Il nastro bianco
“Eine deutsche Kindergeschichte”, una storia tedesca di bambini: questo il sottotitolo imposto da Michael Haneke a tutte le edizioni internazionali del suo film. Imposto non solo nella lingua originale ma anche nel carattere, il Sutterlingschrift, il corsivo frequente nella scrittura a stampa e a mano fino agli anni Venti del secolo scorso, soprattutto nei paesi di lingua tedesca. E chi sono i bambini protagonisti di questa storia? Sono quelli che da adulti porteranno il nazismo al potere e combatteranno le sue guerre, dissolvendosi poi nella più umiliante delle sconfitte. Ma sono anche i figli della generazione precedente – il medico, il pastore, l’insegnante, l’amministratore: tutti definiti dalla propria funzione sociale – e della sua cultura letteraria, religiosa e politica. Sarebbe sbagliato tuttavia ridurre “Il nastro bianco” all’istantanea di un momento storico. Questo film – Palma d’oro a Cannes -è infatti uno straordinario e densissimo tessuto narrativo che Haneke stende davanti ai nostri occhi con la semplicità che i grandi artisti hanno quando presentano il proprio capolavoro. Tantissime le scene magistrali, tantissime le proposte di senso alle quali andare incontro: “Il nastro bianco” – al quale nel film sono legate al contempo la redenzione e l’infamia, l’esteriorità del bene e l’incombenza di un male sconosciuto – è un film da vedere e rivedere.
Per saperne di più su Michael Haneke
“La pianista” e “Caché, niente da nascondere”. Due film dei film più conosciuti dell’ultima produzione del regista austriaco, ampiamente distribuiti in sala e in dvd (entrambi da “01 distribution”). Il rigore formale e lo studio sulla violenza (su di sé e sugli altri) attraversano queste due opere che sembravano portare la produzione di Haneke verso atmosfere impalpabili, quasi astratte, sostenute da un talento registico più unico che raro nel cinema contemporaneo. Affascinanti da rivedere ora, rispetto allo sviluppo e all’ulteriore perfezione raggiunta con “Il nastro bianco”.
L’uomo che fissa le capre
Diventando produttore di se stesso, George Clooney ha da diversi anni trovato il modo di interpretare (quasi) sempre gli stessi due personaggi. O è bello e puro in un mondo corrotto (“Syriana”, “Good night and good luck”, “The good German”, “Michael Clayton”) oppure è bello, scemo e surreale (“Three kings”, “Fratello, dove sei?”, “Prima ti sposo, poi ti rovino”, “Burn after reading”). “L’uomo che fissa le capre” appartiene a quest’ultimo filone della produzione clooneyana ed è un film piacevolissimo nel quale – come in tante altre situazioni – l’ex coprotagonista di “E.R.” si circonda di spalle di lusso, da Ewan McGregor a Kevin Spacey, passando per Jeff Bridges, che sembra non possa ormai più vestire altri panni che quelli del “Grande Lebowski”. Tratto da un libro che si vuole racconto parzialmente vero (senza mai specificare in quale punto), è un film (ottimamente) costruito per divertire il pubblico.
“Eine deutsche Kindergeschichte”, una storia tedesca di bambini: questo il sottotitolo imposto da Michael Haneke a tutte le edizioni internazionali del suo film. Imposto non solo nella lingua originale ma anche nel carattere, il Sutterlingschrift, il corsivo frequente nella scrittura a stampa e a mano fino agli anni Venti del secolo scorso, soprattutto nei paesi di lingua tedesca. E chi sono i bambini protagonisti di questa storia? Sono quelli che da adulti porteranno il nazismo al potere e combatteranno le sue guerre, dissolvendosi poi nella più umiliante delle sconfitte. Ma sono anche i figli della generazione precedente – il medico, il pastore, l’insegnante, l’amministratore: tutti definiti dalla propria funzione sociale – e della sua cultura letteraria, religiosa e politica. Sarebbe sbagliato tuttavia ridurre “Il nastro bianco” all’istantanea di un momento storico. Questo film – Palma d’oro a Cannes -è infatti uno straordinario e densissimo tessuto narrativo che Haneke stende davanti ai nostri occhi con la semplicità che i grandi artisti hanno quando presentano il proprio capolavoro. Tantissime le scene magistrali, tantissime le proposte di senso alle quali andare incontro: “Il nastro bianco” – al quale nel film sono legate al contempo la redenzione e l’infamia, l’esteriorità del bene e l’incombenza di un male sconosciuto – è un film da vedere e rivedere.
Per saperne di più su Michael Haneke
“La pianista” e “Caché, niente da nascondere”. Due film dei film più conosciuti dell’ultima produzione del regista austriaco, ampiamente distribuiti in sala e in dvd (entrambi da “01 distribution”). Il rigore formale e lo studio sulla violenza (su di sé e sugli altri) attraversano queste due opere che sembravano portare la produzione di Haneke verso atmosfere impalpabili, quasi astratte, sostenute da un talento registico più unico che raro nel cinema contemporaneo. Affascinanti da rivedere ora, rispetto allo sviluppo e all’ulteriore perfezione raggiunta con “Il nastro bianco”.
L’uomo che fissa le capre
Diventando produttore di se stesso, George Clooney ha da diversi anni trovato il modo di interpretare (quasi) sempre gli stessi due personaggi. O è bello e puro in un mondo corrotto (“Syriana”, “Good night and good luck”, “The good German”, “Michael Clayton”) oppure è bello, scemo e surreale (“Three kings”, “Fratello, dove sei?”, “Prima ti sposo, poi ti rovino”, “Burn after reading”). “L’uomo che fissa le capre” appartiene a quest’ultimo filone della produzione clooneyana ed è un film piacevolissimo nel quale – come in tante altre situazioni – l’ex coprotagonista di “E.R.” si circonda di spalle di lusso, da Ewan McGregor a Kevin Spacey, passando per Jeff Bridges, che sembra non possa ormai più vestire altri panni che quelli del “Grande Lebowski”. Tratto da un libro che si vuole racconto parzialmente vero (senza mai specificare in quale punto), è un film (ottimamente) costruito per divertire il pubblico.