City Streets e il gangster movie
City Streets è il secondo lungometraggio di Rouben Mamoulian (Tbilisi, 1897 – Los Angeles, 1987), realizzato dopo lo stage musical Applause (1929). Rappresenta, di fatto, l’unica incursione del regista nelle atmosfere del gangster movie.
Ci troviamo negli anni del Proibizionismo: Pop Cooley (Guy Kibbee) è un gangster del clan di “Big Fella” (Paul Lukas), che controlla il traffico illecito della birra. La figlia adottiva di Pop, Nan (Sylvia Sidney), innamorata del giovane “The Kid” (Gary Cooper), finisce in prigione per aver scagionato Pop ed essersi presa la colpa dell’omicidio di Blackie (Stanley Fields), un gangster del clan di Big Fella di cui quest’ultimo voleva disfarsi. Nan, lasciata in carcere a scontare la pena di Pop, prenderà la decisione di allontanarsi da Pop e dall’ambiente malavitoso una volta uscita dal carcere, felice che il suo fidanzato (Kid, ovvero Gary Cooper) non ne faccia parte. Tuttavia, scoprirà̀ presto che Kid è entrato a far parte del giro di Big Fella per farla uscire di prigione.
Il film – prodotto dalla Paramount – è realizzato a partire da After School, soggetto scritto appositamente per il cinema da Dashiell Hammett, autore di romanzi hard boiled del quale, un paio d’anni prima, erano comparse le puntate de Il falcone maltese sulle pagine della rivista Black Mask. Con City Streets Mamoulian realizza un gangster movie atipico, se considerato insieme ad altri titoli coevi rappresentativi del genere come Little Caesar (Mervyn LeRoy, 1931) o The Public Enemy (William Wellman, 1931): in City Streets il tempo non è scandito dalle pallottole che sfrecciano, quanto piuttosto dall’intreccio sentimentale e dalle relazioni di potere mutevoli ed instabili che si instaurano tra i personaggi.
Questo non significa che nel film non ci siano persone che cadono sotto i colpi di pistola: semplicemente queste scene appartengono al fuori campo – solo attraverso la componente sonora degli spari siamo in grado di capire cosa è avvenuto – e vengono annunciate da una frase cifrata di cui ben presto lo spettatore sarà in grado di comprendere il significato e che, come un refrain, torna a più riprese durante il film, accompagnata da una stretta di mano al malcapitato: «No hard feelings?».
Agnes e Nan
Anche le figure femminili, solitamente passive e ridotte a meri oggetti accessori in un mondo tutto al maschile, assumono a livello cinematografico un ruolo diverso dal solito. Una volta entrati nel giro di gangsters e scalata la gerarchia interna, chi arriva in cima riceve una serie di privilegi e riconoscimenti dettati dalla posizione di rispetto acquisita: denaro, potere decisionale, automobili lussuose, vestiti costosi, donne. Le donne risultano dunque essere di proprietà di qualcuno (nel film Agnes passa dall’essere la donna di Blackie a quella di Big Fella) ridotte nella loro unica funzione, appunto, accessoria. Tuttavia vengono liquidate con facilità e rapidità quando viene notata un’altra ragazza, come un modello d’auto improvvisamente superato o un abito non più di moda. Questo è quello che accade anche in City Streets quando Big Fella vede Nan per la prima volta e decide di cacciare da casa sua Agnes. La stessa Nan si muove inizialmente nel medesimo ambiente in cui viene sfruttata e tradita da suo padre Pop che, dopo averla istruita per anni a collaborare nei suoi traffici illeciti ed essersi assicurato di poter contare sul suo silenzio, si ritrova pugnalata alle spalle, dietro le sbarre di un carcere in cui senza tanti complimenti viene abbandonata a se stessa.
Tuttavia, Mamoulian sceglie di dedicare uno spazio d’azione insolito per il genere sia a Agnes che a Nan: sono loro, infatti, gli unici personaggi del film a puntare la pistola direttamente nell’obiettivo della macchina da presa, rimandando subito la mente a The Great Train Robbery (Edwin S. Porter, 1903). Non solo: le loro azioni costituiscono, sul piano narrativo, degli snodi decisivi anche per le sorti dei personaggi maschili (Big Fella, The Kid), muovendosi dunque fuori dagli schemi narrativi più consueti. È l’imprigionamento della sua amata Nan – ma anche la sua grande passione per le pistole – a convincere il giovane Kid, che viene da un ranch e lavora in un luna park, ad entrare nel racket di Big Fella, ed è anche il suo amore per lei a renderlo in parte diverso e capace di liberarsi e fuggire dal contesto malavitoso in cui, inevitabilmente, era rimasto invischiato.
La protagonista della narrazione risulta essere proprio Nan, a cui Mamoulian dedica una delle scene più interessanti del film e a cui riserva un’introspezione psicologica, combinando in maniera ancora non convenzionale, per l’epoca, la componente sonora e quella visiva. Dopo aver ricevuto la visita di Kid in carcere ed aver scoperto che è entrato nel racket di Big Fella, Nan resta seduta sulla branda della sua cella a piangere in silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto, la mente altrove. Lo spettatore sente i pensieri di Nan: nella sua mente riecheggiano rumori e spezzoni di frasi e dialoghi in maniera confusa e ossessiva. Lo spettatore mentre la osserva sente quelle stesse voci e quei suoni, condividendo insieme a Nan il suo tormento, la sua angoscia, i suoi pensieri. Sia Agnes che Nan, per motivi diversi, prendono la decisione di uccidere Big Fella: è senz’altro curioso il fatto che Mamoulian scelga ancora una volta di lasciare uno spazio d’azione così importante e determinante nel film alle due donne.
Gary Cooper
Anche il percorso narrativo di The Kid non è meno anomalo. Come si è accennato supra, il tradizionale percorso dell’uomo che, entrato nel giro di gangsters, scala la gerarchia interna per arrivare fino alla cima e poi precipitare nell’inevitabile tragico epilogo – attraverso la sua morte o il suo imprigionamento – qui si realizza solo in parte. L’ingresso di The Kid all’interno dell’ambiente gangsteristico è simbolicamente rappresentato attraverso il cambiamento d’abito (quando si presenta a Nan porta una pelliccia, quando vanno insieme alla festa porta un cappello bianco simile a quello di Big Fella) e il possesso di una lussuosa macchina nera dotata di radio, come quella che vediamo usare a Pop e Nan all’inizio del film. The Kid / Gary Cooper, in buona sostanza, acquisisce tutti quegli “accessori” tipici del gangster, senza però dare evidenza allo spettatore di essere davvero quello che consideriamo un gangster.
Non lo vediamo mai sparare in scena e non ci sarà nessun tragico epilogo: la conclusione di City Streets, del tutto irrealistica se ricondotta all’ambiente malavitoso, risulta invece perfettamente coerente se ragionata nel quadro della produzione artistica del regista. Non a caso per questo ruolo si è scelto un divo come Gary Cooper, noto in quegli anni per le sue interpretazioni di western, film di guerra e per incarnare il ruolo di romantic hero; non ha mai recitato in un gangster movie e viene immesso nella narrazione attraverso un esplicito riferimento alla sua figura di westerner, con cappello e sigaretta tra le labbra, ben lontana dalla sua trasformazione estetica in gangster sul finire della pellicola. Tra i continui riferimenti alla sua figura divistica vale la pena menzionare la fotografia sul comodino di Nan che sembra ritrarre non tanto il fidanzato The Kid, quanto piuttosto il divo Gary Cooper e che rimanda alla stessa iconografia con cui il personaggio viene messo in scena.
“All’attore in questo cruciale passaggio di decade spetta di incarnare una tipologia di personaggi tendenzialmente rassicuranti e senza ombre, è un divo che non ama gli eccessi, un uomo serio che lavora duramente […]”. (M. Pierini Gary Cooper. Il cinema dei divi, l’America degli Eroi)
di Silvia De Gattis (Aiace Vda)