 24 dicembre 2021 al 09 gennaio 2022: 34 turisti ospitati “per la massima parte stranieri provenienti da Regno Unito, Francia, Danimarca, Svezia, con una degenza media pari a 7 giorni (minimo 3 giorni e massimo 15 giorni) provenienti per lo più da strutture alberghiere della Valtournenche e poi di La Thuile, di Pila e da altre località”. 24 sono stati invece i lavoratori stagionali “con una degenza media di n. 9 giorni (minimo 8 e massimo 12 giorni)”. La maggior parte, provenienti principalmente da La Thuile e Courmayeur, risultano ancora ospiti del Covid Hotel.
“Questa attività è stata garantita tutti i giorni, h.24, Natale e Capodanno compresi, per supportare nel miglior modo possibile la stagione turistica della Regione”.
La lettera dell’albergatrice
Il 31 dicembre ricevetti una chiamata dalla centrale unica di soccorso di Aosta e mi venne detto che un gruppo di 6 ragazzi svedesi doveva stare in isolamento nella mia struttura, in quanto 1 di loro era risultato positivo. Inoltre mi comunicarono che l’indomani mattina sarebbe venuta l’infermiera a fargli il test molecolare e mi chiesero quindi di inoltrargli i dati personali dei 6 ragazzi tramite e-mail.
Al seguito di questa richiesta mi sorse un dubbio: mi era stato chiesto di inoltrare loro i dati personali senza però chiedere l’autorizzazione ai soggetti interessati. Ho deciso così di chiamare il 112 per avere dei chiarimenti in merito. Al centralino mi rispose una signora con toni scocciati, la quale mi disse che stavo chiamando il numero delle emergenze e loro ricevevano solo chiamate in entrata. Io le ribadisco che sono loro ad averci detto di chiamare quello stesso numero. Tra le chiamate in entrata riuscì a trovare il numero privato di uno dei medici che lavora al CUS. Decisi allora di provare a contattarlo, ma anche lui mi rispose con modi molto scocciati, visto che lo avevo chiamato al suo numero privato. Quest’ultimo, però, mi disse che il numero che avevo chiamato precedentemente, nonché il 112, era corretto. Erano gli operatori di questo centralino, che avrebbero dovuto passarmi coloro che si occupavano di dare informazione circa la situazione Covid. Gli presentai anche la mia titubanza circa la richiesta di inoltrare i dati dei miei clienti. Egli mi rispose che non era informato sulla questione della privacy. Inoltre chiesi per quale ragione non li avessero chiesti ai diretti interessati, ma mi venne detto che con questa richiesta accorciavano i tempi.
Tutto però rimase ancora poco chiaro.
Dentro di me pensai che potevano chiedere i dati direttamente al cliente positivo, dato che era stato proprio lui a mettersi in contatto con loro per comunicare la sua positività.
Dopodiché ricevetti una chiamata dalla mia dipendente in turno presso l’hotel. Quest’ultima mi disse che il centralino, non ricordo quale al momento, le aveva comunicato che avremmo dovuto noi stessi prenotare il Covid Hotel. Detto questo mi attivai subito e chiamai il Covid Hotel per prenotare. Qui mi vennero nuovamente chiesti i dati personali dei clienti. Più tardi venni ricontattata dallo stesso centralino, il quale mi disse: “Noi non abbiamo nessuno di questi nomi registrati”.
In serata, preoccupata per questa situazione, ricontattai il centralino per avere ulteriori informazioni!. Questi mi riferì che in realtà non era compito mio prenotare il Covid Hotel. Dopodiché ricevetti un’altra chiamata, dove mi chiesero nuovamente i dati personali dei clienti, in quanto non era compito del CUS caricare i dati personali sul database.
Il giorno successivo eravamo tutti in attesa dell’infermiera che effettuasse i tamponi ai ragazzi. Vorrei sottolineare che tra i miei clienti solo uno era positivo accertato, mentre gli altri cinque no. L’infermiera sarebbe dovuta arrivare intorno alle 8.30, in quanto al momento della chiamata ci avevano assicurato il tampone di prima mattina. Non vedendo però arrivare nessuno, cercai di mettermi in contatto con qualcuno che potesse darmi ulteriori informazioni. Tutte le linee erano occupate e se riuscivo a prendere la linea, nessuno sapeva darmi risposte certe. L’unica cosa che sono stati in grado di dirmi è che per avere i risultati dei tamponi erano necessarie 48 ore.
Il problema è che io, il giorno successivo, avevo degli arrivi e quelle stanze mi servivano libere.
Iniziarono a saltarmi in mente parecchie domande.
«Queste persone devono stare in isolamento presso la mia struttura?»
«Che figura faccio con i miei clienti? I quali hanno prenotato l’albergo per una settimana, ma adesso, a poche ore dal loro arrivo, non è più libera?»
«Chi mi rimborsa i soldi persi?»
Non sapevo più a chi rivolgermi! Allora decisi di contattare le istituzioni alla quale sono iscritta, ma purtroppo nemmeno loro seppero rispondere alle mie domande.
Concludendo, l’infermiera si presentò verso le ore 13, assicurando ai ragazzi l’esito entro la giornata. Peccato che a me era stato riferito diversamente. Infatti l’esito arrivò il giorno successivo. Inoltre l’infermiera mi chiese se i clienti potessero radunarsi tutti in una stanza e mi chiese per la terza volta i dati personali dei clienti, in quanto sui campioncini dei test non c’erano le etichette con i nomi. Ovviamente quei pochi ragazzi rimasti si rifiutarono di ammucchiarsi in un’unica stanza, per paura di essere contagiati dal positivo accertato. A me sembrava al quanto strana questa richiesta e anche fuori dagli schemi.
I tre ragazzi che avevano effettuato il tampone rapido per conto loro ed erano risultati negativi, decisero durante la notte di scappare. Dunque rimasero tre persone, ognuna di queste in tre differenti stanze.
L’indomani mattina finalmente mi chiamarono dicendo che alle 15 sarebbero venuti a prendere i clienti. Nel pomeriggio si presentò l’autista quindi dell’ambulanza, chiedendomi di far scendere i ragazzi. Lì per lì resto basita, poi mando un messaggio ai ragazzi, pregandoli di non passare in ufficio e sperando che non incontrassero nessuno uscendo dalla struttura.
Le stanze furono finalmente liberate!
I miei clienti erano molto scioccati e in alcuni messaggi riportano le seguenti frasi: «In Svezia è completamente diverso, qui è tutto strano e incasinato. Dicono che fanno determinate cose, ma poi nessuno le fa»
Infine, io non ho potuto accogliere i clienti nuovi in quanto i cambi dovevano avvenire il 2 di gennaio, ma le stanze mi sono state liberate il giorno successivo. Vista dunque la situazione, ho dovuto trovare una sistemazione diversa per i clienti in arrivo. Questa è stata una figuraccia e in più ho perso l’incasso di tre camere per una settimana intera ai primi di gennaio.
I ragazzi hanno saldato la notte in più, ma non mi sono sentita di fargli pagare il late check-out.
Questa esperienza mi ha fatto riflettere molto sulla situazione che stiamo vivendo. Dopo quasi due anni di pandemia, ancora molta disorganizzazione e incompetenza.
Non sappiamo mai a chi rivolgerci in caso di bisogno!
Lorette Maquignaz
Una risposta
Ma la signora non poteva sentire il sindaco che è un albergatore, avrebbe sicuramente risparmiato tempo e problemi.