Nell’occhio del ciclone della bufera che nei giorni passati ha colpito l’Università degli studi della Valle d’Aosta, venerdì 27 maggio Giuseppe Grassi, Dario Musolino e Massimo Zanetti hanno finalmente visto sbocciare il frutto di un anno e mezzo di lavoro di indagine e ricerca nella finale divulgazione del loro articolo “Università, territorio e sviluppo in aree remote: il caso della Valle d’Aosta”. Scritto a 6 mani basandosi sulle percezioni e sulle valutazioni degli esperti del settore privato socioeconomico valdostano, il breve saggio di analisi di funzioni e implicazioni dell’ateneo nel contesto territoriale locale è stato pubblicato sulla rivista elettronica quadrimestrale di portata nazionale “Regional Economy”.
Punti forti e punti deboli
“Dalle opinioni degli stakeholder emerge sicuramente il riconoscimento di diversi punti di forza del giovane ateneo valdostano, i quali potrebbero rivelarsi molto utili allo sviluppo economico di una regione remota e di confine come la nostra – spiega Grassi, reduce da un soddisfacente percorso in economia presso l’Università regionale -. Oltre alla presenza di docenti qualificati e agli evidenti vantaggi offerti dal bilinguismo dell’offerta formativa erogata, di particolare rilevanza godono anche la localizzazione geografica di confine europeo del plesso e il numero limitato degli studenti iscritti che favorisce interlocuzione e rapporti tra allievi e professori”.
Accanto alle innegabili prerogative positive dell’ateneo, tuttavia, Grassi, Musolino e Zanetti hanno evidenziato che gli stakeholders del settore privato valdostano richiedono uno sviluppo dell’offerta didattica allineato alle caratteristiche e ai fabbisogni del sistema produttivo regionale, in modo che possa meglio assolvere a una funzione strategica per lo sviluppo locale.
“Oltre all’ultimazione della realizzazione di un unico campus e all’allestimento di un efficace sistema di pubblicizzazione dei propri corsi di laurea, sarebbe necessario stabilire un’interazione più stabile e strutturata con gli attori territoriali nonché un maggiore rinnovamento e allineamento del pino formativo alle vocazioni e alle specializzazioni locali – suggerisce Grassi, convinto che questi e altri elementi di criticità evidenziati dagli stakeholder possano spiegare la crescente difficoltà di UniVdA ad attirare o trattenere studenti -. È ovvio che tale punto di vista è soltanto una delle prospettive attraverso cui effettuare tale analisi, ma resta innegabile che i feedback emersi non possano essere trascurati in una regione limitrofa dove l’Università potrebbe ribaltare una traiettoria di progresso che negli ultimi anni appare pericolosamente declinante”.
I prossimi sviluppi
Una delle prossime tappe evolutive del progetto “Università, territorio e sviluppo in aree remote: il caso della Valle d’Aosta” sarà l’allestimento di un seminario finalizzato a portare il tema all’attenzione dell’opinione pubblica e a restituire agli interessati i risultati della ricerca.
“Con parziale sorpresa e con grande piacere, ho già potuto ricevere alcune manifestazioni di interesse provenienti da ambiti istituzionali e non in merito proprio all’organizzazione di tale incontro, che vuole essere un’occasione per favorire il confronto equilibrato e ragionato tra stakeholder, ateneo, attori sociali e auspicabilmente anche decisori politici – conclude Grassi, dettosi peraltro allettato dalla prospettiva di intraprendere una potenziale carriera accademica, della quale tuttavia egli pur riconosce le ostiche prospettive di raggiungimento -. Assieme agli altri autori di tale articolo stiamo tuttora proseguendo sulla medesima linea di indagine al fine di arricchire e perfezionare la precedente analisi nella speranza di portare anche all’attenzione della società civile valdostana un rapporto tra università e territorio fondamentale per il proprio essere e il proprio divenire”.
Una risposta
Io i miei figli non li manderei mai e poi mai a studiare all’Univda!