C’era anche un valdostano, Mauro Prola, 27 anni, nato e residente a Châtillon, su quel traghetto che mercoledì 10 aprile 1991 si scontrò con la petroliera Agip Abruzzo nella rada del porto di Livorno. Mauro, una delle 140 persone a bordo che persero la vita nel sinistro, lavorava come maître, fino a poco tempo prima era imbarcato su di un altra nave che faceva rotta sull’Adriatico e recentemente era riuscito a farsi trasferire sulla Moby Prince.
Come gli altri 74 passeggeri e i 65 membri dell’equipaggio, Mauro su quella nave portava con sé la sua storia, una delle tante che Vincenzo Varagona ha cercato di riportare a galla nel suo libro I segreti del Moby Prince – A 30 anni dalla più grande tragedia civile del mare in Italia (Vydia editore, 2021). Insieme al suo altro volume d’inchiesta Morire a Nassiriya – Marco Beci un Italiano al servizio del mondo (Paoline Editoriale Libri, 2014), il libro è stato protagonista di una presentazione presso la libreria BrivioDue, che ha fatto da anteprima al festival Sotto il tappeto atteso in autunno. “Si chiama così perché è dedicato al giornalismo d’inchiesta, che cerca di tirar fuori la polvere da sotto il tappeto”, ha spiegato la moderatrice Genny Perron, collaboratrice de Il Corriere della Valle d’Aosta.
Per trentacinque anni vice caporedattore di Rai Marche e oggi presidente dell’UCSI Nazionale, Vincenzo Varagona, come scrive nel suo libro, è abituato ad “occuparsi di vicende importanti quando i riflettori vanno spegnendosi”. Sulla tragedia del Moby Prince, infatti, gravano trent’anni di nebbia, come quella che si pensava avesse impedito all’equipaggio di vedere la petroliera. “Non si tratta solo di fare memoria”, spiega Varagona, “ma di rilanciare una battaglia di vera informazione per sapere cosa è successo davvero e per avere una certezza giudiziaria attraverso un nuovo processo penale che sia per strage e non per reati minori”. La revisione dei contenuti, infatti, secondo Varagona non ha avuto la stessa consistenza della notizia dirompente di trent’anni fa e la verità, man mano che emergeva, è stata relegata nelle pagine interne dei giornali. Così, nell’opinione collettiva le cause del disastro sono da attribuire ancora alla nebbia e alla partita Barcellona-Juventus, che avrebbe distratto i membri dell’equipaggio. Ipotesi smentite, caso strano in Italia, dalla politica anziché dalla magistratura. “In genere la politica insabbia e la magistratura tira fuori, in questo caso invece è accaduto il contrario. Il processo che si è svolto ha coinvolto personaggi di secondo piano, poi Pietro Grasso, che ha scritto la prefazione del mio libro, è stato l’unico a farsi carico delle istanze che ormai da vent’anni l’associazione delle vittime portava avanti. È stata così creata una commissione d’inchiesta in Senato che ha ribaltato completamente le conclusioni della magistratura: ci sono voluti trent’anni per verificare che la nebbia non c’era e che l’equipaggio era regolarmente in plancia, dove non c’era nessuna televisione”.
Nonostante i passi avanti e i pezzi di verità ricostruiti – come la non compatibilità di alcuni danni sullo scafo del traghetto con lo scontro con Agip Abruzzo, il mancato invio delle foto satellitari americane, l’accordo plurimiliardario tra le assicurazioni dei due colossi raggiunto nel giro di pochi mesi, o ancora la rilevazione dello spegnimento improvviso delle luci un quarto d’ora prima dell’impatto – la nebbia nasconde ancora molti misteri attorno al Moby Prince. E i lavori della commissione d’inchiesta, decaduta in seguito allo scioglimento delle Camere, dovranno iniziare da capo in autunno. Inspiegabile resta, soprattutto, quel ritardo dei soccorsi, vero responsabile della morte per soffocamento di gran parte delle vittime, rifugiatesi nel salone De Luxe dotato di pareti e porte tagliafuoco. “I soccorsi raggiunsero la petroliera ma non andarono a cercare il Moby Prince e il comandante della capitaneria di Livorno si trovava a La Spezia, dove dicono fosse a un party”.
È una storia che grida vendetta ed è proprio quello che continuano a fare da trent’anni i familiari delle vittime, riuniti in due associazioni. Proprio dalle loro testimonianze nasce il libro di Varagona, che è partito dalle storie delle vittime più vicine a lui, quelle marchigiane. “Di questa tragedia avvenuta trent’anni fa rimangono solo le relazioni, le commissioni d’inchiesta, i dati aridi che gridano vendetta. C’è un modo però per rendere questa sofferenza attuale. Leggendo il libro la gente mi dice che la tragedia sembra accaduta ieri: il valore aggiunto rispetto ai libri d’inchiesta precedenti è che rende viva questa vicenda attraverso le testimonianze dei parenti delle vittime. Non c’è solo un diritto al risarcimento e al ristoro di una sofferenza, ma ci sono conseguenze sulle vite dei familiari. Per senso civico bisogna restituire queste storie, che purtroppo o per fortuna colpiscono, perché rendono attiva la partecipazione anche civile a fatti come questo”.